Il modo migliore per iniziare la visita della mostra su Guillaume Leblon a Milano – aperta al Palazzo delle Stelline fino al 10 luglio – è scegliere con cura l'orario. Può sembrare paradossale, ma c'è un valido motivo: al cambio di ogni ora si sentono quattro rintocchi di campana, un'installazione sonora che introduce sottilmente nell'essenza del lavoro dell'artista francese. Questo suono, la registrazione leggermente distorta delle campane di una chiesa, si ripete immutato a intervalli di un'ora, dilatando la nostra percezione temporale e prolungando artificialmente il pomeriggio, o meglio quel momento della giornata in cui il giorno cece il passo alla sera. L'indefinitezza di spazio e tempo è proprio il concetto attorno al quale Leblon plasma le sue installazioni ambientali e le sue sculture.
L'idea che ha portato alla realizzazione di 16th, Frévent nasce da un'esperienza vissuta in un villaggio della Francia. "Quando le campane hanno iniziato a suonare le quattro", racconta, "il loro suono si è letteralmente impossessato del villaggio, come se il suono diventasse esso stesso spazio. Avevo la sensazione di trovarmi all'interno di una qualche forma di totalità, una specie di ultra-consapevolezza dello spazio e del tempo".
A questa ricerca dell'indefinitezza temporale si contrappone quella dell'indefinitezza spaziale della seconda installazione: Monumento nazionale, una 'variazione' su un'opera concepita e realizzata quattro anni prima e chiamata National Monumet che nella sede del Centre Culturel Français esprime l'idea dell'identità nazionale trapiantata in un altro Paese. Si tratta della risposta alle riflessioni attorno al tema della scultura pubblica che Leblon aveva sviluppato in seguito alla commissione pubblica da parte di una cittadina francese.
È lo stesso concetto di scultura pubblica e della rappresentazione che essa deve dare di un concetto così 'granitico' come l'identità nazionale a essere messa in discussione, sia dal punto di vista formale che materiale. La concretezza e la solidità dei valori che vengono evocati tramite l'opera di commemorazione vengono ben espressi dalla forma scelta per l'opera: un grande cubo grigio. A metterli in crisi, concettualmente, ci pensa invece la scelta dei materiali: acqua e creta, posti in relazione reciproca e tenuti insieme da bende che esaltano ulteriormente il carattere di precarietà dell'intera struttura. Niente di più distante dai classici materiali durevoli quali marmo e bronzo solitamente utilizzati in questi casi. "Leblon ha realizzato un organismo vivente intimamente fragile", racconta il curatore Alessandro Rabottini, "alimentato da un sistema idraulico che ha bisogno di costante manutenzione. L'acqua si infiltra ovunque ed è quindi in grado di mettere in discussione la forma costantemente, di modificarla, smussarla e trasformarla con una lenta opera di erosione e con la formazione di muffe".
L'intento di destabilizzazione messo in atto da Leblon non si ferma all'oggetto in sé, ma intacca anche lo spazio. Il Monumento nazionale si trova infatti esattamente a metà dei due ambienti della galleria espositiva del Centre, una scelta che cancella la conformazione e la destinazione d'uso originarie per creare una nuova architettura.
L'opera di smantellamento della memoria, messa in atto tramite due simboli della memoria per eccellenza quali la campana e il monumento, ha raggiunto il suo climax.
Foto Jacopo Menzani.
Guillaume Leblon: la forma della memoria
Con due opere site-specific al Palazzo delle Stelline l'artista francese ridefinisce i confini di memoria, tempo e spazio.
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- Loredana Mascheroni
- 05 giugno 2010
- Milano