Sviluppata soprattutto negli ultimi quindici anni attraverso le biennali di arte contemporanea, la videoarte ha inventato un territorio nuovo, quello dello spazio intermedio tra cinema e arte facendolo diventare un genere a sé. Kutlug Ataman, nato in Turchia nel 1961 ma trapiantato per circa 15 anni a Los Angeles a contatto con l'ambiente cinematografico americano, è stato uno dei protagonisti della recente stagione della videoarte. Ed è stato tra coloro che hanno compiuto l'esplorazione di questo nuovo genere. Seguendo l'esigenza dell'arte contemporanea di accostarsi alla realtà e subendo il fascino della fiction quale terreno che appartiene al cinema, Ataman è stato uno dei pionieri dell'esplorazione della "terra di mezzo" inventata dalla videoarte.
Come afferma lui stesso: "Voglio mostrare che la vita stessa è arte, che è un modo di costruire e voglio mostrare come di fronte a una telecamera chiunque può costruire qualcosa."
Ho visto per la prima volta un'opera di Ataman, Never My Soul, alla Biennale di Berlino nel 2001, e già allora vi erano contenuti molti degli elementi che riguardano la sua poetica. Si tratta della storia reale di un travestito che imita la vita della diva del cinema turco Türkan Soray. Never My Soul contiene tutti gli elementi melodrammatici, apparentemente assurdi e tragici (come nella sequenza della dialisi cui deve periodicamente sottoporsi il protagonista), che sembrano trasformare la storia da una vicenda reale nella fiction di un racconto cinematografico. Per meglio dire, Ataman costruisce un racconto dalla semplice narrazione della realtà, ma che acquista i contorni della fiction grazie al forte potere distorsivo che la realtà possiede.
Questo è il punto di centrale del lavoro di Ataman: descrivere con il video vicende che appartengono alla quotidianità del nostro tempo rivelandoci quanto queste abbiano una potenziale capacità di essere fiction, senza che il cinema le abbia trasformate in questo.
Kutlug Ataman: the enemy inside me
Istanbul Modern ospita la prima retrospettiva in Turchia dedicata a uno dei protagonisti della recente stagione della videoarte.
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- Maurizio Bortolotti
- 12 gennaio 2011
- Istanbul
La mostra curata da Levent Çalikoglu a Istanbul Modern ha il carattere di una retrospettiva: ripercorre il lavoro di Ataman a partire dal 1999 e – anche se mancano alcune opere maggiori come Kuba e Mesopotamian Dramaturgies – contiene una serie di video che hanno segnato la carriera dell'artista. Viene inoltre presentata per la prima volta in Europa Beggars del 2010, un'installazione su sette schermi di altrettante figure di questuanti già mostrata alla Biennale di San Paolo in Brasile.
La mostra è la prima in Turchia dedicata questo artista. Il lavoro di Ataman, mentre ci mostra che la realtà è profondamente "cinematografica", affronta anche molte questioni che fanno sì che l'arte oggi ci appaia indissolubilmente legata alle questioni sociali, culturali e identitarie della nostra società e come l'artista afferma: di essere interessato a come ciascuno di noi stabilisce delle narrazioni per gli altri che è pura ideologia. Maurizio Bortolotti, curatore
Voglio mostrare che la vita stessa è arte, che è un modo per costruire