“La fabbrica è per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica”. Il progetto sociale di Adriano Olivetti

In occasione dell’anniversario della nascita di Adriano Olivetti, Domus ricorda il pensiero e il lavoro dell’illuminato imprenditore attraverso alcuni dei numerosi contributi che hanno accompagnato la sua straordinaria attività.

“La fabbrica è per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica”. Il progetto sociale di Adriano Olivetti.

“Uno dei più illuminati e appassionati fautori di un rinnovamento culturale e sociale”, scrive Gio Ponti per ricordare Adriano Olivetti, mancato improvvisamente il 27 febbraio del 1960 (Domus 366, maggio 1960). Domus riconosce la portata straordinaria del suo pensiero e delle espressioni artistiche d’avanguardia generate dalla fabbrica di Ivrea sin dal 1935, quando pubblica il negozio Olivetti di Torino progettato da Xanti Schawinsky, allievo della Bauhaus, come esempio del nuovo “gusto moderno” e di un “singolare pregio estetico”. (Domus 92, agosto 1935).

È dopo la guerra che l’impresa di Olivetti inizia a imporsi come un modello e un simbolo di civiltà. Nel luglio del 1948, dopo una lunga pausa, Gio Ponti torna alla direzione di Domus con un editoriale che incoraggia alla ripresa post bellica, possibile attraverso le Arti: il lavoro di architetti, artisti e tecnici sarà il motore della rinascita. (Domus 226, luglio 1948). Nel numero, sette fotografie in bianco e nero mostrano al lettore “I sette termini di civiltà”, ossia i presupposti costitutivi di ogni cultura; le immagini illustrano la situazione dell’Italia, che reagisce e si rialza, dopo il conflitto mondiale. I primi due parametri – la “civiltà nel lavoro” e la “civiltà nelle condizioni di vita” – sono rappresentati dalle fotografie della fabbrica e delle case operaie Olivetti a Ivrea, due risultati dell’innovativo progetto sociale che Adriano Olivetti sta portando avanti da quando, al principio degli anni Trenta, ha preso la direzione dell’azienda di macchine da scrivere fondata dal padre Camillo al principio del secolo. La fabbrica in vetro e le abitazioni operaie, disegnate dagli architetti Luigi Figini e Gino Pollini, fanno parte del progetto di modernizzazione dell’impresa che Adriano Olivetti ha affinato durante un viaggio in America, dove ha studiato per portare in Italia nuove idee sull’organizzazione aziendale e sugli spazi di lavoro.
Lo stabilimento di Ivrea ha grandi vetrate per fare entrare il sole, una fabbrica che “è un termine, un simbolo, un canto a dimostrare quello che l’architettura moderna può dare al lavoro” così come le residenze per i dipendenti rappresentano “quello che l’architettura moderna può fare per la condizione di vita di chi lavora”, perché, “il miglioramento del livello sociale non può avere altro presupposto che il miglioramento della casa”. (Domus 226, luglio 1948).

Adriano Olivetti lavora per costruire un’impresa “moderna”, in cui il profitto deve misurarsi in termini di progresso civile. Promotore di un umanesimo laico, è interessato alla qualità della vita degli individui che vivono la fabbrica. La sua politica aziendale è un progetto sociale, che avvia con la costruzione di un asilo per i figli dei dipendenti e una fabbrica nuova, piena di luce. In venticinque anni di direzione, Olivetti promuove iniziative cultuali, sociali ed educative senza precedenti: gli psicologi entrano nelle fabbriche per studiare le esigenze dei lavoratori, introduce il servizio sanitario, meccanismi di tutela e assistenza per gli operai, spazi per il dopo lavoro, per la ricreazione e la formazione, film, giornali aziendali e pause pranzo occupate da lezioni di storia dell’arte.

Dagli anni Trenta, chiama a collaborare intellettuali, grafici, architetti, designer, come Edoardo Perisco, Marcello Nizzoli, i BBPR, Xanti Schawinsky e Bruno Munari. A loro il compito di progettare campagne pubblicitarie, architetture, oggetti per l’ufficio, interni e insegne di negozi e showroom, prima in Italia e poi all’estero, come il negozio progettato dai BBPR a New York, inaugurato nel 1954 e pubblicato con orgoglio su Domus (Domus 298, settembre 1954) o quello di Carlo Scarpa a Venezia, in Piazza San Marco (Domus 362,gennaio 1960). 
Nel giugno del 1952, Domus riconosce il valore della grafica di Giovanni Pintori e il ruolo della pubblicità come parte di un progetto sociale e artistico: “La propaganda e la pubblicità Olivetti si presenta con una particolare fisionomia e una coerenza che è il frutto di una precisa impostazione culturale e di una scelta tra le tendenze più valide dell’arte contemporanea”. (Domus 271, giugno 1952).

Adriano Olivetti e Marcel Breuer vincono il premio La rinascente - Compasso d'oro, da Domus 313, dicembre 1955

Nel 1955, Adriano Olivetti e Marcel Breuer vincono il “Compasso d’oro della Rinascente”, premio istituito nel 1954 per i meriti conseguiti nel campo dell’estetica della produzione industriale. Nella giuria c’è anche Gio Ponti, che nella sua Domus dedica tre pagine, su carta azzurra, ai vincitori. (Domus 313, dicembre 1955). Adriano Olivetti è “il primo in Italia a caratterizzare con una estetica moderna una intera produzione industriale e le espressioni che, nella propaganda e nella vendita, le si accompagnano.
Questa caratterizzazione, alla quale egli ha via via chiamato a partecipare eccellenti architetti, e critici e specialisti ed artisti e grafici eccellenti, si è sviluppata con esempi di tale rigore estetico da rappresentare una vera scuola ed un sicuro riferimento stilistico”. Il premio internazionale è invece assegnato a Marcel Breuer, architetto e designer ungherese, protagonista della Bauhaus, a cui Olivetti dichiara di essersi ispirato: “La forza espansiva degli insegnamenti della Bauhaus, proiettata in così diversi campi, fu enorme e ancora dura.
Per rinnovarla, occorre guardare a tutte le manifestazioni dell'industrial design con pari, avvincente interesse. […] L'estetica industriale deve improntare di sè ogni strumento, ogni espressione, ogni momento dell'attività produttiva, e affermarsi, nella più complessa espressione, nell'edificio della fabbrica che l'architetto deve disegnare sulla scala dell'uomo, e alla sua misura, in felice contatto con la natura: perché la fabbrica è per l'uomo, non l'uomo per la fabbrica”*. 

... l'architetto deve disegnare sulla scala dell'uomo, e alla sua misura, in felice contatto con la natura: perché la fabbrica è per l'uomo, non l'uomo per la fabbrica

In occasione dell’improvvisa scomparsa di Olivetti, Gio Ponti ricorda ai lettori di Domus il suo immenso contributo all’architettura e alle espressioni artistiche, come i negozi a New York e a San Francisco, la fabbriche in Brasile e a Pozzuoli, gli oggetti per l’ufficio, affidati alla fantasia di designer come Marcello Nizzoli ed Ettore Sottsass e anche le imprese “para architettoniche”, come i documentari artistico-architettonici e le riviste divulgative come Selearte. Progetti il cui comune denominatore può essere identificato in una particolare funzionalità unita ad una certa brillantezza pubblicitaria, che hanno creato uno “stile olivettiano”, modello e motore per tante altre aziende. Si può affermare, scrive Ponti, che “Tutto un particolare settore della nostra «cultura visuale» sia stato impostato in un determinato senso dall'attiva e profetica volontà realizzatrice di Olivetti”. (Domus 366, maggio 1960).

* Discorso tenuto da Adriano Olivetti all’inaugurazione della Mostra del Compasso d'oro (Mostra delle produzioni concorrenti al premio La Rinascente-Compasso d'oro 1955), pubblicato su Domus 313, dicembre 1955.

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