Ci sono nomine che non colmano un vuoto, ma aprono scenari. Quella del Design Institute of Australia (Dia) a Simone LeAmon rientra in questa categoria: non segnala solo un cambio di leadership, ma un cambio di ambizione. Dopo oltre dieci anni al prestigioso Ngv di Mlebourne - National Gallery of Victoria - dove ha contribuito a trasformare il design in un fatto istituzionale - non decorativo, ma strutturale – la solare LeAmon assume una direzione che guarda avanti, con una promessa evidente: riportare il design al centro del dibattito nazionale del suo paese. Da sempre Simone LeAmon rifiuta la compartimentazione disciplinare. Designer, curatrice, docente, stratega culturale, il suo lavoro ha attraversato materiali, economie, politiche e comunità con una visione porosa del design, inteso come pratica che si espande più che delimitare. È questo a rendere questa nomina un vero e proprio messaggio. Il Dia, la più antica istituzione di settore in Australia, nata nel 1939, punta su una figura che ha già saputo dimostrare come la cultura possa operare in qualità di leva civica e non nicchia specialistica.
Un intero continente ha messo il design al centro del suo futuro
Dalla curatela alla strategia culturale, Simona LeAmon inaugura per il Design Institute of Australia una nuova ambizione: fare del design un motore identitario e un orizzonte per il futuro del Paese.
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- Maria Cristina Didero
- 16 dicembre 2025
Negli anni alla National Gallery of Victoria, LeAmon ha sviluppato un programma curatoriale che ha spostato il design dal margine al centro. Più di 25 mostre, oltre 400 acquisizioni, e piattaforme come Melbourne Design Week e Melbourne Design Fair - oggi tra le infrastrutture più significative per il design australiano per pubblico impatto economico e peso discorsivo. Originale è stata la capacità di leggere il design come ecosistema produttivo, sociale e industriale e non solo come linguaggio. Il tono della sua nomina non è amministrativo, ma dichiaratamente politico. “La mia visione è quella di porre il design al centro del dibattito nazionale e di posizionare il Dia alla guida di questo processo, affinché diventi un catalizzatore di una cultura che valorizza e investe nel design come elemento essenziale per il futuro dell'Australia”, spiega LeAmon. L’istituzione, per LeAmon, non è un organo centralizzato ma un sistema vivo, una rete. E il modo con cui lo dice è rivelatore, diretto, quasi operativo: “Insieme ai nostri membri, ai partner e alla comunità, estenderemo la portata del design, ne amplificheremo l’impatto raccontando ciò che fanno i designer e costruiremo il prossimo capitolo della professione.”
Il design è il ponte tra il mondo che abbiamo e il mondo che desideriamo.
Simone LeAmon
Il Dia oggi si presenta come riferimento nazionale per la comunità del design australiano - una base professionale vasta e trasversale, distribuita tra pratiche industriali, digitali, grafiche, architettoniche. LeAmon non tratta questo scenario come contesto, lo assume come punto di partenza. Il suo percorso, del resto, la prepara a una visione sistemica. Nella sua carriera ha attraversato museo, pratica progettuale, accademia, azienda ma soprattutto passione per quello che fa. Simone LeAmon è una figura ibrida, con una biografia che procede per attraversamenti più che per perimetri, come mostra il suo curriculum, dalle prime produzioni di gioielleria e prodotto alle grandi committenze e ai programmi pubblici con l’Ngv. E questa postura, sistemica più che specialistica, emerge limpida nelle sue stesse parole: “Il design è il ponte tra il mondo che abbiamo e il mondo che desideriamo.”
Una premessa che pone il design non come decorazione del reale, ma come infrastruttura di transizione – un ponte, appunto. Ed è difficile immaginare una definizione più utile per un paese che deve decidere come immaginarsi nei prossimi decenni - sostenibile, equo, competitivo, capace di investire sul progetto come fattore di prosperità e non come settore creativo fra altri.
Con LeAmon, il compito del Dia non vuole essere quello di proteggere il design, ma restituirgli una funzione pubblica ampia. Non difendere una categoria specifica, ma dimostrarne la potenzialità e la visione. Se l’istituzione seguirà davvero questa sua linea, il design smetterà di essere un tema e diventerà un modo di leggere il paese e il suo futuro.
Immagine di apertura: Courtesy Unsplash