Su quali edifici si possano definire effettivamente “brutalisti” c’è sempre stata una certa confusione generale, soprattutto da quando il Brutalismo, allontanandosi dalla corrente architettonica nata negli anni ‘50 per sovvertire il Movimento Moderno, è finito per diventare sinonimo di un’estetica esibita sui social. Ma a prescindere dai trend e dall’immaginario collettivo, un dato è certo: il Brutalismo non è solo grigio e non è fatto solo di cemento. L’ultimo libro fotografico prodotto da Blue Crow Media, la casa editrice indipendente conosciuta per le sue mappe tematiche nelle città di tutto il mondo, come quelle di Vienna o Parigi, lo mostra apertamente, raccogliendo più di 100 interni dell’architettura brutalista in 30 paesi. Le immagini contenute in Brutalist Interiors sono di Iwan Baan, Roberto Conte, Stefano Perego e altri fotografi internazionali che hanno catturato l’essenza di questi edifici, andando oltre all’involucro esterno.
Gli interni del brutalismo non sono come ti aspetti: lo mostrano queste foto
Brutalist Interiors, l’ultimo libro fotografico prodotto da Blue Crow Media, porta il lettore all’interno di Habitat 67 e nelle case di John Lautner: cosa si nasconde dentro a questi imponenti edifici di cemento?
Barbican, photo Max Colson. Courtesy Blue Crow Media
Basilica Cathedral of Our Lady of Altagracia. Courtesy Blue Crow Media
Cafeteria Saarland Mensa Canteen. Courtesy Blue Crow Media
Faculty of Philosophy Novi Sad, photo Relja. Courtesy Blue Crow Media
Hauts-de-Seine Prefecture, photo Laurent Kronental. Courtesy Blue Crow Media
Housden House. Courtesy Blue Crow Media
Jaú Bus Station, photo Nelson Kon. Courtesy Blue Crow Media
Johannes XXIII Church. Courtesy Blue Crow Media
Pedro Reyes House, photo Reyes Fernandez. Courtesy Blue Crow Media
Sheats Goldstein, photo Jason Woods. Courtesy Blue Crow Media
Shui Cultural Center. Courtesy Blue Craw Media
Temple of Monte Grisa. Courtesy Blue Crow Media
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- Francesca Critelli
- 19 settembre 2025
Ci sono gli interni di Habitat 67 di Moshe Safdie a Montreal, la Facoltà di Filosofia di Novi Sad in Serbia, gli interni immacolati delle architetture giapponesi di Tadao Ando e l’incredibile serra del Barbican Centre di Londra. Molti progetti mostrano spazi fortemente caratterizzati da colori accesi, come la Mensa dell’università di Saarland, in Germania, o la Stazione degli autobus di Jaú, in Brasile. Compaiono poi interni in cui, affianco al cemento, ci sono pareti in mattoni, elementi in legno e pavimenti di micro-piastrelle, come nel caso della Housden House, l’abitazione londinese progettata dall’architetto per se stesso, o in cui l’uso del vetro permette una maggiore esaltazione del cemento, come nella Sheats Goldstein Residence di John Lautner.
Molti di questi siti sono ad oggi inaccessibili per motivi differenti, e questo rende il libro un’occasione – forse unica – di conservarne una testimonianza intellettuale, grazie ai contributi testuali di storici e critici dell’architettura, ma soprattutto una dimostrazione visiva che tenta di rimettere a fuoco il Brutalismo, invitando a guardare meglio ciò che credevamo di conoscere.