Guardare l'orologio

Dopo aver fatto il giro del mondo, The Clock di Christian Marclay è di ritorno a Manhattan. E, tra le abili mani dell'artista, questi frammenti di cinema diventano sorprendentemente accattivanti, forse perfino illuminanti.

Tic. Alto su Londra, un uomo sta precariamente appeso alla lancetta dei minuti dell'orologio del palazzo di Westminster. Tac. Un banchiere preoccupato controlla silenziosamente l'orologio da taschino. Tic. Una giovane coppia corre a prendere un treno, oltrepassando di furia l'orologio che incombe su di loro. Tac. L'uomo appeso ora è tre minuti più vicino a udire il carillon del Big Ben e a innescare una bomba nella torre dell'orologio. Tic. Tac. Tic. Tac.

The Clock è un montaggio cinematografico di ventiquattro ore che scorre in tempo reale unendo insieme migliaia di scene di film: in ognuna compare un orologio da polso, un orologio da muro, un campanile o un'altra rappresentazione cinetica del tempo. The Clock, opera dell'artista Christian Marclay, ha debuttato a Londra nel 2010 e, l'anno seguente, ha avuto la sua prima a New York alla Paula Cooper Gallery. Dopo aver fatto il giro del mondo, The Clock è di ritorno a Manhattan, con una proiezione pubblica al David Rubenstein Atrium del Lincoln Center. Entrando nell'enorme scatola nera della sala di proiezione che riempie tutti i 650 metri quadrati dell'atrio pensavo di rimanere soltanto pochi minuti. In fin dei conti che interesse possono avere ventiquattr'ore di spezzoni di film? Come al contrario si è dimostrato, hanno molto interesse. Tra le abili mani di Marclay, questi frammenti di cinema diventano sorprendentemente accattivanti, forse perfino illuminanti. Con mia grande sorpresa, sono rimasto ben più di qualche minuto. Proprio parecchio di più.

© Christian Marclay. Courtesy Paula Cooper Gallery, New York e White Cube, London

In The Clock uno spezzone può comparire per pochi minuti o per pochi secondi prima dello stacco su un'altra scena di un altro film e poi ritornare alla scena precedente – con il tempo dell'orologio diverso, naturalmente – e poi andare avanti. Stacco dopo stacco. Un tic tac dopo l'altro. Ogni scena spinge avanti le lancette dell'orologio di un altro minuto, ma fa avanzare anche una specie di trama immaginaria, nell'era dei "superspezzoni" di Youtube – video dal montaggio ossessivo che presentano occorrenze molteplici di luoghi comuni o tecniche del cinema – i video di Marclay spiccano per la maestria del montaggio, che a volte riesce a implicare racconti di ampio respiro. La musica o il dialogo di uno spezzone accompagnano allo spezzone seguente, tessendo magistralmente insieme mondi molteplici. Una commedia brillante diventa un dramma che diventa un poliziesco, e improvvisamente un uomo sta appeso alla torre dell'orologio. Personaggi di mondi differenti si chiamano e si rispondono, dialogando attraverso il tempo e lo spazio. Un momento Charlie Chaplin, quello dopo Tom Cruise. The Clock è una storia non lineare del cinema. Ma naturalmente è anche un orologio. Per banale e ovvio che possa sembrare The Clock crea un'esperienza del tempo sorprendentemente inconsueta.

© Christian Marclay. Courtesy Paula Cooper Gallery, New York e White Cube, London

Sono rimasto a guardare The Clock per quasi tre ore. Nessuno ne è stato più sorpreso di me. All'inizio, mi sono ritrovato semplicemente a giocare a inseguire l'orologio, cercando in ogni scena, in ogni stacco l'oggetto del titolo. Ma il gioco si è presto esaurito, sostituito dal tentativo di comporre storie immaginarie per spiegare il tenue (al più) rapporto tra una scena e l'altra. A volte mi sono ritrovato immerso in trame e in spezzoni che finivano troppo presto, ma è un problema di poco conto che fa parte della natura dell'opera e, più d'ogni altra cosa, testimonia della forza di una buona narrazione. Il ritmo staccato del film amplifica l'impatto curiosamente viscerale di The Clock. Ovviamente, non è facile trovare e montare migliaia di immagini di orologi tratte da tanti film. È inevitabile che motivi e figure retoriche si ripetano. Nel corso della mia visione il divo del film pareva essere il Big Ben, con le lancette del grande orologio che scandivano i tempi di una rapina oppure innescavano una bomba. Ma c'era un'altra ambientazione ricorrente: la stazione ferroviaria. Una stazione dopo l'altra e un'altra ancora. The Clock mi ha fatto capire pienamente quanto siano collegati i trasporti e il tempo. Dopo tutto fu la diffusione ottocentesca del treno che fece precipitare la standardizzazione del tempo. Il tempo della ferrovia è il tempo. L'innovazione tecnologica ha dato forma alla nostra percezione del tempo. Ma The Clock rende esplicita un'altra cosa: la natura del cinema.

I video di Marclay spiccano per la maestria del montaggio, che a volte riesce a implicare racconti di ampio respiro.
© Christian Marclay. Courtesy Paula Cooper Gallery, New York e White Cube, London

Marclay rimonta e ricontestualizza frammenti di cinema. Ma il cinema è già di per sé un linguaggio frammentario. Nel cinema tradizionale ciò che appare come un susseguirsi di eventi senza soluzione di continuità è un'illusione creata dal rapido succedersi di singoli fotogrammi. Ancora una volta noi oggi lo diamo per scontato, ma una volta era una concezione radicale. The Clock rende esplicita la natura frammentaria del cinema. Ci ricorda che l'ascesa del cinema ha profondamente alterato la percezione umana, addestrandoci ad assorbire gli shock sensoriali della meccanizzazione e della modernità, insegnandoci che la compressione del tempo e dello spazio nel mondo del cinema non è quella della nostra percezione del tempo e dello spazio. Ma The Clock vanifica questo addestramento presentando molteplici percezioni simultanee dello spazio e del tempo: quella del mondo del montaggio cinematografico e quella del tempo reale della nostra banale realtà, penosamente deprivata di rapine dal piano elaborato e di innamorati che corrono a prendere treni a vapore. Oggi misuriamo la vita a cucchiaini da caffè o a ore fatturabili e, grazie alla tecnologia digitale portatile, abbiamo la capacità di sfuggire alla banalità del presente, ruolo più tradizionalmente riservato al cinema. The Clock smonta la nozione di cinema come via di fuga, facendone invece un continuo memento del presente: di programmi, di date e di responsabilità. È davvero stranissima la sensazione di essere sempre coscienti dell'esatto momento quando si guarda un film. Contemporaneamente familiare e inconsueto, The Clock è una specie di antifilm. Ciò nonostante diverte. Anzi, affascina. "Ancora un minuto", continuavo a dirmi, "ancora un minuto solo". Tra scadenze incombenti e una riunione dalla parte opposta della città, letteralmente guardavo trascorrere sullo schermo ogni minuto che mi restava. E però mi sentivo costretto a restare.

© Christian Marclay. Courtesy Paula Cooper Gallery, New York e White Cube, London

The Clock è stato scelto dal Lincoln Center Art Committee per inaugurare la prima manifestazione artistica pubblica dopo la ristrutturazione. Non si poteva trovare opera più adatta. Dopo tutto il Lincoln Center stesso è un montaggio di grande arte senza tempo che, con il recente rinnovamento, rimane ancora saldamente radicato nel presente. L'insieme di edifici e di spazi, creato da un gruppo di importanti modernisti – Pietro Belluschi, Gordon Bunshaft, Philip Johnson, Eero Saarinen, Wallace K. Harrison e Max Abramovitz – è stato attentamente aggiornato quanto alle opere dal recente Claire Tow Theater di Hugh Hardy, costruito sopra il Vivian Beaumont Theater di Saarinen, e dalla ristrutturazione della Juilliard School di Diller Scofidio + Renfro, nonché dal 'paesaggio informativo' che gli architetti hanno inserito nello spiazzo del Lincoln Center. Con attenti stacchi e montaggi, tanto il progetto di Hardy quanto quello di DSR instillano qualcosa di nuovo nello spazio, aggiornandolo e rivelando nel contempo aspetti dell'opera originale che potevano essere stati trascurati o dati per scontati. Questi interventi architettonici sono come inserti accuratamente montati di un film nuovo in un film classico: qualche fotogramma di Minority Report in Tempi moderni di Charlie Chaplin. La genialità dell'originale non viene spezzata, ma si riconosce che gusti e percezione sono cambiati. E forse lo shock della novità consente allo spettatore un nuovo apprezzamento dei risultati dell'opera classica.

The Clock è un'incredibile opera d'arte. E tuttavia una parte di me vorrebbe che fosse più concretamente integrata nel David Rubenstein Atrium, progettato dallo studio Todd Williams Billie Tsien Architects. Anche se la popolarità dell'opera e le attrezzature necessarie a gestirla probabilmente renderebbero la cosa proibitiva, rimango nondimeno affascinato dall'idea di rendere The Clock un'installazione permanente del Lincoln Center: una specie di versione spettacolare del Metronome di Union Square. In quanto spazio pubblico di proprietà privata l'atrio serve da biglietteria, centro informazioni, caffè e occasionalmente come sede di manifestazioni. The Clock, liberato dalla scatola nera, diventerebbe parte dello spazio, un luogo in cui i visitatori si fermerebbero a prendere un caffè e a controllare gli orari degli spettacoli dando un'occhiata a caso al montaggio cinematografico che domina lo spazio: forse per guardare l'ora o forse solo per stare un po' in ozio.

The Clock è aperto al pubblico gratuitamente fino al 1° agosto, dal martedì al giovedì dalle 8 alle 22, e viene proiettato in continuo dal venerdì alle 8 alla domenica alle 22; lunedì chiuso. Il David Rubenstein Atrium si trova a Broadway tra la 62a e la 63a Strada. Ingressi limitati ai posti disponibili, non è possibile prenotare.