Jeremy Deller: "Joy in people"

Si è chiusa da pochi giorni alla Hayward Gallery di Londra la personale dell'artista, vincitore di un Turner Prize e già selezionato per la Biennale di Venezia del 2013.

Art isn't about what you make, but about what you make happen" (L'arte non riguarda ciò che si fa, ma ciò che si fa accadere) Jeremy Deller.

"Accadere" richiama qui una dimensione performativa, dà vita a quello che l'etimologia della parola evento suggerisce, un qualcosa che prende forma, viene fuori.
Molte opere di Deller nascono come manifestazioni, fatti accaduti, raccogliendo memorie e preservando tradizioni, in un territorio come quello inglese, che ancora oggi fonda parte della propria iconografia politica, su gesti e stili riconducibili a certe forme di teatro antico. Lo stesso teatro che Deller, catalizzatore di grandi storie collettive, e regista di drammaturgie complesse, utilizza per veicolare il proprio messaggio.

La mostra Joy in people, alla Hayward Gallery, che raccoglie un sostanzioso numero di suoi lavori, è un flusso infinito di coscienza, condivisa o assunta, alimentata da storie, foto, video, documenti d'archivio, notizie, personaggi ed esperimenti quasi antropologici. È come entrare in un complesso format televisivo.
L'artista inglese, vincitore nel 2004 del Turner Prize, alla stregua di un antropologo o di un etnografo, ha compiuto un lungo viaggio prima di tutto nel Regno Unito, da cui continua a succhiare linfa preziosa per il suo lavoro, che rappresenta non solo lo specchio della cultura popolare inglese, delle sue profonde attitudini e tradizioni, ma anche un modo per delineare il ritratto di un Paese attraverso il folk.
In apertura: Jeremy Deller, <i> Exodus</i>, 2012; qui sopra: <i> It Is What It Is</i>, 2009
In apertura: Jeremy Deller, Exodus, 2012; qui sopra: It Is What It Is, 2009
Una potenza visiva e sonora: il rock, la cultura pop, l'acid house, le passioni come il wrestling e i suoi personaggi più strabilianti, le sfilate carnevalesche, le parate, le brass band. Le perlustrazioni non si fermano mai, e spesso si condensano in progetti dall'enfasi politica e civile, anche al di fuori dei confini anglosassoni. Come in America, Paese che aveva già avuto modo di conoscere su invito diretto di Andy Warhol, e da cui si è portato indietro un relitto della guerra in Iraq. Una macchina distrutta dall'esplosione di un kamikaze nel 2007 a Baghdad ha sfilato per due mesi negli Stati Uniti. Come un museo ambulante, il rottame di ferro, ha trasportato e divulgato i racconti di civili iracheni e militari americani, trasformandosi in un luogo di discussione e dibattito per dar voce a chi, questa guerra, l'ha fatta e vissuta in prima persona. Deller ha riproposto questo dialogo, in una delle sale della Hayward, trasformata in una sala riunioni con tanto di sofà e tavolino, dove si alternano racconti di testimoni e sopravvissuti.
<i>So Many Ways to Hurt You (The Life & Times of Adrian Street)</i>, 2010
So Many Ways to Hurt You (The Life & Times of Adrian Street), 2010
Come se non bastasse, l'immagine della distruzione, ricorre nonostante il suo approccio pop inarrestabile e riconoscibile. Basta sostare nella sala dedicata alla ricostruzione della Battaglia di Orgreave, forse il suo lavoro più epico. Il film An Injury to One is an Injury to All (2001) co-diretto, non a caso, da Mike Figgis, è la rappresentazione vivente di una vicenda storica, qui ampiamente ricostruita anche attraverso una documentazione tratta dalle notizie, dalle foto e dalle mappe risalenti al 1984. Lo stesso anno in cui the Big Brother controllava e puniva i dissidenti del Socing. In Inghilterra per davvero, sotto il dominio di Margareth Thatcher, i minatori dello Yorkshire si scontravano in uno degli scioperi più sanguinari della storia inglese, che ha coinvolto più di mille persone fra minatori e polizia e di cui Deller ha riproposto una messa in scena, che ripercorre tappe salienti della lotta e ha coinvolto superstiti e nuovi volontari.
Ogni opera di Deller ha una visione sentimentale e al contempo leggera, perché scava nella terra e nelle forme più mistiche del costume e del folclore
<i>Valerie's Snack Bar</i>, 2009
Valerie's Snack Bar, 2009
Ogni opera di Deller ha una visione sentimentale e al contempo leggera, perché scava nella terra e nelle forme più mistiche del costume e del folclore. Non solo ci permette di visualizzare un fatto, una situazione, una tendenza, ma ci aiuta a immaginare il processo e il motivo che lo ha condotto fino a lì. Deller non decide per un unico ruolo, è di volta in volta artista, produttore, regista, drammaturgo, organizzatore di parate o di concerti. Il suo metodo consiste nel mettere insieme persone, guidandole nella realizzazione di un'opera in grado di raccontare un territorio, e le complesse relazioni che lo legano alla sua cultura. Il tutto spesso accade in maniera totalmente naive, ma pensata e studiata con sensibilità.
Come la scelta di indagare il carattere sociologico della pop music, attraverso i fan dei Depeche Mode che ha dato vita a Our Hobby is Depeche Mode. Co-diretto con Nick Abrahms il video è il risultato di un viaggio in tutto il mondo, America, Messico, Iran, Brasile ed Est Europa, dove, per esempio, una giovane comunità recentemente liberata dalle imposizioni della dittatura, nutre una profonda bramosia nei confronti della trasgressione e legge nella band una forma di libertà e di emancipazione sociale. "It is a kind of folk history" (È una sorta di narrazione popolare) commenta Deller, un esperimento che visualizza come le persone si approprino della cultura pop e la interiorizzino nella loro quotidianità.
<i>The History of the World</i>, 1997
The History of the World, 1997
La mostra si apriva con una riproduzione della cameretta di Deller ragazzo (Open Bedroom c.1988 – c.1994), il luogo in cui ha concentrato tutte le sue ossessioni, e si chiude con una video installazione in 3D che riproduce milioni di pipistrelli volanti, mentre escono da una grotta verso la luce del crepuscolo.
Mi viene in mente che la stessa passione, in maniera ancor più radicale, la manifesta Johnatan Franzen. Il birdwatcher americano che, dall'altra parte dell'Oceano, continua a scrivere e raccontare un altro pezzo della storia.

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