Se sovraffollamento e sviluppo edilizio intensivo sono specificità degli agglomerati urbani, che alla pressione insediativa e alla scarsità di suolo libero rispondono attraverso la tipologia del “grattacielo” a minima impronta planimetrica e massima estensione verticale, oggi anche località extraurbane un tempo estranee a flussi di inurbamento si arrendono all'imperativo della densificazione e della costruzione “high rise” imposte dal turismo di massa.
È il caso di Zermatt, iconica località di villeggiatura di montagna a 1600 metri di altitudine ai piedi del Monte Cervino che, con la sua popolazione di 6mila residenti che lievita a 40mila in alta stagione, combatte ciclicamente contro l’implosione ricettiva, alimentando un mercato immobiliare sempre più economicamente proibitivo ed elitario.
A dare una risposta alla cronica carenza di alloggi e al forte sovraccarico urbanistico del paesino alpino, ci ha pensato l'imprenditore-architetto-designer Heinz Julen che ha proposto di importare dalla metropoli la tipologia del grattacielo ad alta densità e basso impatto ambientale: è Lina Peak, una torre multifunzionale di 260 metri che si staglia come un ago d'acciaio e vetro conficcato nella valle e puntato verso il cielo.
L’edificio, di cui è stato recentemente presentato il concept, inaugura potenzialmente nella regione una stagione urbanistica che punta in alto (in termini non solo altimetrici ma anche di marketing territoriale): il complesso, candidato a diventare il più alto grattacielo di Svizzera, ospiterebbe su 65 piani 550 alloggi, sale per eventi e concerti, spazi sportivi e una piscina pubblica, ponendosi come manifesto per una rinnovata gestione turistica della zona basata sulla concentrazione più che sulla diffusione dei servizi di accoglienza.
Il complesso, candidato a diventare il più alto grattacielo di Svizzera, ospiterebbe su 65 piani 550 alloggi, ponendosi come manifesto per una rinnovata gestione turistica della zona.
Un gesto simbolicamente dirompente che estremizza l’attitudine alla densificazione propria di resort montani e stazioni sciistiche in tutto il mondo (da Chengdu ad Aspen, anche se con altezze costruite inferiori e all’interno di insediamenti a fondo valle o in metropoli in quota) e che si iscrive nel solco già tracciato, in Svizzera, da alcune proposte rimaste sulla carta o recentemente realizzate: dagli incompiuti “227 Schatzalp” a Davos (la torre di 105 metri progettata da Jacques Herzog e Pierre de Meuron nel 2003) e “7132” (il grattacielo di 381 metri progettato da Morphosis Architects nel 2015 nei pressi delle Terme di Vals di Peter Zumthor); fino alla realizzata “Tor Alva” nel villaggio di Mulegns che, “accontentandosi” dei suoi 30 metri, detiene il record mondiale di torre stampata in 3d più alta del mondo.
Al di là dei records e dei buoni intenti, un’operazione concettualmente non indenne da contraddizioni. Perché se, da un lato, il ridotto consumo di suolo, l’elevata concentrazione di servizi e di infrastrutture, le performances ambientali potenzialmente performanti traducono la volontà di ridurre sprawl edilizio e impronta ecologica, dall’altro la “metropolizzazione” alpina implica il rischio dello snaturamento paesaggistico, le complessità tecniche (e relativi costi) di un cantiere in particolari condizioni climatiche ed ecologiche, e lo spettro di politiche immobiliari speculative a rischio di débâcle, qualora i flussi turistici calassero, i costi di gestione esplodessero, o ulteriori strategie di marketing spingessero le masse di sciatori verso altre vette (e torri) più alte.
