Un secolo di evoluzione della casa minima in 9 esempi d’autore

Inizialmente concepita per fornire alloggi economici a molte persone, la casa minima ha assunto anche ruoli di spazio per le vacanze e soluzione d'emergenza, con firme eccellenti quali Le Corbusier e Norman Foster, producendo autentici cult come le case iglù di Milano.

di Alessandro Benetti

La casa minima non è un tema dell’architettura di tutti i tempi. Nel mondo occidentale la cultura del progetto associa una taglia specifica, minima appunto, a una funzione, l’abitazione, solo da un secolo o poco più. La casa minima è innanzitutto la prima casa per tutti. Dalla fine degli anni ‘10 del secolo scorso i maestri del Movimento Moderno, variamente socialisti e progressisti, progettano da un lato grandi ville-manifesto per una committenza benestante e colta, dall’altro alloggi ridottissimi ma finalmente “dignitosi” da riprodurre in centinaia, migliaia, milioni di esemplari. L’existenzminimum modernista, nelle sue tante varianti, è piccolo e senza fronzoli perché solo a queste condizioni può essere industrializzato e costruito in quantità realmente democratiche.

Qualche decennio più tardi, negli anni ’50 e ’60 che la storiografia vuole spensierati, di nuovo benessere e nuovi usi e costumi, la casa minima si fa casa per le vacanze. Il turismo è ormai una pratica di massa e il sogno di una seconda casa per la villeggiatura diventa accessibile a molti. In un primo momento è lo spazio domestico a essere semplificato, reso minimo, per soddisfare le esigenze di un’occupazione solo temporanea, per qualche mese all’anno. Più tardi, in particolare con l’avanzamento della sperimentazione sulle materie plastiche nella seconda metà degli anni ‘60, la casa per le vacanze si trasforma in guscio modulare, scocca leggera senza fondamenta, facilmente smontabile e trasportabile. La casa minima, all’occorrenza, viaggia con il suo occupante.

Igloette, Claudio Malfitano per Tecnistall, 1975. Domus 543, febbraio 1975

Almeno dalla fine della Seconda Guerra Mondiale a oggi, poi, un filone importante di riflessione sulla casa minima la interpreta come soluzione a situazioni di emergenza. Un sottile filo conduttore lega le case prefabbricate in legno e lamiera metallica corrugata ingegnerizzate da Jean Prouvé nella Francia degli anni ’40 e ‘50, concepite innanzitutto per rialloggiare sfollati e senzatetto, con tanti recenti progetti d’autore, pensati in risposta a singoli eventi catastrofici – guerre, terremoti e tsunami – o al disagio abitativo endemico delle regioni più povere del mondo. Il progettista, in questi casi più che in altri, è mediatore ed equilibrista, con il difficile compito di conciliare risparmio assoluto e ricerca della qualità, velocità di realizzazione, solidità e durata nel tempo.

La breve rassegna che segue è una selezione di qualche casa minima tra le più interessanti progettate dall’inizio del Novecento a oggi, con qualche chicca estratta direttamente dagli archivi di Domus. È necessariamente incompleta, anche perché considera unicamente case isolate e non appartamenti all’interno di edifici d’abitazione. È sufficiente, però, per farsi un’idea dell’importanza e della varietà delle problematiche che ogni architetto è chiamato ad affrontare quando progetta una casa minima: il tema è più che mai attuale, in tempi di esaurimento delle risorse e di crisi mondiali in sequenza.

Le Triennali degli anni ’30 sono momenti d’intensa sperimentazione sul tema della casa. I più importanti architetti razionalisti dell’epoca vi realizzano case-prototipo variamente tematizzate – la Casa elettrica del Gruppo 7 alla IV Triennale del 1930, ad esempio, e la Casa del sabato per gli sposi dei B.B.P.R. con Piero Portaluppi alla VI Triennale del 1936. Per la V Triennale del 1933, la prima a svolgersi al Palazzo dell’Arte di Milano e all’interno di Parco Sempione, un giovanissimo Osvaldo Borsani, ventiduenne, fa il suo debutto nel mondo dell’architettura con la proposta per una Casa minima. Le dimensioni sono risicate, certamente, ma gli interni sono tutt’altro che essenziali, anche perché le Triennali sono esposizioni di prodotti e oggetti che si vogliono moderni. I pavimenti in linoleum di diversi colori – marrone in anticamera, grigio chiaro in soggiorno – e gli inserti colorati di alcuni pezzi di arredo – soprattutto i dettagli in arancione laccato della libreria – sono tra i dettagli più caratteristici di questo piccolo edificio temporaneo, che sopravvive nei disegni del suo autore e nelle poche fotografie dell’epoca.

Le case minime non sono necessariamente cubi o parallelepipedi, forse le forme che più istintivamente uno sguardo occidentale associa alla semplificazione e all’economia. Le celebri case a Igloo di Milano, strette tra gli edifici più convenzionali del Villaggio dei giornalisti e la ferrovia, sono un gruppo di alloggi a pianta circolare e a bassissimo costo, realizzati a pochi mesi dalla fine della Seconda Guerra Mondiale dal valido ingegnere strutturista Mario Cavallé. Gli ambienti della casa – in origine un ingresso, un bagno, due camere e una cucina – si distribuiscono sotto una cupola di mattoni, la cui solidità è assicurata dalla disposizione dei forati a losanghe convergenti, messa a punto da Cavallé specificamente per questo progetto. La riflessione sulla casa minima, in questo caso, è l’occasione per sperimentare sul piano formale e sul quello tecnologico. Immaginate come temporanee, negli anni ’60 le case a Igloo sono state salvate dalla demolizione grazie alla mobilitazione dei loro abitanti, supportati da qualche appassionato e da un protagonista dell’architettura moderna milanese, Luigi Figini. 

Foto Tangopaso da wikimedia commons

Il Cabanon di Le Corbusier è forse la più conosciuta delle case minime per le vacanze del Novecento. Il più celebrato dei modernisti europei la realizza per sé stesso nel 1951 a Roquebrune-Cap-Martin, sulla Costa Azzurra. Vi si ritira progressivamente e vi trascorre gran parte della sua vecchiaia, fino all’infausto e celebre attacco cardiaco che lo uccide nelle acque antistanti la scogliera, nel 1965. La minuscola capanna di 366 x 366 cm di pianta, per 266 cm di altezza, è al tempo stesso un manifesto dell’opera del suo autore e una testimonianza della sua capacità d’innovarsi, di tradire sé stesso. L’interno è un open space modulare e ampiamente trasformabile, trascrizione automatica delle regole del Modulor, il sistema di proporzioni basato sull’uomo-standard messo a punto dallo stesso Corbusier e applicato a grande scala nell’Unité d’Habitation di Marsiglia (1947-1952). Se nei colori primari degli arredi si riconoscono riferimenti al razionalismo d’anteguerra, l’esterno è un vernacolare involucro in legno, per nulla purista, perforato da aperture che hanno dimenticato il principio della finestra orizzontale, enunciato nel 1926 tra i Cinque punti dell’architettura moderna. Il Cabanon è l’opera di un Corbusier maturo e “balneare”, che si contestualizza nella natura mediterranea e vi sperimenta uno stile – architettonico e di vita – lontano anni luce dal macchinismo radicale dei suoi eroici anni ’20. 


Casa smontabile “Les jours meilleurs”

Jean Prouvé, 1956


“Les jours meilleurs” (“I giorni migliori”) è l’appellativo davvero ottimista che Jean Prouvé, ingegnere ed eroe francese della prefabbricazione, sceglie per il prototipo di casa minima smontabile che realizza nel 1956 in risposta all’appello accorato dell’Abbé Pierre. Per voce di quest’ultimo, pochi mesi prima ha fatto scandalo alla radio nazionale la morte per assideramento di due senzatetto, e l’opinione pubblica è più che mai sensibile al tema dell’alloggio. In occasione del Salon des Arts Ménager di quell’anno, il prototipo è esposto sul lungosenna, nei pressi del ponte Alexandre III, dove riscuote un grandissimo successo. È un catalogo di materiali e tecnologie di punta per l’epoca, messe al servizio della velocità di esecuzione, del contenimento dei costi e del confort degli abitanti: basamento in cemento, blocco centrale prefabbricato in acciaio, che contiene tutti i servizi, tamponamenti in pannelli sandwich di legno, tetto sporgente in alluminio. L’ottimo lavoro di Prouvé, però, non è sufficiente ad assicurarne la fortuna e la produzione in serie: troppo avanguardista per l’epoca, impossibile da omologare per la rigorosa normativa francese, snobbata dalle potentissime lobby della costruzione in cemento armato, la casa “Les jours meilleurs” sarà realizzata solo in pochi esemplari da esposizione. 

Domus 543, febbraio 1975

È davvero minima la Igloette progettata da Claudio Malfitano alla metà degli anni ’70. Domus le dedica una breve presentazione sul numero 543, febbraio 1975, descrivendola come “un guscio per l’estate, una capanna a struttura modulare per vacanze, un rifugio temporaneo”. La sua forma giocosa e un po’ aliena ricorda un panettone – il dissuasore ancor più che il dolce tipico milanese – o anche una grossa campana del vetro. La pianta è circolare, con diametro di 2.4 m, e la sommità della sua cupola tocca i 3 m d’altezza. L’interno può essere allestito come mini-abitazione, con la zona giorno al piano terra e un letto-mezzanino, o come cabina per i servizi con doccia, bagno e cucina. L’involucro è una sottile e leggerissima scocca in fibra di vetro. 

Domus 570, maggio 1977

Sul volgere degli anni ’70 Domus intercetta un interessante progetto per una casa per le vacanze minima e a basso costo di Michael Jantzen, architetto dell’Illinois poco conosciuto in Europa ma comunque prolifico e ancora oggi in attività. Le immagini pubblicate sul numero 570, maggio 1977, mostrano il prototipo allestito sulle sponde di un generico fiume del Midwest, con i suoi colori accesi – un giallo e un verde ben saturi e decisamente anni ’70 – che risaltano nel loro intorno di bosco autunnale. La casa è interamente in legno, con travi in cipresso e tamponamenti in lastre di compensato. L’interno è ridotto al minimo, un open space a pianta quadrata che contiene i letti per 8 ospiti, che posso essere chiusi a parete o utilizzati come divani, e un modulo-cucina su ruote, da cui estrarre il piano del tavolo. Nei quattro spigoli di questo spazio sono collocate la porta d’ingresso, una finestra panoramica, il bagno e la doccia. La casa è inondata di luce naturale grazie a un grande lucernario perfettamente circolare, forse memore dei grandi tagli tondi dell’arte americana degli anni ’70.


Post tsunami housing

Shigeru Ban, Sri Lanka, 2007


Per Kirinda, un piccolo villaggio sulla costa dello Sri Lanka interamente distrutto dallo tsunami del 2004, Shigeru Ban immagina una casa minima che è un esercizio raffinatissimo di contestualizzazione. I materiali sono tutti locali: la terra cruda delle pareti portanti, i legni di teak e di cocco del tetto a doppia falda, dei rivestimenti e degli arredi interni. Le molte aperture, gli elementi grigliati fissi in facciata e la fessura all’attacco tra le superfici verticali e il tetto garantiscono la circolazione naturale dell’aria, una risorsa preziosa contro il clima caldo e umido della zona. La distribuzione degli spazi rispetta al tempo stesso le normative governative, che impongono ad esempio di separare le zone umide – cucina e bagno – dal resto della casa, e le esigenze della popolazione locale, in prevalenza pescatori con le loro famiglie, tutti di religione musulmana. All’interno dell’alloggio, schermi di legno orientabili permettono di dividere le aree riservate agli uomini e alle donne. Lo spazio aperto ma coperto che separa la stanza principale dai servizi, poi, diventa il luogo principale di vita della casa, a disposizione per riunioni familiari, per il gioco dei bambini e per la riparazione delle reti da pesca. La casa minima di Kirinda è stata costruita in circa 100 esemplari grazie all’iniziativa del promotore Philip Bay. Ban ha proseguito la sua ricerca sugli alloggi emergenziali in molte altre occasioni, ad esempio a seguito dello tsunami del 2011 in Giappone.

È il tema della salubrità a guidare il progetto per una casa minima da realizzare in una remota regione rurale della Tanzania, dove l’inadeguatezza degli spazi domestici contribuisce alla diffusione di malattie come la malaria, la dissenteria e le infezioni respiratorie. Il prototipo della Star Home, riprodotto per ora in 110 unità, completate nel 2021, è il risultato del lavoro di un team multidisciplinare, guidato dallo studio danese Ingvartsen Architects e che comprende anche medici ed entomologi. Le piccole unità con struttura in acciaio si fanno ariose tramite le ampie superfici di rete traspirante, che permettono la migliore ventilazione naturale e l’aerazione continua degli ambienti, tengono lontani gli insetti grazie all’accorgimento delle porte auto-chiudenti, separano le camere poste al primo piano dallo spazio di preparazione e consumo dei cibi al piano terra, e soprattutto isolano la latrina dal resto dell’abitazione, posizionandola in un piccolo volume autonomo. Il pragmatismo di queste soluzioni e il budget ridotto non escludono una ricerca più propriamente architettonica sul piano spaziale – le piante sono semplici e rigorose – e linguistico – la Star Home è un’opera di asciutta eleganza. La panca all’aperto a fianco della porta d’ingresso aggiunge un elemento di poesia e suggerisce di proseguire la vita domestica nello spazio del villaggio.


Essential Homes Research Project

Holcim e Norman Foster Foundation, Venezia, 2023

L’Essential Homes Research Project nasce dalla collaborazione tra Holcim, produttore di calcestruzzo, e la fondazione di Norman Foster, ormai decano indiscusso dell’architettura inglese. Per il team di Holcim, questo prototipo di casa minima per contesti di emergenza è innanzitutto un’occasione di innovazione tecnologica. Il suo involucro portante è costituito da un doppio strato di tessuto avvolgibile, impregnato di cemento low-carbon e posato su casseforme leggere. Questa soluzione permette da un lato un’esecuzione rapidissima – il guscio così composto si solidifica in sole 24 ore – e dall’altro una sostanziale riduzione delle emissioni rispetto a una costruzione tradizionale, alla quale contribuiscono anche altri accorgimenti, come la riciclabilità di tutti i componenti. La mano felice di Foster si riconosce nell’intelligente configurazione degli spazi, con i servizi e le cuccette che si dispongono sui due lati opposti di un ampio open space a tunnel, i cui lati corti sono trasparenti. L’Essential Home di Holcim e Foster è innovativa, tra le altre cose, perché propone una terza via intermedia tra la soluzione fragile e realmente temporanea della tenda e quella spesso troppo dispendiosa e di lunga gestazione dell’edificio permanente. Nei prossimi anni capiremo se e in quali contesti si moltiplicherà l’unico prototipo per ora esistente, presentato in concomitanza con la Biennale di Venezia del 2023.

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