Martino Gamper fa a pezzi un letto di Albini, e non solo, ma poi rimette tutto insieme

Per celebrare un decennio di Nilufar Depot, il designer italiano del “riassemblaggio creativo” ha preso, rotto e ricostruito pezzi della collezione di design mid-century della galleria fondata da Nina Yashar. 

Il letto “LT 29” che Franco Albini progetta insieme a Franca Helg nel 1957, le sedie modello 110 che Ico Parisi realizza in noce e velluto per Cassina nel 1959, una lampada da parete di Luigi Caccia Dominioni e un tavolino di Fabricius & Kastholm, progetto degli anni Sessanta ed espressione del modernismo scandinavo: questi e altri arredi della collezione mid-century di Nilufar, galleria che ha fatto la storia del design a Milano, sono stati completamente distrutti, con il permesso della sua gallerista. Perché hanno dato vita a nuovi pezzi unici.

L’artefice non è uno qualunque ma Martino Gamper, quello che nel mondo del design italiano c’è di più vicino a un trickster (e a un artista) e che si è fatto conoscere per il suo progetto 100 Chairs in 100 Days (2007), in cui riassemblava cento sedie diverse in cento giorni, in un atto performativo che è diventato un manifesto del suo approccio al progetto.

La performance di Martino Gamper per i dieci anni di Nilufar Depot. Foto Filippo Pincolini

Nelle sue performance, che hanno fatto il giro del mondo – dal Victoria & Albert Museum alla Serpentine Gallery di Londra – Gamper smonta, distrugge, ricompone e ibrida oggetti d’uso quotidiano, alcuni dimenticati e buttati, altri – come in questo caso – ben più che conosciuti e preservati. Pezzi che di solito stanno nei musei di design, nei cataloghi dei rivenditori e nelle case di chi o se li è ritrovati per caso o li ha acquistati con un certo senno.

Disassemblati e non semplicemente distrutti: dagli arredi di Ico Parisi, Franco Albini, Franca Helg, Fabricius & Kastholm e Luigi Caccia Dominioni sono nati nuovi oggetti, esposti proprio da Nilufar Depot, in viale Lancetti, sempre a Milano, a partire da questo mese.

La performance di Martino Gamper per i dieci anni di Nilufar Depot. Video Mattia Cossi

La performance, che sconvolge, fa sorridere e inevitabilmente divide, ma al tempo stesso è una realistica presa di posizione su cosa potremmo fare del patrimonio del progetto, riflette sull’heritage del design nella sede di una galleria che quell’heritage l’ha costruito, aprendo a nuovi modi per riscriverlo.

È un gesto che rimanda al “riuso creativo”, comparso spesso nella storia dell’arte ma raramente nel design, e che richiama le pratiche di Gustav Metzger, con la sua Auto-Destructive Art, o di Raphael Montañez Ortiz, che negli anni Sessanta faceva a pezzi pianoforti e televisori come critica radicale alla società dei consumi. Qualcosa di ancora più simile, poi, si sta verificando nel mondo dell'automotive, con l’artista Akira Nakai che è solito disassemblare e stravolgere radicalmente macchine d’epoca.

Martino Gamper e Nina Yashar. Foto Filippo Pincolini

Ma soprattutto, la pratica di Gamper si lega alla storia di Depot, nato nel 2005 come laboratorio sperimentale ma anche come teatro – d’altronde la sua architettura firmata da Massimiliano Locatelli si ispira a quella della Scala di Milano – dove mettere in scena tutte quelle idee che negli spazi istituzionali di solito bussano e non entrano.

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