A giudicare dal virtuosismo che caratterizza il progetto di Future Systems per il nuovo punto vendita Selfridges a Birmingham, potremmo trovarci alla vigilia di un revival del grande magazzino: un'istituzione che insieme ad altre creazioni architettoniche del XIX secolo, come la stazione ferroviaria e la borsa valori, conosce da tempo giorni difficili. L'origine di questa teatrale forma di consumismo moderno, celebrata da Émile Zola in Au Bonheur des Dames, va trovata nell'originale Bon Marché di Parigi, ideato da Aristide Boucicault intorno al 1850 e progettato da Alexandre-Gustave Eiffel e Louis Boileau. Primo tra i grandi magazzini destinati alla celebrità, il Bon Marché offriva all'emergente borghesia del tempo l'opportunità di imparare ad arredare la casa con gusto e di trovare tutto quello che la buona società considerava alla moda. E, ricorrendo per la prima volta ai cartellini con prezzi esposti, liberava l'acquirente dalla volgare necessità di contrattare.

Per questo, fin dall'inizio, il grande magazzino ha rappresentato più un'esperienza sociale che non un semplice spazio per l'acquisto di merci. Negli ultimi cinque anni Selfridges ha visto un miglioramento della sua situazione finanziaria, sotto la guida di Vittorio Radice, il dinamico manager italiano che ha rivitalizzato la società, grazie a un ritorno alle origini del concetto di grande magazzino e al recupero di quel teatrale senso dello spettacolo nel quale l'architettura riveste un ruolo essenziale.

Vi fu un tempo in cui i grandi magazzini Macy's non esitavano a sgomberare un intero piano per ospitare un torneo di golf indoor. A partire dagli anni Sessanta, in Occidente, i grandi magazzini hanno però conosciuto un declino costante, segnato dall'esaurirsi delle idee e del senso dello spettacolo che aveva contribuito a renderli popolari. L'unico luogo in cui hanno continuato a prosperare è stato il Giappone degli anni del boom. Tra i fattori che hanno maggiormente contribuito ad aumentare la vulnerabilità del grande magazzino è certo il progressivo svuotamento delle città europee e americane a partire dagli anni Sessanta. E il successivo trasferimento dei negozi all'interno dei grandi centri commerciali ha minato le basi di quella magniloquenza architettonica che caratterizza l'imponente edificio realizzato a Londra nel 1908 da Daniel Burnham per Gordon Selfridge, il Marshall Field di Chicago di Henry Hobson Richardson (con la sua rielaborazione delle arcate di Palazzo Pitti), o ancora il progetto di Louis Sullivan per Carson Pirie Scott. La maggior parte dei grandi magazzini sopravvissuti ha conosciuto anni difficili, dominati dall'indifferenza, anni dai quali sono usciti con un volto logoro e datato.

Il crescente successo delle grandi firme della moda ha contribuito a spostare l'equilibrio di potere e di prestigio lontano dai grandi magazzini. Così, mentre le più grandi realizzazioni d'architettura oggi si associano a nomi come Prada, Gucci, Louis Vuitton, Calvin Klein e Armani, i grandi magazzini, ormai sfioriti, sono entrati in un triste anonimato. Molti hanno chiuso, o sono stati fagocitati dai centri commerciali: altri si sono ridotti a sbiadite ombre di quei luoghi spettacolari che erano un tempo. Più il grande magazzino ha cominciato a somigliare a un qualsiasi altro tipo di negozio, più le sue azioni sono scese, affrettandone ulteriormente il declino. È forse proprio per questo che, come prima mossa, Radice ha deciso di trasformare Selfridges in qualcosa di assolutamente unico. Le vetrine hanno cominciato per esempio a esporre oggetti firmati da Ron Arad: la società ha ottenuto dalle autorità il permesso di ospitare cerimonie nuziali all'interno dei suoi locali. Poi sono venute le settimane del Giappone, e giganteschi progetti artistici, come le performance che coinvolgevano centinaia di volontari pronti a spogliarsi completamente. Tutte cose già viste, che nondimeno hanno riscosso un grande successo: così grande che Selfridges ha iniziato a espandersi oltre i confini di Londra. È nato così l'avamposto di Manchester, e Toyo Ito sta lavorando al progetto per un nuovo punto vendita a Glasgow. Il risultato più impressionante è però senz'altro il negozio di Birmingham, progettato da Future Systems e da poco completato.

Esteso e informe prodotto della rivoluzione industriale, Birmingham è la seconda città dell'Inghilterra ma, dal momento in cui il Paese ha perso interesse nella manifattura, essa si è vista costretta in quella stessa spirale discendente che ha segnato il declino del grande magazzino. Forse il suo peggior momento va posto alla fine degli anni Sessanta, quando Birmingham tentava una modernizzazione a tutto campo che prevedeva la demolizione di vaste aree del centro per far posto a grandi viali e a edifici anonimi . Si trattava del frutto di una politica completamente sbagliata, alla quale la città sta iniziando solo ora a porre rimedio con la demolizione di molti tra questi figli problematici di un recente passato: ma anche rinnovando un tessuto urbano che prevede ampie aree pedonali e facendo tutto il possibile per cancellare le tracce di un centro industriale segnato da un malinconico tramonto.

Il nuovo Selfridges si inserisce all'interno dell'ordinario centro commerciale situato nei pressi della stazione centrale e del mercato, accanto a una chiesa vittoriana e a pochi passi da un grande condominio in stile Pop. In realtà, un vero contesto architettonico è pressoché inesistente, e quel che ha attratto l'interesse di Radice, nel momento in cui i 'developers' locali hanno iniziato a offrirgli degli spazi per quello che era ancora un progetto sulla carta, è stata piuttosto la possibilità di dare un seguito all'esempio del fondatore della società, Gordon Selfridge, che aveva portato in Inghilterra Daniel Burnham e gli aveva commissionato un edificio che voleva diventasse un punto di riferimento per la capitale.

Selezionato dopo un concorso informale, il progetto di Future Systems ha tutta l'aria di appartenere a un universo completamente differente da quello dell'area in cui è inserito. Situato all'estremità meridionale del sito, esso è stretto tra due strade che delimitano un terreno il cui rapido declinare rende l'edificio perfettamente visibile: sulla sommità della collina c'è un ordinario centro commerciale postmoderno, dai colori pastello. Selfridges svetta su un lato, a creare un punto di riferimento immediatamente riconoscibile.

Per molti versi, il progetto rappresenta la materializzazione di un montaggio realizzato nel corso di vent'anni di attività da uno dei soci fondatori di Future Systems, Jan Kaplicky, che ama esplorare le possibilità di un mondo che vada oltre le noiose restrizioni del presente. Lavorando entro i parametri del centro commerciale, sul quale il nuovo edificio si apre su due differenti livelli, Future Systems ha costruito una gigantesca bolla blu, tempestata di centinaia di dischi in alluminio, che la fanno somigliare a uno degli abiti metallici disegnati da Courrèges negli anni Sessanta o all'occhio di una mosca enormemente ingrandito.

Il lavoro di Future Systems viene normalmente descritto in termini di alta tecnologia con propulsore turbo. Eppure è chiaro che quello che veramente lo caratterizza è la passione di produrre linee capaci di arrestare lo sguardo dello spettatore, che sfruttano un immaginario completamente estraneo al contesto architettonico. Per questo, forse, il negozio di Birmingham rientra in una famiglia di forme che riesce più facile associare al lavoro di Claes Oldenburg e di Anish Kapoor (che ha infatti collaborato con Future Systems). L'edificio Selfridges, tuttavia, è più di un semplice oggetto scultoreo. Sfrutta sapientemente le variazioni di livello e le sfumature di luce e d'ombra che cadono sui contorni serpeggianti della sua superficie, le sue curve avvolgenti suscitano senza dubbio un'impressione indimenticabile, le aspettative sollevate dall'esterno trovano rispondenza anche negli interni: che costituiscono un'altrettanto netta presa di distanze dalle norme della vendita al dettaglio. Oltre a Future Systems, responsabili anche della progettazione del reparto alimentari al pianterreno, hanno collaborato qui con Selfridges Aldo Cibic, Stanton Williams, Eldridge and Smerin.

I grandi magazzini non fanno normalmente grande uso di finestre, percepite come elementi che tendono a interferire nel loro sforzo di sedurre i clienti: ma, se gli interni di Selfridges sono progettati attorno a due grandi ingressi che attirano la luce del sole e la fanno penetrare all'interno degli spazi, ci sono anche aperture intagliate nel guscio a livello del piano strada per creare finestre per i passanti. Altre aperture, posizionate più in alto, consentono l'accesso al parcheggio situato sul lato opposto della strada, raggiungibile attraverso un ponte, anch'esso disegnato da Future Systems, e creano infine una terrazza per il ristorante.

Così, ancor prima che il negozio aprisse i battenti, i dischi lucenti di Selfridges erano diventati un segno capace di simboleggiare tanto il nuovo negozio quanto la nuova Birmingham. Un poderoso esempio di come l'architettura possa essere usata per creare un senso di identità urbana. Deyan Sudjic