Sempre più spesso una parola importante come
ecologia è utilizzata al puro scopo di incrementare
le vendite di materiali, tecnologie o know-how in
modo tale da meglio giustificarne il loro impiego o
il loro costo più elevato.
Assistiamo in tal modo a una proliferazione di
prodotti “verdi” senza tuttavia poter
verificare se quanto ci viene proposto contribuisca
realmente alla salvaguardia dell'ambiente.
Il percorso umano e professionale di Mauricio
Cardenas Laverde rappresenta la prova
concreta che,
talvolta, con semplicità e intelligenza è possibile
proporre nuovi modi di fare architettura non solo
rispettando l’ambiente ma aiutando a risolverne
problemi enormi come l’abbattimento dei livelli di
CO2 e contribuendo, in questo modo, sviluppo delle
aree più povere del pianeta. Il lavoro di Cardenas
oggi si concentra nello studio e nella ricerca di
possibili impieghi del bambù nell’edilizia così come
nell’architettura degli interni destinata a mercati
con elevato potere d’acquisto.
Cardenas si laurea in architettura a Bogotà, vince
la borsa di studio a Firenze e si trasferisce a Milano
per una breve esperienza di lavoro che invece non
è mai finita, salvo una breve parentesi parigina
dove lavora nello studio di Renzo Piano.
Con studio a Milano e cattedra presso il Laboratorio
di Innovazione Tecnologica della Facoltà di
architettura del Politecnico di Torino, l’architetto
colombiano all’attività professionale associa un
intenso lavoro di ricerca. Interessato all’utilizzo dei
materiali naturali ne esplora potenzialità e
linguaggi. Il bambù in particolare è il materiale
intorno al quale ha lavorato più intensamente, tanto
che una trave realizzata con la sezione del culmo
porta ora il suo nome.
Pierfrancesco Cravel: perché il bambù?
Mauricio Cardenas : perché è parte della
mia cultura, della mia terra, la Colombia, dove i
culmi, cioè le canne, crescono spontaneamente fino
a 30 metri di altezza e hanno un diametro da 10 a
24 cm.
Nella zona che viene chiamata “Zona cafetera”
perché li si trovano le maggiori piantagioni di caffè
che si estendono per centinaia di chilometri tra
boschi di bambù, puoi trovare esempi di
architetture locali molto belle interamente
realizzate in Bambù, soprattutto sulla Cordigliera
centrale Ovest, tra Armenia e Pereira.
Vivevo a Bogotà, e non ci ero mai stato. Quando ci
sono andato per completare la mia tesi di laurea ho
scoperto interessantissime architetture anonime e il
lavoro di Simon Velez, considerato uno dei massimi
esponenti dell’architettura contemporanea in
Bambù. Sarei dovuto rimanerci per pochi giorni ma
ci sono stato per più di un mese, ospite di un
medico che aveva visto quanto mi stavo
appassionando al tema della tesi con la quale mi
ero proposto di studiare l’architettura tradizionale
di quest’area dove tutto è costruito in Bambù, dalla
favelas alla casa nobile.
P.C.: e dopo la tesi di laurea?
M.C.: sono andato a Firenze
affascinato dal Rinascimento. Tesi e bambù sono
rimasti nel cassetto. In Italia mi sono innamorato di
Elisa (Astori n.d.r.), e dieci anni fa mi sono
sposato, abbiano vissuto un po’ a Parigi dove è nata
Sofia. Poi siamo rientrati a Milano dove ho
continuato la collaborazione con RPBW facendo
parte della direzione artistica del cantiere della
nuova sede del Sole 24 Ore, e ho aperto il mio
studio. Abbiamo trovato casa, ed è nato Santiago, il
fratellino di Sofia.
P.C.: quindi quando hai riaperto il cassetto
che ricorda così tanto quello di Paul, il protagonista
insieme ad Elisabeth di Les Enfant terribles
di Cocteau?
M.C.: ho sempre guardato
sempre al bambù come a uno straordinario
elemento strutturale. Dopo aver aperto il mio
studio, il mio lavoro è consistito nel
tentare di adattare questo materiale al nuovo
contesto in cui lo proponevo, l’Europa.
C’è un altro clima, una diverso modo di costruire
anche di operare. Quando ho iniziato a lavorare sul
tema, i rari tentativi di usare il bambù in Europa
consistevano nell’importazione letterale di nodi,
tecnologie e linguaggi adatti ad un contesto
tropicale, oppure di utilizzarlo come se fossero tubi
di acciaio e quindi dovendo domare-forzare il
materiale al punto di snaturarlo e per questo
secondo me, tutti, per lo più rimasti dei tentativi
isolati e poco interessanti.
Non era cioè possibile pensare di utilizzare qui i
sistemi costruttivi di Simon Velez. A parte le ovvie
e direi sostanziali differenze climatiche, in Italia
non abbiamo mano d’opera specializzata, manca
totalmente il know-how del materiale e,
soprattutto, Simon Velez, che spesso non disegna
ma lavora direttamente in cantiere, con i suoi
operai, decidendo cosa fare in corso d’opera, e
sulla base delle caratteristiche del bambù
disponibile in quel momento.
In Italia inoltre non esiste un insieme di norme
antisismiche relative a costrizioni in bambù come
quello che ad esempio è entrato in vigore in
Colombia abbastanza recentemente, nel luglio del
2010.
Questa lacuna consegue di fatto nell’impossibilità di
usare il bambù in contesti, peraltro molto comuni
del territorio italiano, in cui le costruzioni sono
soggette alle norma antisismica, proprio in
quanto, in mancanza di norme specifiche, non è
possibile certificare la compatibilità di eventuali
elementi strutturali in bambù con quanto previsto
dalle attuali leggi antisismiche.
P.C.: come proponi di utilizzare il bambù in
Europa?
M.C.: il bambù è un materiale naturale
straordinario e unico. Un eccezionale prodotto della
natura. Sogno edifici la cui struttura, almeno in
parte, sia realizzata in bambù. Con questo
materiale
si potrebbero realizzare facciate, ponti e tutti i tipi
di
costruzioni per le quali oggi viene comunemente
usato il legno lamellare. Ma anche rivestimenti
interni, arredi e design. Ultimamente sto lavorando
proprio su questi diversi temi di progetto, alla
ricerca di nuovi linguaggi contemporanei,
prevedendo l’utilizzo di elementi naturali.
Sono infatti convinto che mai come ora sia
possibile e necessario pensare alla sostenibilità non
soltanto come risparmio energetico, ma con più
ampio respiro, guardando alla complessità dei
problemi inerenti all’ambiente e a tutte le possibili
strategie per porvi rimedio.
P.C.: quindi guardi al bambù come a un
elemento costruttivo strategico per la salvaguardia
dell’ambiente e di cui studi le applicazioni nel
contesto italiano?
M.C.: si, nel contesto culturale, sociale,
economico e industriale italiano. Il bambù è
guardato con diffidenza, come un materiale del
tutto estraneo agli usi edilizi locali. E lo è, come la
più parte dei materiali oggi comunemente utilizzati
in edilizia, che però non vengono più considerati
tali. Quindi perché non usare più spesso anche il
bambù. Questa pianta ha caratteristiche tali da
renderla oggi un elemento strategico per risolvere
concretamente problemi di grande attualità, come il
disboscamento della foresta equatoriale, (o
siberiana n.d.r.), il concreto supporto alle economie
delle aeree meno sviluppate del pianeta e
l’attuazione di pratiche edilizie a basso costo, che
prestano grande attenzione all’ambiente.
Per poter essere utilizzato come materiale
costruzione un abete deve crescere dai 12 ai15
anni, una quercia almeno 120. Al bambù ne bastano
solo tre. E già pronto. La sua forma è eccellente. In
termini di prestazione, leggerezza e resistenza è
paragonabile alla fibra di carbonio: è vuoto,
leggero e composto di fibre molto resistenti. Non
solo. È una delle piante che assorbono la maggior
quantità di CO2, evita l’erosione e vive
prevalentemente nelle arre più povere del pianeta.
Sembra quindi incredibile che il bambù non sia
ancora diventato un elemento costruttivo
comunemente impiegato nel processo edilizio anche
in Europa.
P.C. : come lo hai usato?
M.C.: ho realizzato nel 2006 il
padiglione microclimatico Dagad, dove ho
utilizzato i culmi di bambù esattamente come mi
sono arrivati. Dagad è un’associazione di
volontariato senza fini di lucro, un laboratorio di
architettura e offre degli spazi ai giovani architetti
per aiutarli ad avviare la loro professione. Così ho
anch’io sono riuscito ad aprire il mio primo
studio, a Milano, presso di loro, nella Fabbrica del
Vapore. Dopo un anno me ne sono andato, facendo
posto ad un altro giovane architetto e, per
ringraziarli, dal momento che disponevano di uno
spazio espositivo insufficiente, ho lasciato loro
questo padiglione di 250 metri quadrati che è stato
utilizzato prima per il salone del mobile del 2006 e,
successivamente, come padiglione espositivo di
tutti gli ospiti della fondazione per i due anni
successivi.
P.C.: in cosa consisteva il tuo progetto?
M.C.: ho studiato il progetto
occupandomi in seguito di trovare gli sponsor che
ne hanno permesso la realizzazione. Con Faraone
Glass Fittings che insieme a Arup Italia, Mapei,
Bambù de Colombia, iGuzzini, Coopsette, Simm
Engineering e Elettromeccanica Galli ha finanziato
interamente l'opera. Abbiamo studiato un giunto
che permette di montare il padiglione senza
l’ausilio di mano d’opera specializzata, dimostrando
come sia possibile realizzare con il bambù
un’architettura contemporanea. Sono contento di
essere ricucito, in quell’occasione, a concretizzare
la mia attività di ricerca teorica in un progetto,
attraverso un’autocommittenza. Successivamente,
durante la Biennale di Venezia del 2006, ho fatto
parte del gruppo selezionato da Franco Purini per
progettare una città immaginaria, tra Verona e
Mantova. Insieme ad Avatar, un gruppo di architetti
di Firenze. Abbiamo utilizzato il sistema costruttivo
che avevo sperimentato alla Fabbrica del Vapore
dove ha sede Dagad, per fare un progetto
visionario, molto concettuale.
Nel 2009, ho realizzato il prototipo di una cupola
geodetica, utilizzando le travi in bambù del
padiglione espositivo, opportunamente tagliate in
listelli – In tal modo ho potuto inoltre verificare
quanto il bambù, dopo due anni, avesse resistito
all’avvicendarsi delle stagioni in un ambiente molto
diverso dai tropici. Ed era perfetto. - Questi
listelli unti insieme con un sistema di tiranti, giunti
in acciaio e neoprene formano la cupola, ovvero
una geometria geodetica complessa che abbiamo
chiamato Boo Tech e che abbiamo presentato al
Fuori salone all’interno dell’evento
InterniDesignEnergies. Può sorreggere fino a trenta
volte il suo peso.
In seguito, insieme allo studio di landscape Land,
l’artigiano Beppe Ortile, l’artista Marica Moro e gli
artisti del MAPP (Museo d’Sarte paolo Pini)
all’interno dell’evento Think Green organizzato da
Fortunato D’Amico e Alessandra Coppa, per il Fuori
Salone del mobile di Milano 2010, che comprende
tutti gli eventi e gli espositori sparsi per la città,
tagliando i culmi in modo da ricavarne quasi dei
parallelepipedi cavi all’interno ho disegnato una
sorta di mattoni, dei moduli che montati a secco
e sovrapposti possono formare delle pareti portanti
e termicamente ben isolate. Inoltre sfalsando alcuni
di essi si formano delle mensole a sbalzo in cui è
possibile far crescere dell’erba o dei vegetali,
creando in tal modo delle pareti verdi, dei muri
aromatici o degli orti verticali urbani.
P.C.: il tema del giardino è spesso
presente nel tuo lavoro. Hai disegnato delle vasche
colme di ninfee che galleggiavano sul Tamigi?
M.C.: avevamo proposto, durante una
ricerca, di utilizzare l’acqua del fiume come
involucro, dopo averla pulita in un modo molto
semplice con un sistema posto su delle chiatte.
L’acqua veniva poi cupola d’acqua, tiepida di
inverno e fresca di estate, all’interno della quale si
svolgono le attività espositive di una galleria di
architettura ed arte. L’acqua funge da dispositivo di
controllo termico e acustico e di protezione solare.
Riversandosi sul fiume contribuisce nel suo piccolo
alla purificazione dello stesso.
P.C.: hai disegnato anche dei serramenti
congruenti a questo sistema costruttivo?
M.C.: non ancora, abbiamo realizzato
otto portali collocati in corrispondenza degli
ingressi storici della città.
Con questo sistema abbiamo progettato, ma non
realizzato, un albergo a Bogotà, mentre ora stiamo
cercando di utilizzare dei listelli di bambù per
disegnare ad esempio dei ponti, utilizzando
prevalentemente i temi dei bandi di gara e concorsi
per la sperimentazione di questi nuovi modelli
costruttivi che stiamo studiando in questi
giorni, Sono convinto che il bambù possa entrare
nel panorama domestico degli italiani, ci sono già
alcuni esempi interessanti di mobili realizzati con
questo elemento. Coerentemente con la mia storia
professionale sto
studiando delle boiseries destinate a
segmenti di
mercato con elevato potere d’acquisto e ho
proposto a importanti aziende
italiane alcuni disegni perché sono molte le
ragioni per le quali possiamo pensare che in futuro
questo materiale possa venire utilizzato su larga
scala.
P.C.: ti è capitato di studiare come viene
utilizzato il bambù in altre culture, ad esempio in
Giappone o in Cina, dove sostituisce i tubi innocenti
dei ponteggi e dove antichi artigiani hanno
realizzato dei mobili straordinari in questo
materiale? Ti piacerebbe provare a disegnare degli
elementi di arredo? Una sedia ad esempio?
M.C.: ho avuto la fortuna di vivere
un anno in Giappone prima di laurearmi e ho avuto
modo di vedere le magnifiche realizzazioni negli
spazi interni con questo materiale, ho visto anche i
sorprendenti ponteggi in Cina. Dovrei approfondire,
ho ancora molto da studiare ed imparare. Mi
piacerebbe molto disegnare elementi di arredo,
molto interessante e challenging poter
progettare
una sedia. Penso che il bambù possa offrire in
diversi campi grande spazio per creatività, ricerca
e innovazione. Credo nonostante la sua esistenza
millenaria ci sia molto da scoprire.
1
Mauricio Cardena Laverde
Foto Francesco Bolis
2
Boschi di bambù tra Armenia e Pereira
Foto Mauricio Cardenas
3
Casa tradizionale della regione Caldas
Foto tratta dal libro “Bambusa Guadua” Villegas
Editores.
4
Simon Velez
Manizales, Colombia
Foto Mauricio Cardenas.
5
Mauricio Cardenas
Padiglione espositivo del Laboratorio Dagad
Dettaglio del giunto
Foto Carlo Zanni.
6
Mauricio Cardenas
Padiglione espositivo del Laboratorio Dagad
Disegno del giunto.
7
Mauricio Cardenas
Padiglione espositivo del Laboratorio Dagad
Foto Carlo Zanni.
8
Mauricio Cardenas
BooTech Eco Dome all’interno della corte
dell’Università Statale
Evento Interni Design Energies 2009
Foto Carlo Zanni.
9
Mauricio Cardenas
Cupola geodetica Boo Tech
Dettaglio del giunto
Foto Andres Otero.
10
Mauricio Cardenas
Cupola geodetica Boo Tech
Dettaglio delle cuspidi delle piramidi.
11
Mauricio Cardenas
Capriate composte da travi “Cardenas”
Foto Danilo Borelli.
Mauricio Cardenas Laverde
View Article details
- Pierfrancesco Cravel
- 27 novembre 2010