Christian Boltanski: minimalista-sentimentale

Dopo Parigi e New York, Personnes arriva a Milano, all'interno del grande spazio dell'Hangar Bicocca e a fianco delle monumentali torri di Anselm Kiefer.

Ai visitatori che si immergono nel buio delle sale dell'Hangar Bicocca (che riapre al pubblico rinnovato e dotato di nuovi spazi, come bistrot, libreria, ingresso e giardino), vengono incontro le alte torri di Kiefer. Per l'opera di Boltanski, l'artista che rappresenterà la Francia alla Biennale di Venezia del 2011, occorre invece pazientare ancora un po'. E intraprendere prima un suggestivo percorso rettilineo illuminato soltanto da tubi al neon, accompagnati dal suono ritmico e crescente di migliaia di cuori che battono. In fondo al corridoio, una stanza luminosa è sovrastata da un'immensa montagna di indumenti colorati accatastati uno sull'altro, che vengono afferrati e spostati in modo del tutto casuale da una piccola gru appesa al soffitto. È Personnes, l'installazione presentata lo scorso gennaio al Grand Palais di Parigi in occasione di "Monumenta", ma completamente ripensata per gli spazi dell'Hangar Bicocca di Milano.

La stessa installazione ambientata in tre luoghi molto diversi. Quali sono le principali differenze tra l'architettura del Grand Palais, dell'Armory e dell'Hangar Bicocca?
Lavorare nello spazio del Grand Palais è stato più difficile perché è un'architettura molto barocca. Con l'Armory, uno spazio industriale del XIX secolo e con l'Hangar è stato più facile perché sono spazi più moderni, sono spazi di oggi. Personnes, è sempre la stessa opera, ma al tempo stesso un'opera diversa. Per me è come una sorta di partitura musicale, che eseguo in modo diverso ogni volta. In ogni luogo si ricomincia con nuovi elementi. Possiamo dire che a Parigi era come suonare con una grande orchestra; qui con un'orchestra da camera. Posso immaginare che tra trent'anni, quando io non ci sarò più, qualcun'altro eseguirà quest'opera. E lo farà in modo sempre un po' diverso.

Quanto conta il rapporto con lo spazio?
Credo che ogni artista si dovrebbe interrogare sul rapporto con lo spazio e sul rapporto con quello che si trova all'interno dello spazio. Non ci troviamo davanti a un'opera ma al suo interno. Quando percorriamo il corridoio, con il suono che aumenta man mano, non vediamo più nulla, avanziamo solitari verso la morte. E anche lo spettatore, osservato da chi si trova al di fuori, diventa parte dell'opera d'arte.

Qual è il rapporto tra la lunga passeggiata che conduce fino all'installazione e I Sette Palazzi Celesti di Anselm Kiefer che si trovano proprio di fianco?
Il dialogo con l'opera di Kiefer, che trovo molto bella, è stato uno dei punti di forza e delle sfide di questo luogo, anche perché il suo lavoro è molto diverso dal mio. Parliamo tutti e due dello stesso soggetto, la morte, ma non dallo stesso punto di vista.

Qual è il significato di Personnes?
Per me Personnes è un'opera tragica, ma allo stesso tempo è molto colorata, potrebbe quasi essere un dipinto impressionista. Potrebbe essere anche letta come un'opera quasi gioiosa. È costruita sull'idea del caso, della fortuna. Ogni indumento rappresenta qualcuno. Qui ci sono trent'anni di vestiti: potrebbero essere 500 mila persone. La gru è come la mano di Dio, che, cieco, prende le persone a caso. Man mano che si invecchia ci si chiede perché muore qualcuno al posto di qualcun altro o di se stessi. Ti fai quindi l'idea che non esistono ragioni vere per cui qualcuno vive e qualcun altro muore. E naturalmente non ci sono risposte. Personnes è un'opera sulla casualità della morte.

Perché proprio i vestiti?
Per me un vestito è l'equivalente di un corpo. È come la fotografia di qualcuno, il battito del cuore. È un oggetto che rinvia a un soggetto che non c'è e, dunque, mostra l'assenza. Il tema del mio lavoro è sull'individuo e sul gruppo. La vera questione del mio lavoro è l'importanza di ciascun individuo, questa grande massa di gente e la sua sparizione.

Dal 2008, con il progetto "Les Archives du coeur" sta raccogliendo i battiti del cuore delle persone. Il progetto continua anche a Milano?
Anche a Milano, come a Parigi, ci sarà una cabina per registrare le pulsazioni cardiache dei visitatori. Si pagano pochi euro e in cambio si riceve un cd. I battiti verranno poi inviati a Teshima, un'isola del Giappone meridionale, dove il 18 luglio inaugurerà l'archivio finanziato da una fondazione. Raccoglie già 30.000 battiti ed è destinato ad aumentare. Di qui a vent'anni, molti di questi cuori apparterranno a persone morte. Dunque quest'isola diventerà l'isola dei morti.

Perché in Giappone?
Perché quello che mi interessa è l'idea del viaggio. È un po' come un pellegrinaggio. Per me la cosa importante è che se vuoi ascoltare il cuore di tua madre, devi fare questo viaggio e pensare a lei. Diventa quindi una riflessione sulla sua assenza. Cerchiamo di conservare la vita, ma naturalmente questo non è possibile. Si può conservare il battito del cuore di qualcuno, ma non la persona stessa. Quello che mi interessa è affrontare un argomento come la morte che nella società di oggi è un tabù; c'è il rifiuto di invecchiare e di morire. Quest'anno ho realizzato anche un'opera permanente, un orologio parlante sulla cattedrale di Strasburgo. Si scende in una cripta e qui c'è un computer che giorno e notte annuncia l'ora, ogni secondo. E non lo si può fermare. L'immagine di Dio qui è quella del signore del tempo. Possiamo fare molte cose, ma non lottare contro il tempo che avanza.

Video, suono, installazione sono alcuni dei materiali che usa nelle sue opere. Eppure ho letto che ama definirsi scultore, anche se in realtà non usa la scultura da molti anni.
Per me esistono due tipi di arte: l'arte del tempo (opere che hanno un inizio e una fine, come il cinema e la letteratura) e l'arte dello spazio. Io mi ritengo uno scultore, un artista che opera nello spazio. E poi credo di essere molto tradizionale perché pongo domande molto tradizionali, che avrebbe potuto porre un artista del Rinascimento o del Medioevo. C'è progresso nelle scienze, ma non nell'arte. Credo che i soggetti siano molto pochi: il sesso, la ricerca di Dio, la natura… Cinque o sei in tutto. Ognuno si esprime con le parole del suo tempo, che oggi sono il suono, il video, la fotografia. Ma tutti diciamo la stessa cosa.

A Parigi alla fine della mostra, gli indumenti sono stati riciclati. Cosa succederà a Milano?
I vesititi saranno raccolti in tanti sacchetti con la scritta "Boltanski Dispersion". Le persone potranno venire qui e portarli a casa. Sarà una sorta di resurrezione: oggetti che appartenevano a qualcuno che è morto o che non li usava più partiranno per una nuova vita. Ognuno ne farà quello che vuole: ci sarà chi li conserverà come un'opera d'arte e chi li per la spesa.

C'è quindi anche un messaggio di speranza in quest'opera...
Si, ed è importante che ciascuno possa leggere quest'opera come vuole. In modo tragico, ma anche gioioso. È un'opera d'arte aperta ed è sempre chi la guarda che ne determina il significato. È anche un'opera un po' minimalista. Mi dicono spesso che sono un artista minimalista e sentimentale. È una contraddizione, ma penso che la definizione sia giusta. Il mio vocabolario è legato al minimalismo, anche per via della mia generazione, ma al tempo stesso ho un temperamento piuttosto sentimentale.

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