La fine dello sci

Il cambiamento climatico condiziona sempre più la scelta del momento e del luogo in cui sciare.

Snow-Land

Il cambiamento climatico condiziona sempre più la scelta del momento e del luogo in cui sciare. Dai Pirenei alle Alpi, le stazioni sciistiche sparse in tutta Europa sono giunte al punto di doversi adattare alla mancanza di neve: secondo l’Organizzazione Meteorologica Mondiale, gli inverni del 2015 e del 2016 hanno registrato le temperature più alte di sempre, e tanto le piste di discesa quanto gli anelli da fondo di tutto il continente rimangono senza neve anche per nove mesi all’anno. 

Il verde di cime che toccano i 2.000 m è allarmante e pone una serie d’interrogativi circa l’assurda immagine di sciatori di livello mondiale che sfrecciano su una striscia di neve sintetica in un paesaggio dolomitico estivo.

L’assenza di neve in quelli che erano prosperi centri del turismo invernale ha fatto inoltre immaginare una serie di possibilità per arrestare la fine dell’inverno e il collasso economico di queste comunità. Una di queste è la produzione di neve artificiale. E non sono solo comprensori sciistici come il Dolomiti Superski a offrire 1.200 km di piste da sci con neve prodotta artificialmente: il valore commerciale della neve è una preoccupazione anche per stazioni sciistiche dell’estremo Nord d’Europa in Paesi come la Svezia.

L’inverno nei Paesi nordici è stato a lungo associato allo sci di fondo, che rimane uno sport molto popolare. Per gruppi che variano dalle élite dei professionisti ai dilettanti che scelgono lo sport come risposta alla crisi di  mezza età, la svedese “Vasaloppet” – una gara di sci di 90 km – è nella lista dei desiderata. La sua controparte italiana è la “Marcialonga”, una competizione di sci di fondo di 70 km. L’organizzazione alle spalle di “Vasaloppet”, che da semplice gara si è evoluta fino a trasformarsi in un’intera settimana di competizioni con un’affluenza di circa 65.000 sciatori ogni anno, ha raggiunto uno status professionale, trasformando letteralmente la sua attività principale dal coordinamento di persone al coordinamento della neve. Questo significa produrre neve, immagazzinarla e distribuirla. E non solo: nel 2017, l’organizzazione che si occupa della “Vasaloppet” ha annunciato con fierezza che, dopo diversi anni di ricerca in collaborazione con l’Università di Bad Gastein, ha potuto presentare una neve artificiale dalla composizione completamente nuova, che dura fino a 12 volte di più della neve naturale. 

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Una foto tratta da uno dei capitoli del progetto “Snow-Land”, con cui il fotografo Marco Zorzanello sta raccontando il turismo ai tempi del cambiamento climatico. Foto Marco Zorzanello

Il metodo di produzione si avvale di un filtro appositamente progettato per i cannoni, che modifica la composizione molecolare della neve facendola durare più a lungo. Le ricerche per produrre neve artificiale migliore della neve naturale potrebbero portare dei vantaggi economici, ma quali sono le conseguenze globali? La scomparsa della neve naturale segnerà la fine dello sci come sport e forma di esercizio fisico popolare?

Quando la neve sarà disponibile e gestita solo da organizzazioni private, il grande pubblico potrà ancora permettersi di praticare lo sci? Chi avrà la possibilità di allenarsi per le gare sulla lunga distanza quando la neve sarà disponibile solo in poche strutture?

Per quanto la composizione molecolare della neve sia migliorata, si rimane di stucco vedendo le immagini di sciatori di coppa del mondo scivolare fuori dal cancelletto e mancare la linea blu che guida gli atleti lungo la pista, oppure esausti sciatori di fondo cadere all’improvviso su una curva poco prima del traguardo. Si tratta di una nuova realtà, fatta di sciatori professionisti alle prese con la consistenza di una sostanza che è molto più una composizione di molecole sconosciute che non ciò che abitualmente chiamavamo neve: sciatori ben allenati e di lunga esperienza stanno affrontando un nuovo materiale che sembra neve, ma non si comporta come tale.

Lo sci, tuttavia, non è influenzato solo dalla consistenza della neve e, per renderlo uno sport sostenibile, sono necessari provvedimenti drastici. In quanto sport competitivo a livello individuale, prevede circa 200 giorni di viaggio all’anno. Il dilemma dei grandi professionisti dello sci è la dipendenza dalla neve e il fatto che per competere devono viaggiare, ma ogni loro spostamento contribuisce al riscaldamento globale e alla scomparsa della neve. Il turismo sciistico sta producendo un impatto altrettanto grande: quindi, volare in remote località sciistiche come Aspen negli Stati Uniti o Bariloche in Argentina non è un’alternativa ragionevole.

Le ricerche per produrre neve artificiale migliore della neve naturale potrebbero portare dei vantaggi economici, ma quali sono le conseguenze globali? La scomparsa della neve naturale segnerà la fine dello sci come sport e forma di esercizio fisico popolare?

È evidente che il valore commerciale della neve sta spingendo il turismo invernale verso una direzione insostenibile. In uno dei centri sciistici più meridionali della Svezia, che risponde alla forte domanda dell’area di Stoccolma, il clima insolitamente mite non ha alcuna influenza in quanto il comprensorio sciistico è completamente indipendente dalla neve naturale.

La neve artificiale dura tutto l’inverno, consentendo persino di estendere la stagione. Secondo il fondatore della stazione sciistica di Romme Alpin, la neve naturale “serve solo a dare una spruzzata decorativa”. Per una piccola stazione con 5.000 o 6.000 visitatori al giorno sembra un giochetto, ma per comprensori sciistici che attirano circa 630.000 sciatori l’ora, come il Dolomiti Superski, è questo un formato davvero sostenibile per la stagione invernale?

Appaiono qua e là azioni positive, in cui grandi eventi mediatici possono giocare un ruolo cruciale. In uno dei due campionati mondiali di sci ospitati in Svezia quest’anno, le gare IBU di biathlon, sono stati presi seri provvedimenti per ridurre l’impatto ambientale delle gare di sci, investendo per arrivare a una competizione che non richieda carburanti fossili. Tra le altre cose, l’organizzazione ha vietato le unità diesel spesso utilizzate per riscaldare tende e strutture temporanee per l’evento.

Poiché le gare si sono svolte nel paesaggio boschivo intorno alla cittadina di Östersund, nel centro della Svezia, ai visitatori è stato offerto anche un servizio di viaggio alternativo in treno quale sostituto sostenibile del traffico aereo.

In assenza di neve, l’evidente logica del trasferimento delle località sciistiche più a nord, in Paesi come Svezia, Norvegia e Finlandia, non sembra emergere così chiaramente. Vi è piuttosto una crescente tendenza a fare investimenti nella produzione di neve artificiale. E se a un amante degli sport invernali questo sembra assurdo, ancora più irrazionale è riversare denaro per costruire piste di cemento in mezzo al nulla.

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Una foto tratta da uno dei capitoli del progetto “Snow-Land”, con cui il fotografo Marco Zorzanello sta raccontando il turismo ai tempi del cambiamento climatico. Foto Marco Zorzanello

Eppure, si tratta di una realtà: tra le stazioni sciistiche di Sälen in Svezia e di Trysil in Norvegia, a circa cinque ore a nord di Stoccolma, la società Skistar sta completando la costruzione dello Scandinavian Mountain Airport, che aprirà al traffico aereo quest’anno.

Proprietà privata della Skistar, che in 20 anni è passata dalla gestione di un paio d’impianti di risalita a Sälen a protagonista a livello europeo nel settore del turismo sciistico, l’aeroporto è stato finanziato grazie anche a un sussidio governativo di 250 milioni di corone svedesi. È pura follia?Bene, la compagnia Scandinavian Mountain Airport, che serve le stazioni sciistiche con un dislivello massimo di 685 m, mira ad avere un transito annuo di 350.000 passeggeri attraverso le porte del terminal e a diventare un operatore di riferimento a livello europeo.

Nonostante l’assenza di neve naturale, negli ultimi anni in questa piccola località sciistica della Svezia rurale il flusso turistico è aumentato.

Frida Rosenberg insegna alla KTH Royal Institute of Technology School of Architecture di Stoccolma e scrive su cambiamenti e trasformazioni nell’ambiente costruito svedese da una prospettiva storica. 

Questo articolo si fonda su dati ottenuti da diversi media, come Svenska Dagbladet eThe New York Times e da programmi della televisione svedese sulla Coppa del Mondo di biathlon, sci alpino e sci di fondo.

Speciale Guest Editor

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