Cosa si sono inventati quest’anno i brand degli smartphone

Con dispositivi sempre più potenti ma sempre più uguali tra di loro, l’approccio tra design è comunicazione è quello di lavorare sulle eccezioni per scongiurare l’entropia delle forme e delle funzioni. Diversificando fino al paradosso.

Nell’anno della pandemia, la tecnologia ha giocato un ruolo importante. Ma l’ha fatto soprattutto su tablet e portatili, mentre i compagni fedeli della nostra vita nomade, gli smartphone, sembrano rimasti un po’ nelle retrovie, schiacciati in una timidezza globale insieme alle nostre aspettative di vita sociale. Chi ha bisogno di un nuovo telefono, se lavori in casa e non puoi andare a cena al ristorante? Intanto Huawei ha iniziato a dare i primi veri segni di cedimento dopo il ban di Trump; LG si è recentemente ritirata dal mercato smartphone. Xiaomi cresce sempre di più, rincorsa dagli “altri“ cinesi: Oppo, OnePlus, Lenovo/Motorola. Samsung difende il suo primato. Sony prima o poi forse potrebbe fare la fine di LG, intanto però sforna nuovi interessanti modelli. Nuovi spazi di mercato si creano. E i brand cercano di differenziarsi, di raccontare in modo diverso il loro prodotto, di introdurre nuove funzionalità, per sottrarsi al fatto che, tutto sommato, di margine per innovare sul fattore di forma ne è rimasto pochissimo.

Rispetto a dieci anni fa, quando hanno cominciato a entrare massicciamente nelle tasche e nelle borse, diventando compagni di vita, e modificandola via via sotto un numero di aspetti difficilmente conteggiamo, da come comunichiamo (ovviamente) a come paghiamo a come andiamo a correre, l’evoluzione estetica degli smartphone rispetto ai modelli delle origini pare chiara: sono molto più grandi, il display ha inghiottito le cornici andando a occupare tutta la parte frontale, e si sono riempiti di fotocamere; le eventuali tastiere fisiche sono sparite. I chip sono sempre più potenti, le foto incredibili anche grazie al supporto del machine learning e i display hanno risoluzioni sempre più strabilianti. E oramai il 5G è ovunque. Ah, il jack audio ce lo siamo perso, e c’è ancora qualcuno che lo rimpiange.

Lo scorso decennio gli smartphone erano nel pieno dell’evoluzione, e i brand avanzavano in un territorio dove tutto sembrava possibile sotto il profilo della forma e delle soluzioni; oggi invece l’impressione è quella di una convergenza verso un design unico, quello della scatoletta nera anonima, con la parte posteriore dei dispositivi che resta l’ultimo spazio vergine al quale dare un po’ di gioia look&feel, con l’ineluttabile certezza che tanto gli utenti andranno probabilmente a coprirla con una probabilmente orrenda cover colorata. Del resto molti dispositivi per essere così attrattivi impiegano materiali che poi al tatto risultano spesso freddi e scivolosi all’uso, e scomodissimi per maneggiare il dispositivo quando ci scrivi una mail. E quindi la cover è necessaria anche a livello funzionale, oltre a rappresentare il sigillo della personalizzazione su un dispositivo sempre più anonimo. Che tu ci spenda 200 o 2000 euro, lo smartphone resta uguale per tutti: un rettangolino nero da infilare in tasca. In questa omogeneità, quasi quasi rimpiangiamo i barocchissimi Nokia che Vertu tempestava di pietre preziose e vendeva a cifre che neanche una Mercedes Classe G.

Xiaomi Mi 11 Ultra

Xiaomi è il brand tecnologico mass market per eccellenza dei nostri anni, con un catalogo che spazia dagli smartphone alle valigie ai purificatori d’aria ai monopattini alle auto (prossimamente) alla qualunque. Ed è uno dei giocatori più forti dell segmento dei telefoni, scalato a colpi di dispositivi da fascia media ottimamente prezzati, con qualche colpo da maestro come la collaborazione con Philippe Starck di qualche anno fa per il Mi Mix 2, un ambizioso telefono a tutto schermo, per i suoi tempi decisamente avanti. Ultimo rappresentante di questa attitudine alla sperimentazione nel raggio dei flagship il nuovissimo MI11 Ultra, un telefono che come dice il nome ambisce a essere appunto “oltre”: superprocessore e sistema di dissipazione del calore con tecnologia di raffreddamento trifase, ricarica velocissima (36 minuti da 0 a 100), schermo Amoled con bordi affusolati da 6,8 pollici e refresh rate a 120Hz, audio Harman Kardon, che poi è di Samsung, come Samsung è il sensore della fotocamera, che oltre a essere potentissimo è anche il più grande disponibile oggi su un telefono.

Xiaomi Mi 11 Ultra

Come sa chiunque si occupi un po’ di fotografia digitale, la grandezza del sensore è un elemento chiave per la qualità delle immagini, e quella dei sensori “un po’ più grandi” è stata una tendenza dei modelli ultratop del 2020 – vedi per esempio la versione Max dell’iPhone 12 Pro. L’assetto per il resto è sulla carta quello che ti aspetti da un flagship “ultra”: oltre a quella principale con il super sensore, ci sono una lente periscopica e una ultra-grandangolare, sistema di messa a fuoco con ToF, supporto per video in 8k. Basterà a incoronare questo Xiaomi Mi 11 Ultra come il cameraphone definitivo? Vedremo. Alla prova si è dimostrato ancora un po’ acerbo. E fa storcere il naso la sbandierata focale 120X, quando in realtà lo zoom ottico è “solo” del 5x. Interessante invece come il modulo della fotocamera si incastra nel dorso in ceramica del dispositivo: una sorta di lago oblò nero che non ha paura di mostrarsi ed è corredato da un piccolo schermo, che si accende con un tocco e restituisce delle informazioni essenziali. Praticamente come avere un Mi Band sul dorso del telefono. Non è la prima volta che vediamo una soluzione di questo genere, sicuramente la prima in un telefono che si propone come uno standard per il futuro. 

OnePlus 9 Pro e il matrimonio svedese

OnePlus 9 Pro

La grande novità di OnePlus quest’anno si chiama Hasselblad. La mossa ricorda da vicino il coup di Huawei dello scorso decennio, quando l’alleanza con Leica per la “co-ingegnierizzazione” del comparto fotografico dei suoi telefoni top di gamma innescò l’incredibile parabola ascendente del brand di Shenzhen, fino a quel punto colosso nella Repubblica Popolare, ma nel resto del mondo noto più che altro per i suoi smartphone performativi a buon prezzo e le chiavette per collegare il portatile a internet quando andavi in vacanza. Ma torniamo a OnePlus: nato come entità disruptive tra i giganti della telefonia, il brand si sta riposizionando sempre più in alto, lasciandosi un po’ alle spalle il tono radical nerd degli inizi per avvicinarsi a un target tecno-hipster di massa. D’altronde, i telefoni di OnePlus vanno una bomba, l’interfaccia è tra le migliori versioni di Android, il gusto del dettaglio gareggia con Apple e il meglio che Samsung abbia messo sul piatto negli anni. Senza contare quella che forse è la migliore community techie di bandiera. Cosa manca, all’ azienda di Pete Lau? Una fotocamera con i controfiocchi.

OnePlus 9

E qui arriva Hasselblad, un marchio solidamente austero, amato negli studi di posa e dai fotografi di architettura, famoso per essere stato usato sulla luna – e per le scene di Barry Lyndon girate a lume di candela, con tanto di strascico complottista sull’allunaggio. Recentemente acquisito da DJI, Hasselblad si lega a OnePlus per una alleanza triennale, pare non biunivoca – nel senso che non vedremo tecnologia OnePlus su un digital back, almeno per ora. Per questo primo passo insieme, OnePlus ha lavorato con Hassy soprattutto sulla gestione dei colori, e inserendo qualche miglioria nella modalità Pro della fotocamera e colorando di arancione il tasto per scattare. I risultati sono buoni, ma è chiaro che il meglio deve ancora venire; la fotocamera di per sé ha caratteristiche interessanti, senza essere quella più avanzata sul mercato. Lo zoom ottico della fotocamera arriva a coprire il corrispettivo di un 85mm, con 3.3x che può risultare un po’ poco rispetto alla concorrenza. Interessante invece la presenza, oltre alla lente normale e al super grandangolo oramai di serie su qualsiasi telefono, di una fotocamera con sensore monocromatico, guarda caso, una mossa che aveva fatto anche Huawei a suo tempo, per dare migliore contrasto alle foto a colori e più qualità a quelle in bianco e nero. Per il resto, il telefono è un upgrade del modello Pro dell’anno scorso, con uno schermo stondato sui lati ancora migliore, un processore Snapdragon migliore, una ricarica migliore – batteria da 0 a 100 in mezzora! –, e così via. E come oramai da abitudine c’è anche un modello “base”, che costa un po’ di meno e perde qualcosina soprattutto a livello di fotocamera, ma resta il marchio Hasselblad da mostrare agli amici nerd delle fotocamere.

Oppo Find X3 Pro, oltre al microscopio c’è di più

Oppo Find X3 Pro

Con l’impero Huawei al tramonto e l’orda Xiaomi più agguerrita che mai, a Oppo, che dei brand che afferiscono al colosso BKK è quello che più si trova in una posizione mediana – con OnePlus che tira sempre più verso l’alto, mentre Vivo e Realme spingono forte sulle fasce di mercato più a buon prezzo – a Oppo, dicevamo, non resta che combattere su più fronti. Da un lato su quello dell’innovazione, e sono anni che l’azienda stupisce con concept più o meno inaspettati, il caso più recente è il rollable Oppo x 2021, quasi un sorpasso a destra in una roadmap globale degli smartphone dove si deve chiarire il destino dei foldable, o ancora il concept nato dalla collaborazione con Nendo. E poi ci sono i prodotti che finiscono sugli scaffali. Il nuovo Find X3 Pro, accompagnato al lancio dallo slogan “riscopri il colore” è per molti versi il telefono molto molto buono che ti aspetti da un brand solido: prestazioni eccelse, buona ma non eccezionale la fotocamera (poi so’ gusti, ovviamente, di sicuro siamo ancora sotto Apple e Samsung), ottimo il pannello dello schermo (c’è da riscoprirci il colore, del resto, no?).

Oppo Find X3 Pro

Ma è nel retro del telefono che può essere trovato il lato distruptive di questo dispositivo, con una scocca posteriore incredibile, oltre per la sua capacità sovrumana di attrarre impronte, perché ingloba con un abbraccio di linee sinuose il modulo della fotocamera, che di solito nei telefoni recenti, dotati di un numero spropositato di lenti, si erge solitario e po’ triste come un atollo che è stato precipitato all’angolo di una distesa disabitata. Questa soluzione estetica di curve che si avvicendano senza soluzione di continuità, ispirata dice Oppo allo spazio – si vola bassissimi, insomma – è stata realizzata con un processo tutt’altro che semplice, grazie al quale la superficie di vetro 3D si mostra ininterrotta come in un disegno. La complessa ingegnerizzazione del dorso è passata attraverso 100 versioni di stampo – cinque volte il normale. Un risultato importante, diverso, anche se non per forza esteticamente apprezzabile, frutto di uno sforzo magistrale, probabilmente un punto di riferimento per il futuro, ed è un peccato sapere che sarà probabilmente fagocitato da qualche anonima cover.

Oppo Find X3 Proi

Più che per l’avanzatissima tecnologia del suo design materiale, il Find X3 Pro sarà probabilmente ricordato per il microscopio. Sì, perché per rispondere a una misteriosa esigenza di cui pochi di noi avevano consapevolezza, Oppo ha inserito una lente con ingrandimento 60x che consente agli utenti di catturare dettagli che probabilmente neanche immaginavano nelle loro foto, o forse neanche volevano; la stampa ha reagito entusiasta, con una sciarada di titoli sulla presenza del microscopio tra le modalità dell’app fotocamera che hanno in effetti fatto di questa opzione-gadget il biglietto da visita di un telefono maledettamente buono, forse fin troppo buono per non essere eccezionale. Mancano forse dettagli in questo Find X3 Pro, mancano raffinatezze, manca forse anche una impronta forte, una filosofia di progettazione che viaggi insieme alla narrazione del prodotto e scaldi l’esperienza utente; ma ci sono tutte le tecnologie di punta che ritroveremo a scalare negli altri Oppo del presente e del futuro prossimo, e questo è probabilmente il senso ultimo di questo flagship. Un’ultima cosa: ColorOS, la personalizzazione Android di Oppo, tra l’altro da poco aggiornata, è molto migliorata, ma la sensazione che restituisce è forse un po’ troppo basica e – come si dice nella moda –, cheap: abbiamo fatto la scocca spaziale, ora forse è il caso di investire in un redesign dell’interfaccia. Magari firmato.

Motorola Moto G100, il primo Moto che si trasforma in desktop

Sono giorni felici quelli di Motorola. Grazie al Razr foldable, poi ribattuto in versione 5G, il marchio è tornato alla ribalta, come mai lo era stato dai tempi dell’acquisizione di Lenovo. Calato l’asso, Motorola ha continuato a fare il suo gioco degli ultimi anni, con dispositivi solidissimi mirati chirurgicamente alla fascia media del mercato, che però cercano anche di portare all’utente quel qualcosa in più, o recuperare idee valide che si erano un po’ perse per strade nell’ intricato e spesso noiosissimo mercato dei telefoni. È stato così con l’Edge, che ripristinava l’idea di utilizzare funzionalmente e non solo come orpello estetico quei bordi stondati che in Oriente pare siano oramai sinonimo di smartphone di fascia alta, mentre con il nuovo Moto G100 viene introdotta su un valido dispositivo di fascia media – comparto fotografico con sensore ToF e doppia fotocamera selfie, schermo grande da 6.7 pollici e batteria di 5000mAh – la possibilità di aumentare l’esperienza del telefono, semplicemente collegandolo via cavo a un tv o monitor, in un ambiente desktop, da usare anche con mouse e tastiera. Anche qui, nulla di nuovo sotto il sole: l’idea era stata lanciata da Samsung anni fa con DeX, seguita a ruota da Huawei e anche da LG. Motorola allarga il concetto alla possibilità di collegarsi allo schermo solo per guardare un film o giocare o fare una video call. È quel qualcosa in più che in altri tempi sarebbe sembrato una opzione collaterale, ma che oggi, con l’evoluzione delle modalità di lavoro dovute al lockdown, sembra particolarmente azzeccato, con svariati possibili impieghi d’uso.

Samsung Galaxy S21, l’elogio della semplicità

Samsung Galaxy S21 Phantom Violet

Se c’è una azienda che ha deciso di fare tutto più semplice, quella è Samsung. È una semplicità che non collide con la qualità, tutt’altro, ma si vede nella linearità del linguaggio di design scelto, che schiva ogni orpello nell’estetica e si concede solo di ingabbiare in un elemento metallico che corre lungo uno dei bordi del telefono il bump della fotocamera; che si riverbera nell’immediatezza d’uso dell’interfaccia – la One UI, arrivata alla versione 3.1–, soprattutto in quella della fotocamera – essenziale e quindi perfetta –; che continua in scelte che faranno storcere il naso a qualcuno, come il fatto che la memoria non si può espandere con una MicroSD. Ma così è tutto più semplice, come il nome: è il 2021, Galaxy S21. Siamo lontani dai tempi in cui ogni aggiornamento Galaxy S inglobava nuove sfavillanti funzioni aggregandole in un accatastamento rococò di opzioni sovrapposte e confusionarie, una sorta di iper-matrioska digitale. Altra nota positiva, fa sempre meno presenza Bixby, l’assistente digitale che forse è la vera scommessa persa da Samsung negli ultimi anni. Rispetto all’anno scorso il display ha meno risoluzione, ma la resa del pannello FHD+ resta eccellente, come eccellente è la fotocamera, anche se forse i colori per i gusti di qualcuno saranno esageratamente saturi. Lo schermo è piatto, anche qui va un plauso a Samsung per la scelta che preferisce la funzionalità alla trappola estetica del bordo stondato. 

Galaxy S21 Phantom White

È disponibile in versione base, con display da 6,2”, o S21+, con schermo più grande – 6,7”. Per il salto di qualità c’è l’S21 Ultra, che come dice già il nome è l’ultratop di gamma: schermo da 6,8” con display eccellente, compatibilità con la S-Pen, che finora era vincolata al Note, quadrupla fotocamera con zoom ottico 10x, performance di altissimo livello e prezzo proporzionato. Rispetto alla concorrenza cinese, Samsung resta indietro solo sulle ricariche super veloci, un punto su cui il brand è cauto. Del resto proprio sulla batteria (quella del Note 7) l’impero del brand coreano nella telefonia ha rischiato di implodere.
L’S21, con una mossa che ricalca quella di Apple, arriva in una scatola più sottile, nella quale manca il caricatore. Altra mossa che farà storcere il naso a qualcuno, ma che diventerà probabilmente l’abitudine di tutti. Fa risparmiare e un po’ di greenwashing nel tech non fa male. D’altra parte speriamo che questo appena iniziato sia un decennio sempre più wireless, e di sostituire presto con caricatori senza fili integrati nell’arredamento di casa, ufficio e bar, tutti gli orrendi bussolotti con cavo per la ricarica che ci siamo faticosamente portati dietro negli anni Dieci. 

Galaxy S21 Ultra Phantom Silver

Salvo dove diversamente indicato, gli smartphone provati sono stati forniti dai relativi marchi e dai loro uffici stampa. 
Tutte le foto utilizzate sono state fornite dai brand.

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