Domus chiude l’anno con un numero dedicato al patrimonio italiano

Nell’editoriale di dicembre, Walter Mariotti, direttore editoriale di Domus, ci accompagna in un viaggio attraverso nuove politiche di cura del patrimonio architettonico italiano, contro “l’incuria del presente”.

Esiste un filo sottile, ma tenace, che lega l’architettura alla democrazia. Un vincolo che l’Italia ha sancito solennemente nella sua Costituzione, collocando tra i principi fondamentali all’articolo 9 la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico. Non si trattò di una scelta retorica o decorativa: fu l’espressione di una consapevolezza profonda maturata all’indomani della guerra, quando i costituenti provenienti da tradizioni politiche opposte, come Concetto Marchesi e Aldo Moro, riconobbero che la salvaguardia della memoria collettiva e del territorio è condizione essenziale per la costruzione di una cittadinanza consapevole e di una comunità democratica.

Perché un individuo che non preserva la propria memoria rinuncia a pensarsi nel futuro, abdica alla responsabilità verso le generazioni che verranno e si prepara a cadere nelle seduzioni del demiurgo che si trasforma in tiranno.

Si trattò soprattutto di una intuizione rivoluzionaria: il patrimonio culturale non è proprietà di pochi, né può essere subordinato agli interessi economici contingenti. La cura diventa uno strumento di emancipazione che garantisce a ognuno il diritto di comprendere la propria identità nello spazio e nel tempo e partecipare alla collettività al di là delle disparità economiche, sociali e individuali.

Eppure, a 78 anni dalla promulgazione della Costituzione, il rapporto tra conservazione architettonica e pratica democratica è in crisi profonda. Sebbene l’Italia detenga il primato mondiale di siti culturali Unesco – 55, si pensi che la Cina ne ha 41 –, la contraddizione tra dichiarazioni di principio e realtà dei fatti è una metastasi. Monumenti artistici dimenticati, paesaggio oltraggiato, centri storici violentati e periferie mostrificate sono la cronaca della necrosi del Belpaese che amiamo raccontarci. A favore del suo opposto reciproco, un luogo d’incuria e violenza, d’ignoranza e soprusi dove il particulare continua a trionfare contro ogni idea di collettività, rispetto e giustizia. Oltre che contro ogni visione strategica.

Alcuni segnali contrari esistono. Storie di resistenza e d’inversione di paradigma. Questo numero di Domus ne fornisce una sintesi, come ogni dicembre, segnalando in giro per l’Italia quelle ipotesi progettuali, private e pubbliche, che portano in sé una visione di cura, rispetto e restituzione decisive per superare false alternative.

Conservazione contro sviluppo, tutela contro valorizzazione, memoria contro innovazione. Anche perché l’articolo 9 della Costituzione sanciva che promozione della cultura e tutela del patrimonio sono dimensioni complementari, che è necessario preservare il passato per progettare saggiamente il futuro, riconoscendo la tutela non solo come vincolo, ma anche come risorsa strategica per la qualità della vita urbana, l’identità delle comunità, l’attrattività economica del territorio e il rispetto della natura che non può essere l’orribile “arredo urbano”.

Domus 1107, dicembre 2025

Dopo gli esempi, occorrono gli strumenti concreti. In primis, una legge nazionale per l’architettura – la Francia ne ha una da oltre 40 anni, l’Italia no – che riconosca il progetto architettonico come patrimonio comune di interesse pubblico primario. Poi, risorse adeguate non solo per gli interventi straordinari, ma anche per la manutenzione ordinaria che previene il degrado e l’abbandono, che sono la vera causa delle devastazioni. Infine, modificare le competenze delle Soprintendenze, promuovendo la formazione di professionalità antiche e nuove centrate sulle discipline che restano il cuore della nostra identità, come l’arte, il paesaggio e la storia.

È evidente che, alla fine, arriviamo alla politica. Al di là degli slogan, chi vogliamo essere noi italiani? Una società capace di prendersi cura dei propri valori o che intende solo consumarli?

Fra i progetti privati, in questo numero troverete due risposte politiche. Quella della sindaca di Perugia, Vittoria Ferdinandi, che ha coinvolto Toshiko Mori, professoressa ad Harvard e guest editor di Domus 2023, con un gruppo di studenti per ripensare la città. E quella del sindaco di Roma Roberto Gualtieri che, per immaginare la capitale nel 2050, ha chiamato Stefano Boeri.

L’ultima domanda però è rivolta a noi. E la risposta dirà molto sulla nostra maturità e su quella della nostra democrazia. Perché un individuo che non preserva la propria memoria rinuncia a pensarsi nel futuro, abdica alla responsabilità verso le generazioni che verranno e si prepara a cadere nelle seduzioni del demiurgo che si trasforma in tiranno. Come la storia, se studiata, insegna.

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