Quando il vuoto è pieno, quando il deserto è un popolo giovane ed erudito: quando le case sono talvolta costruite con mattoni di sabbia, talvolta tende, e talvolta container o semplici ripari indispensabili in periodi in cui le piogge diventano torrenziali: quando la temperatura di giorno sale a 30 gradi e la notte scende a -10 gradi. Quando nelle notti invernali fa freddo. E quando d’estate il caldo diventa insopportabile e si va alla ricerca di un alito di brezza fresca. Tutto questo non diventa un “cliché” se acquista valore durante il “Festival Culturel”, da tramandare ai giovani come patrimonio culturale e generazionale.
Quando “il mio io” diventa ombra Saharaouie. Quando tutti i paradossi si snodano in una tela, dove i nodi si intrecciano nella vita quotidiana, ci troviamo in un campo Saharouis, nel campo dei rifugiati in Algeria. Allora possiamo parlare di "architecture de la subsistence" della sussistenza, della sopravvivenza nell’ inimmaginabile: ma è reale e tangibile. All'origine il termine "subsistence" è stato utilizzato in un contesto militare per esprimere tutto ciò che è necessario al nutrimento e mantenimento dell'esercito. Deriva dal latino "subsistentia", qui significa "sostanza, essenza". Gli edifici quindi, le tende, e le case di sabbia entrano in rapporto diretto con la società e la cultura che ne percepisce e forgia l'architettura. Quale concetto meglio espresso di quello già esistente da millenni, qui nel Sahara, per coniugare uno sviluppo che dura nel tempo ed in armonia? Lascio a voi la risposta.
“Quand le VIDE est PLEIN”
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- Daniela Terrile
- 06 gennaio 2010