Il 2025 è stato l’anno dei vampiri, ma il migliore ve lo siete perso

Addio occulto, addio mitologia, Nosferatu o Tame Impala: nel 2025 il Dracula di Radu Jude è un film da 3 ore creato con l’iPhone e l’AI, dove il vampiro si arrabatta cannibalizzato e commercializzato in un mondo ormai prodotto “by design”. 

È cominciato tutto subito, quest’anno, col Nosferatu di Robert Eggers fuori già il primo di gennaio (in Italia); poi immancabile Halloween col Dracula del regista Luc Besson accolto da recensioni contrastanti, e ancora il Dracula singolo-simbolo del ritorno della band australiana Tame Impala, neo-rinati profeti del maschio decostruito mainstream: vampiri ovunque quest’anno, figure oggetto di un nuovo, grande revival. Avanguardia pura, verrebbe da dire. Ma quello è stato un altro teaser. È Dracula stesso ad essere qualcun altro, sul finire del 2025: il Dracula di oggi è esausto, esaurito, baracconistico, è costretto a estrarsi i denti da solo perché i dentisti hanno prezzi folli; è commodificato, è diventato un bene di consumo fin nel significato più trucemente letterale, e in assoluto “più 2025” tra quelli di quest’espressione. È il Dracula di Radu Jude, il regista rumeno che lo ha portato in giro per festival come Locarno per poi dargli un rapido passaggio in sala, sempre sotto Halloween.

Non certo nazionalpopolare – benché totalmente hyperpop – il film ha la forma di quei diari degli adolescenti anni '90, che a fine anno erano quasi irriconoscibili nella continuità del loro materiale originario, sformati e farciti di ogni sorta e razza di inserto cartaceo, plastico, fisico e organico purché incongruo. O almeno all’apparenza.
Sono tre ore dritte di film, con una pietosa vicenda contemporanea nella Romania del turismo vampiresco a fare da base a una dozzina di “digressioni” a durata diversissima – una è la mise en scène di un romanzo anni '30 e dura quasi un’ora.

Il Dracula del 2025 è vampiro ‘by design’, promptato, commodificato, ridotto a prodotto in un mondo che non può che essere progettato per fare soldi.

Quanto a estetiche, tocca dire addio alla sontuosità immaginifica tutta fine ‘900 di Coppola, addio drappi e armature nippo-infere di Eiko Ishioka, addio lacrime per Annie Lennox sui titoli di coda. Che dolore.
Il Dracula di Radu Jude è un film dove la componente di design è altissima, ma stavolta non si parla di design del prodotto, di estetiche dell’oggetto: qui il design permea tutta la costruzione dell’opera in una maniera sottile, nei processi, nello sguardo posato sugli spazi, sulle persone, sulle iconografie e sul loro significato nel mondo contemporaneo.

AI, prima di tutto. Quintali di AI come personaggio attivo, più co-protagonista che strumento. In una rappresentazione di quelli che sono i processi creativi contemporanei, una metafora neanche troppo astratta dei design process, si parte dal regista in crisi creativa – alter ego di Jude, interpretato dal suo attore feticcio Adonis Tanța, qui presente in altri ruoli – che chiede soggetti per storie di vampiri a una intelligenza artificiale transilvana dedicata. E ci si inoltra in un viaggio tra l’inferno e Miami Beach (sempre che siano distinguibili) dove Dracula di volta in volta può uscire da un suo stesso film nella sala tv di una clinica postsovietica per anziani miliardari, tradursi in mostracci anni ’60 generati in forse 20 secondi di elaborazione, oppure evocare come manager di azienda sfruttatrice una mini-apocalisse zombie con gli soldati che nel 1933 aprirono il fuoco su lavoratori in rivolta. O si incontra l’ormai centenario Nosferatu di Murnau, stavolta bombardato di pubblicità porno, rigorosamente vintage.

Poi, la città. Il suo spazio costruito e cannibalizzato, i suoi esterni e i suoi interni divorati dal consumo, che manco sputa l’osso. (Nota non troppo a latere: il film è stato girato in meno di un mese, con un budget ridottissimo, in certi passaggi anche usando un iPhone). Il Dracula del 2025 è un Dracula che abita gli spazi dell’overturismo. Torna a Sighișoara (in forma di ragazza) e viene espulso come seccatore dalla sua casa natale, ormai diventata una tourist trap. Va da un dentista, ma non ha i soldi per pagarlo ed è calciato per strada, a estrarsi da solo i leggendari canini. La città e la Transilvania tutta, il loro spazio, sono un bene acquistabile, e a prezzo per niente basso, da turisti che, una volta pagato, pretenderanno esperienza, convinti con la massima serenità che del pacchetto di beni acquistati facciano parte anche le persone.

Radu Jude. Foto Raluca Munteanu

Qui è il design a essere il vero mostro, nel senso negativo del termine. Finita la mitologia del Dracula vampiro come esorcizzazione degli irrisolti storici di diversi popoli, o del rapporto con religione e sfera dell’ignoto – chiamiamolo occulto, se ci pare: il Dracula di Jude è vampiro “by design”, promptato in un’intelligenza artificiale per declinarsi in una palette di diverse personalità tutte laide, grottesche o fallimentari; vilificato nel disegno cheap della sua casa natale, ora museo in cartapesta e lucine dei suoi impalamenti; o ridotto a punto di programma nella oscena cena-spettacolo che fa da Leitmotiv a tutto il film, un pur scalcagnato progetto di marketing, nel suo squallore, destinato a rivelarsi singolarmente azzeccato rispetto al suo target. È un vampiro “by design” che si muove in un mondo “by design”, nel mondo del capitale che altro non può essere se non progettato, in ogni pur misero aspetto, per fare soldi, possibilmente farli fare agli altri e se tutto va bene, ogni tanto, spillarne loro un po’.


E da questa dimensione non si esce: “though you fight to stay alive, your body starts to shiver, for no mere mortal can resist the evil of the thriller” recitava Vincent Price prima di chiudere Thriller di Michael Jackson con la risata mefistofelica più famosa al mondo. O anche, meno evocativamente, “There is no alternative”. E questo lo diceva Margaret Thatcher. Ripresa, con non poca disperazione ma anche con un punto interrogativo, da Mark Fisher.
Felici feste.

Tutte le immagini: Radu Jude, Dracula, 2025. © SagaFilm, Nabis Filmgroup, PTD, Samsa, MicroFilm 2025. Courtesy Locarno Film Festival