Salone del mobile e Fuorisalone 2019

Nina Yashar: “Se avessi un super potere sarebbe il teletrasporto”

Intervista all’instancabile gallerista, esploratrice e fondatrice di Nilufar sul nuovo progetto per la Milano Design Week 2019 – con Libby Sellers e Studio Vedet, allestimento di Space Caviar – sulle sfide della sostenibilità e sul ruolo del design oggi.

Nina Yashar nello spazio Nilufar Depot

Nata a Teheran e arrivata a Milano nel 1963, Nina Yashar ha aperto la sua prima galleria di design nel 1979 come evoluzione dell’attività di famiglia basata sul commercio di tappeti antichi. Da quel momento, il lavoro di ricerca, collezione e scoperta non ha conosciuto battute d’arresto: Nilufar (che in persiano significa “fiore di loto”) è stata affiancata da Nilufar Squat – stralci d’interni domestici esclusivi in case vuote – e, due anni fa, da Nilufar Depot, una ex-argenteria trasformata in scenografico spazio espositivo con il progetto di Massimiliano Locatelli. Per la terza volta, alla Milano Design Week, il Depot ospita “FAR”, nuovi lavori di un gruppo di designer emergenti, selezionati quest’anno da Studio Vedet. L’allestimento, firmato da Space Caviar rievoca alcune proposte radicali degli anni Settanta, soprattutto l’Oase No.7 di Hans Rucker Co’s. L’utopia di un tempo, però, oggi è diventata realizzabile e suggerisce idee per modi di abitare completamente nuovi. Sempre al Depot la mostra “New Sculptural Presence” curata da
Libby Sellers, allestimento di Patricia urquiola.

Qual è il suo rapporto con Milano, la città dove vive dal 1963. E com’è cambiata Milano, anche grazie al design?
Sono sempre stata attratta da Milano per la sua architettura pioneristica promossa nel periodo della ricostruzione post-bellica da architetti del calibro di Portaluppi, Ponti, Albini, BBPR, Caccia Dominioni, Ignazio Gardella, Mangiarotti, Magistretti… I grandi progetti degli architetti milanesi di quell’epoca sono stati sempre fonte d’ispirazione per le mie ricerche nel mondo degli arredi e design vintage d’autore. Lo spirito della Milano che progetta, però, non si è mai spento: sicuramente l’Expo del 2015 ha portato nuova energia e rinnovato lo spirito di questa città, che in Italia è il maggiore hub di confluenza dell’avanguardia tecnologica anche grazie alle aziende storiche che non hanno mai smesso di scommettere sull’innovazione.

All’inizio si trattava di tappeti, poi è arrivato il design: cos’è per lei oggi un tappeto?
I tappeti erano un mestiere di famiglia, un’attività che avrei potuto continuare in modo naturale. Oggi però mi rendo conto che il tappeto ha assunto sempre di più un ruolo fondamentale nella creazione delle mie storie:

Un tappeto è una stanza senza pareti, è un elemento di misura ma soprattutto di sinergia fra tutti gli altri arredi ovvero quell’elemento che fa di un interno una vera e propria conversazione.

Com’è stato pensato l’allestimento per questa edizione del Salone?
L’allestimento è stato progettato da Space Caviar, ideato dal suo direttore Joseph Grima, come scenografia del progetto “FAR”, un viaggio nella galassia di un gruppo di designer emergenti. L’idea d’installare tre bolle gonfiabili sospese nello spazio centrale del Nilufar Depot rievoca alcune proposte radicali degli anni Settanta, soprattutto l’Oase No.7 di Hans Rucker Co’s, con la differenza che oggi tutti i componenti costruttivi di questi sistemi pressurizzati sono disponibili e facilmente reperibili online (sono stati acquistati su Alibaba.com, ndr). L’utopia di un tempo è diventata realtà commerciale. L’allestimento di Space Caviar parte dal recupero d’idee passate per arrivare a modi di abitare completamente nuovi.

Quali sono i curatori e i designer con cui ha lavorato, le sorprese e le novità?
L’intero progetto “FAR” è stato co-curato con Valentina Ciuffi di Studio Vedet, alla quale mi sono rivolta per lo sguardo diverso e complementare al mio sulla scena del design contemporaneo poiché mi ero accorta che il mio modo di selezionare design era diventato univoco, come se stessi coltivando una mono-visione e non riuscissi a spingermi in direzioni diverse. Questo mi ha fatto sentire in difetto, quasi stessi tradendo la mia natura curiosa, la voglia di cambiare e sorprendere che ho sempre avuto. Inoltre ho lavorato con la curatrice Libby Sellers visitando artisti ceramisti che vivono e lavorano a Londra e insieme abbiamo selezionato i lavori di Nao Matsunaga, Irina Razumovskaya e Jonathan Trayte per le nuove sculture che ho commissionato per la galleria. Questa interessante selezione di opere è presentata attraverso il progetto di allestimento di Patricia Urquiola che conosco da anni. Nella galleria di via Spiga, invece, i protagonisti sono Michael Anastassiades, Martino Gamper e Brigitte Niedermair.

Come vede la relazione tra artigianato e design?
Il ruolo del design è evidentemente cambiato, tecnologia, ecologia, biologia e politica sono al centro delle ricerche degli studenti di design delle accademie di tutto il mondo. Agli oggetti si sostituiscono per lo più le indagini dei giovani designer, che dialogano con tutte le discipline per entrare nei contesti più diversi e, passando attraverso musei, approdano nelle città, nei centri di ricerca, nei campi profughi e nelle grandi industrie di materiali alternativi. Sotto questi nuovi stimoli e interessi, anche l’artigianato è stimolato a evolversi, a raccogliere nuove sfide e innovarsi attraverso il design. Per esempio, nei lavori di “FAR” è molto chiaro il focus sul processo e la forma è frutto d’indagini approfondite sulla materia e sulla tecnica di realizzazione, che è sempre artigianale.

E tra arte e design?
È sempre più evidente quanto le nuove direzioni del design sembrino portare a risultati formali che si distaccano dalla funzionalità, rompendo il dogma modernista della forma che segue la funzione: i pezzi che presentiamo quest’anno aprono quasi la porta di una nuova categoria che si potrebbe definire “functional art”. Un’ibridazione interessante che può sicuramente rinnovare entrambi i mondi del design e dell’arte, rendendo il primo più sperimentale e il secondo più accessibile.

In questi anni ha lavorato con tanti designer, quanti?
Circa 70 designer.

Con chi si è creata la maggiore sintonia?
Martino Gamper e Bethan Laura Wood.

Qual è la sfida di lavorare su nuovi progetti di design?
La sfida è sicuramente legata al concetto di sostenibilità, principalmente su due fronti. Da un lato, l’utilizzo di nuovi materiali sostenibili, derivati dal riuso creativo di parti, come Thomas Ballouhey o dalla sintesi innovativa di materie riciclate e agglomerate che vengono poi finemente lavorate da artigiani per dar vita a nuovi arredi, come Martino Gamper. Dall’altro lato, penso alla sostenibilità nella sua accezione sociologica e sociale, proposte concrete rivolte a implementare servizi, sistemi e infrastrutture per far fronte a situazioni critiche, come cambiamento climatico, cataclismi naturali, scenari bellici e conseguenti flussi migratori.

Dove trova e acquista i pezzi per la sua galleria?
Per quanto riguarda il vintage, dal mio network di dealer che ho coltivato e allargato in tanti anni di lavoro. Similmente, per i progetti contemporanei, sto instaurando nuove collaborazioni con curatori che mi supportino con uno sguardo completo sul panorama multisfaccettato, frammentato e fluido del design contemporaneo.

A quale pezzo non saprebbe mai rinunciare?
L’Illuminazione. I lampadari modello 2045p di BBPR, creati a partire da componenti modulari prodotti da Arteluce sotto la direzione di Gino Sarfatti

C’è uno stile Nina Yashar?
Nel momento in cui ho messo in conversazione in uno stesso spazio pezzi di culture ed epoche diverse, si è formato naturalmente il mio stile che poi ho affinato negli anni attraverso la ricerca di contrasti o, meglio, dissonanze armoniose.

È stata soprannominata in molti modi, per esempio la Peggy Guggenheim o il Re Mida del design: lei come si definisce?
Un’esploratrice.

Se avesse un super potere, come lo userebbe nel suo lavoro?
Se avessi un super potere sarebbe il teletrasporto: lo userei per radunare gruppi di designer e lanciare stimoli e concorsi per sviluppare progetti che supportino la sperimentazione e il pensiero contemporaneo. Ma anche per dare vita a progetti che ricostruiscano la memoria storica del design e della progettazione e riportino a galla storie dimenticate e importanti per comprendere il pensiero contemporaneo e aiutarlo a svolgersi con coerenza: verso un’innovazione sana e rispettosa di quello che siamo stati, lungimirante e attenta di quello che potremmo diventare.

Immagine di apertura: Ritratto della gallerista Nina Yashar nel Nilufar Depot.

Progetto:
FAR
Curatore:
Studio Vedèt
Allestimento:
Space Caviar
Dove:
Nilufar Depot
Indirizzo:
viale Vincenzo Lancetti 34, Milano
Progetto:
New Sculptural Presence
Curatore:
Libby Sellers
Allestimento:
Patricia Urquiola
Dove:
Nilufar Depot
Indirizzo:
viale Vincenzo Lancetti 34, Milano

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