Achille Castiglioni a Milano: una birreria, un padiglione e uno showroom

Nei decenni fortunati del dopoguerra, gli allestimenti dell’architetto milanese erano il palcoscenico ideale per i riti cosmopoliti di una città in espansione.

Achille e Piergiacomo Castiglioni, Padiglione RAI, XLIII Fiera di Milano, 1965. Da Domus 442, settembre 1966

A Castiglioni è il titolo della grande retrospettiva monografica, a cura di Patricia Urquiola e Federica Sala, che la Triennale di Milano ha dedicato ad Achille Castiglioni (1918-2002) nel 2018. Nel catalogo della mostra, Sala e Francesca Vargiu chiariscono i presupposti dell’affinità elettiva che lega Castiglioni alla sua città: “Milano gli offre la ricchezza della prossimità, il dialogo fra persone, gli incontri fortunati; gli trasmette i valori umani della stima e del rispetto per tutti i ruoli coinvolti nella progettazione; gli insegna l’importanza della pratica per migliorare la realtà, l’operosità artigiana, la risolutezza e l’apprendimento continuo; gli fornisce il campo per la sua infaticabile ricerca sul presente”.

D’altra parte, a differenza di altri colleghi, come lui progettisti a tutte le scale, Achille Castiglioni non ha lasciato un segno particolarmente evidente nel paesaggio urbano del capoluogo lombardo. Negli anni tra i ’50 e i ’70, sono stati gli edifici di Luigi Caccia Dominioni, Ignazio Gardella e Vico Magistretti, tra gli altri, a costruire l’estetica della Milano moderna e borghese. Il caso di Castiglioni è diverso. Da un lato, l’attività di architetto è rimasta complessivamente marginale nella sua carriera. Al tempo stesso, e abbastanza ironicamente, la sua realizzazione volumetricamente più rilevante, il Palazzo della Permanente in via Turati (1952), è sostanzialmente invisibile dalla strada, perché nascosto dalla cortina edilizia. E la sua opera forse più interessante e sperimentale, la chiesa di San Gabriele Arcangelo in Mater Dei in via Termopili (1956-1959), è un tempio senza facciata, intenzionalmente aniconico, che anziché proiettare la propria immagine sullo spazio pubblico, si ritrae per formare un portico accogliente.  

È piuttosto attraverso i suoi interni e i suoi allestimenti che Achille Castiglioni, in coppia con il fratello Pier Giacomo, ha dato un contributo cruciale al progetto del “presente” della sua città, in un’epoca di trasformazione frenetica dei suoi spazi e dei suoi costumi. Al tempo, Castiglioni è una presenza fissa sulle pagine di Domus. I commenti dei redattori della rivista su quattro progetti tra loro molto diversi, per estetica e per funzione, forniscono una chiave di lettura interessante su questo tema.

In corso Europa, all’interno del più international style tra i palazzi per uffici di Caccia Dominioni, nel 1961 Achille Castiglioni disegna il ristorante-birreria Splügen Bräu. Castiglioni s’inserisce con la consueta abilità negli spazi progettati dall’illustre collega, li popola di prodotti disegnati ad hoc e destinati ad una lunga fortuna – tra cui la celebre lampada a sospensione che prende il nome del marchio – e collabora con Max Huber per la grafica coordinata del locale. Il risultato finale è un palcoscenico esuberante, pronto ad accogliere le pause pranzo cosmopolite della city milanese, ma anche ad ironizzare sui loro rituali, a trasformarli in una messinscena.

Su Domus 380, luglio 1961, il testo che accompagna le fotografie di Giorgio Casali descrive il ristorante-birreria Splügen Bräu proprio in questi termini: “I posti a sedere sono tutti stalli, allineati in ranghi e disposti su tre diversi livelli (da zero a due e quaranta). E questo, oltre a far guadagnare spazio, crea per chi s’installa la piacevole impressione di ‘mettersi in viaggio’, come in uno scompartimento di treno o su un battello (…). La presenza degli altri ospiti è uno spettacolo”.

Sono presentati come scenografie di una recita collettiva anche i padiglioni RAI alla XLIII e alla XLIV Fiera di Milano, su Domus 442, settembre 1966. Il primo, realizzato nel 1965 con Enzo Mari, è certamente il più audace. I contenuti della mostra sono concentrati all’interno di quattro scenografici cannocchiali, che s’innalzano a partire da un tunnel, le cui pareti sono sospese da terra e inclinate di 45 gradi. Domus si concentra soprattutto sulla curiosa coreografia di cui gli ospiti del padiglione diventano protagonisti inconsapevoli, e racconta di “un allestimento ‘all’aperto’, esemplare per semplicità, rigore e immediatezza, e in cui i visitatori stessi fanno spettacolo. La fila delle gambe in movimento, sotto il canale orizzontale, procede come un millepiedi”. Nel 1966, il padiglione progettato da Castiglioni con Pino Tovaglia li invita a prendere parte ad una nuova rappresentazione: “I ‘piccoli’ visitatori”, si legge su Domus, “camminano, spersi, tra i giganteschi personaggi appesi – un labirinto, un bosco di figure (…). Il percorso si conclude con la salita a una parte sopraelevata, da cui tutti i personaggi possono essere visti insieme, disposti come una folla”.

Nello showroom Flos, pubblicato su Domus 474, maggio 1969, Achille Castiglioni propone agli attori milanesi di assumere una prospettiva diversa, da spettatore. Logicamente, nello spazio della promozione e della vendita, il centro della scena è occupato dalle lampade del marchio. “Gli oggetti”, scrive l’autore dell’articolo, “sono stati raccolti entro tanti piccoli teatri, indipendenti l’uno dall’altro, spostabili su ruote, e accostabili a gruppi. Nel buio dell’ambiente, l’attenzione del visitatore si concentra indisturbata, senza interferenze, su ognuno dei teatri illuminati e sulle lampade che contiene”.

Achille e Piergiacomo Castiglioni, Showroom Flos, Milano, 1969. Foto © Casali. Da Domus 474, maggio 1969
Achille e Piergiacomo Castiglioni, Showroom Flos, Milano, 1969. Foto © Casali. Da Domus 474, maggio 1969

Raccontare un allestimento come un palcoscenico non è certo un espediente narrativo inedito. Ed è forse solo per coincidenza se le descrizioni proposte da Domus per questi quattro progetti di Achille Castiglioni vi fanno tutte ricorso. Riscoprire questo filo conduttore, però, permette di formulare almeno una considerazione aggiuntiva sul rapporto tra Castiglioni e Milano negli anni del boom.

Mentre altri progettavano l’hardware di Milano, le sue strutture materiali destinate a durare negli anni, e infatti spesso ancora esistenti, Achille Castiglioni coreografava il software del suo presente immediato, suggerendo modalità inedite, serissime e divertite, personali o collettive, di prendere possesso dei suoi luoghi moderni appena costruiti. Così, ci si può interrogare su quanto la maniera in cui i milanesi ancora oggi abitano ed attraversano gli interni e gli esterni della loro città sia debitrice di questa intangibile eredità di Castiglioni.

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