Fumetti, disegni e illustrazioni di Vincent Filosa sono in
mostra a Bologna al RAM Hotel fino al 28 febbraio.
Calabrese con la passione per i grandi maestri manga
giapponesi, il giovane artista (nato a Crotone nel 1980)
propone una serie di lavori
che ruotano attorno al tema della casa.
Più case meno calabresi
Può succedere, se si vive in un quartiere romano di
periferia, di trovarsi a osservare un messaggio del genere
scritto su un muro ogni volta che si esce da casa: "più
case meno calabresi". Può succedere, e non è il massimo
della vita, soprattutto se si è calabresi e se per trovare
alloggio si sono dovuti fare i salti mortali. Ma è accaduto
quotidianamente a Vincent Filosa, giovane fumettista che
ha vissuto per alcuni anni nella capitale.
Non sorprende allora che il filo conduttore di questa
raccolta di disegni sia proprio quello della casa. Vincent
sposta però la sua attenzione da Roma alla Calabria, sua
regione di provenienza, per la precisione al territorio di
Crotone. Lo fa con uno sguardo al tempo stesso cinico e
trasognato, mosso dal malessere e dall'indignazione per
speculazioni e tradimenti ma restio a lanciarsi nella sterile
invettiva, privilegiando l'invenzione e l'ironia, trasformando
pilastri e tondini in scenografie da videogioco oppure
martelli e betoniere in strumenti musicali per una
formazione rock. E lo fa ricorrendo a un segno esile ma
sicuro, mostrando qualità grafiche da fumettista vero, che
lo segnalano tra i più abili e maturi in Italia nel ricevere e
interpretare la lezione di grandi maestri del fumetto
giapponese (tra gli altri Oji Suzuki, Yoshiaru Tsuge e Tadao
Tsuge); artisti poco noti in Europa, narratori potenti lontani
dal luccicore dei manga seriali, che Vincent ha apprezzato
e studiato durante ripetuti soggiorni in Giappone.
La casa in Calabria, nella visione amara di Vincent, ci
appare come il segno visibile di una precarietà non solo
materiale, qualcosa che sta a metà strada tra la
costruzione eternamente "in corso" e il relitto edilizio che
sembra già appartenere a un consolidato paesaggio di
rovine. Così che infine è proprio la dimensione abitativa
più autentica, quella legata all'idea della convivenza,
umana e civile, con un territorio e con le persone che lo
popolano, ad apparire come irraggiungibile e negata
oppure, paradossalmente, superflua e sacrificabile.
Andrea Bruno
Una storia come le case senza tetto
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- Elena Sommariva
- 15 febbraio 2009