Il progetto, realizzato dalla Deste Foundation è nato grazie al lavoro collettivo degli studenti del Dipartimento di Architettura dell'Università di Thessaly e quelli della prestigiosa Columbia University Graduate School of Architecture, Planning & Preservation (GSAPP). La mostra si sviluppa a partire da un'accurata e profonda oltreché inedita ricerca sul campo dal titolo Collecting the Social – From Collecting to Collectivity.
Come molti dei progetti dell'istituzione greca, questa sua nuova avventura è stata stimolata da una provocazione lanciata dalla Deste a un soggetto accademico, cercando una sintesi tra arte, architettura e urbanistica, produzione in spazi ridotti (e privati) e le realtà urbane. In greco syllego significa collezionare ma anche parlare con, dialogare: questo concetto di relazione estesa, continuo scambio e dialogo è necessario e costituisce anche il principio basilare della democrazia. Ma collezionare è anche un vortice, che inizia e finisce con la vita del collezionista. Dakis Joannou, ideatore e fondatore della Deste Foundation, grande patron delle arti, ha raccolto una delle collezioni più importanti al mondo di arte contemporanea; cosa succederà dopo la sua morte? "non ci sarà più la mia collezione poiché il collezionista stesso rappresenta l'epicentro di ogni attività.


La mostra raccoglie territori, esperienze e architetture delle più note collezioni al mondo con un progetto dalla grafica chiara che compara la grandezza degli edifici dei musei con la collezione che contengono.

Nadja Argyropoulou: Collezionare significa fare ricerca; la ricerca è l'anima di qualunque collezione e implica l'idea dello sviluppo che spesso nasce dall'unione di energie differenti. Ricercare significa scambiarsi idee e riflessioni, e implica un ampio e articolato dialogo tra le persone. Ma naturalmente ha un proprio epicentro che è il collezionista, ed è lui che lo determina. Il collegamento con questo progetto di mappatura territoriale è la ricerca: collezionare architettura.

Yorgos Tzirtzilakis: Si potrebbe dire che questa forma di collezionismo acquisisce un carattere biopolitico. Poiché il lavoro non si limita più alla fabbrica ma è diffuso nella città, l'attività collezionistica non è più confinata negli archivi, nei musei, nelle istituzioni e nelle collezioni private, ma coinvolge comunicazione e pratiche estetiche, sentimenti, sfumature emotive e forme di soggettività. Collezionare diventa parte della produzione di soggettività e della riproduzione della vita stessa nelle città contemporanee.

Craig Buckley: Il progetto è nato da un invito della fondazione Deste per l'arte contemporanea a formulare un programma di collaborazione con il corso di dottorato in Architettura, Urbanistica e Conservazione. All'inizio non c'era la minima idea di allestire una mostra. Quel che contava era elaborare un progetto che fungesse da piattaforma formativa e che coinvolgesse sia gli studenti che si occupano di design sia quelli che si occupano di architettura in modo meno tradizionale, realizzando ricerche sul contemporaneo, allestendo mostre, scrivendo di storia e così via. I primi dibattiti riguardavano la collezione Deste, ma presto si sono ampliati cercando di analizzare il rapporto tra l'architettura e la nascita di grandi collezioni private negli ultimi quarant'anni. Volevamo analizzare il boom dei musei creati da collezionisti privati d'arte contemporanea in relazione alla loro architettura e alla loro diffusione mondiale. Queste nuove collezioni hanno rovesciato gli equilibri di potere nel campo della cultura e in una certa misura hanno lanciato una sfida ai musei pubblici, un fenomeno che ha acquisito molto interesse in anni recenti. Il progetto chiede a una vasta gamma di attori (collezionisti, curatori, accademici, studenti, artisti) di provare a osservare questo fenomeno con la lente dell'architettura, per vedere che cosa possa rivelare sul futuro del museo, una tipologia che nel corso del XX secolo ha vissuto una trasformazione sempre più rapida.

Mark Wasiuta: Lavorare con Deste è stato importante per il progetto di analisi del contesto dei musei privati internazionali, ma anche per quello che riguarda i contesti di Atene, della Grecia, dell'Unione Europea e delle varie forme di collezionismo che vi sono nate. Per il gruppo questo ha significato che ogni studente aveva il compito di identificare, descrivere e quindi analizzare un particolare genere di collezionismo. Il concetto di patrimonio culturale permette di definire il contenuto dei musei privati e le loro prassi collezionistiche. Ha avuto un posto anche nel dibattito pubblico sull'architettura in Grecia, collocando il dialogo sui siti storici e sulle nuove costruzioni in un quadro specifico, contemporaneo e talvolta drammatico. Alcuni studenti di design hanno elaborato un'interpretazione dell'economia architettonica del patrimonio culturale come strumento di lettura di siti recenti come gli stadi abbandonati delle ultime Olimpiadi, per arrivare ai siti del patrimonio dell'Unesco, tra cui Delfi e l'Acropoli di Atene. Altri progetti hanno cercato di individuare le implicazioni architettoniche della contestazione dei confini statali, come la frontiera marittima tra Grecia e Turchia, oppure quelle della gestione della frontiera europea in Grecia da parte del Frontex, l'agenzia dell'Unione Europe per la sorveglianza delle frontiere. Al centro di questi progetti c'era l'ipotesi che se il collezionismo subisce l'influsso del museo privato, anche la stessa definizione di collezionismo per l'architettura e per la città risente della pressione di forze unitarie e di aggregazione che meritano un'indagine analoga. In altre parole l'alterazione dell'autonomia del museo, o la sua attuale mancanza di autonomia, si possono collegare non solo a nuovi episodi finanziari e politici, ma anche a un cambiamento epistemologico del collezionismo stesso.




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