Lavorare in piedi sta diventando normale

Seduti alla scrivania per otto ore? Una vecchia abitudine. Negli ultimi anni le standing desk hanno sempre più successo nelle case e negli uffici, soprattutto in quelli dei giganti del comparto tecnologico.

La libertà di lavorare come, quando e dove conviene, assecondando l’estro o l’esigenza del momento, è oggi un mantra che sempre più datori di lavoro – almeno quelli che si interfacciano a risorse umane altamente specializzate – assecondano a scatola chiusa. In un mondo che fa della flessibilità la chiave di volta della propria efficacia, anche la permanenza in ufficio diventa un parametro aleatorio, slegato dal vecchio ideale “dalle nove alle cinque”. È il sopravvento del canone personale su quello collettivo: più individualista, meno normata ed in fondo anche meno borghese, questa nuova libertà di tempo e di luogo sembra recentemente aver sdrammatizzato non solo gli orari di lavoro, ma anche un altro dogma, quello della compresenza tra sedia e scrivania. 

Lavorare in piedi di fronte ad un tavolo non è una novità degli anni Duemila, sebbene sia solo a partire da questo millennio che la pratica ha iniziato a generalizzarsi. Come documentano molteplici miniature, già nel medioevo gli amanuensi disponevano di tavoli con un leggio rialzato ed usavano talvolta la posizione eretta nelle loro sessioni di scrittura. Secoli dopo, i vecchi tavoli da disegno, da cui deriverà il tecnigrafo, messo a punto alla fine dell’Ottocento, permetteranno di regolare a piacimento l’altezza del piano di lavoro, rendendo più fluidi i movimenti del disegnatore in posizione eretta.

La libertà di movimento asseconda una maggiore libertà creativa dovuta all’allineamento tra consapevolezza fisica e mentale.

La standing desk dei nostri giorni, però, sembra essere uscita dagli ambiti professionali di nicchia per diventare un’opzione praticabile da tutti coloro, e sono certamente l’assoluta maggioranza dei colletti bianchi, che passano la giornata di fronte al computer. La complicità dell’elettronica ha sicuramente contribuito alla popolarità delle scrivanie sit/stand: se negli anni ’90 la regolazione dell’elevazione era affidata a sistemi a perno, a manovella e pneumatici, la recente introduzione di una pulsantiera posta sotto il tavolo rende lo spostamento del piano veloce e sicuro – molti modelli integrano infatti un sensore anticollisione per evitare di entrare in contatto durante l’elevazione con potenziali ostacoli.

Courtesy Herman Miller

“Lavorare in piedi è molto comune nei nostri uffici ed è un’ottima soluzione per evitare di rimanere seduti troppo a lungo o dover cambiare postazione di lavoro”, racconta Alessio Cimmino, Communication Manager di Meta Italia. Sebbene il mondo medico non raccomandi l’adozione di una posizione eretta esclusiva, la flessibilità ergonomica della standing desk permetterebbe quantomeno di alternare le due posizioni, limitando i danni provocati da una prolungata permanenza sulla sedia, tra cui mal di schiena e spalle, obesità, patologie cardiovascolari.

Anche i vantaggi sull’equilibrio psicologico, stando ad una ricerca pubblicata nel 2018 sul British Medical Journal, sarebbero apprezzabili: l’uso della standing desk permetterebbe di ridurre fattori di ansia e stress, favorendo persino il problem solving. La libertà di movimento che ne deriva, secondo gli adepti delle strategie di crescita personale, asseconderebbe poi una maggiore libertà creativa dovuta all’allineamento tra consapevolezza fisica e mentale, contribuendo al tanto agognato stato di flow.

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A fronte di una popolarità rinnovata, le standing desk più comuni non si distinguono per sostanziali differenziazioni di tipologia: a regnare sovrana è la gamba a slitta, naturalmente telescopica. I grandi marchi del mondo dell’ufficio non sembrano, pur con qualche eccezione per lo più americana (Herman Miller, Knoll), essersene appropriati se non con modelli marginali rispetto all’insieme del loro catalogo: la standing desk rimane prevalentemente un prodotto di aziende specializzate che si focalizzano su prestazioni funzionali, lasciando in secondo piano la differenziazione per materiali, rivestimenti, finiture. Le opzioni di bassa gamma, abbondantemente presenti in rete, sembrano abbinarsi nelle intenzioni di acquisto a sedute ed accessori dalla vocazione spiccatamente ergonomica: oltre al convertitore da tavolo, ossia un vassoio rialzato che supplisce alla standing desk vera e propria, il cuscino ergonomico per il polso, o la sit-ball, la seduta palla. Completano la panoramica anche le opzioni Do It Yourself, di cui l’onnipresente vassoio poggiato sopra l’asse da stiro resta il protagonista incontestato di molti video Youtube sull’argomento.

Trotten, scrivania regolabile in altezza. Courtesy Ikea

Oltre che nell’office desk residenziale, la standing desk si afferma naturalmente anche nel contract per l’ufficio. A dimostrarsi più ricettive verso questa soluzione sono le aziende dei paesi anglosassoni ed asiatici. Nelle due futuristiche torri di uffici progettati da Foster + Partners a Shenzhen per la celebre azienda di droni e videografia Dji, la tecnologia la fa da padrona e anche le scrivanie diventano smart per favorire le buone abitudini dei dipendenti. Progettata su misura, la standing desk di Dji non si limita a sollevarsi come tutte le altre, ma ospita anche un letto incassato che, al bisogno, può essere allungato sul pavimento e corredato da un piccolo materasso. La flessibilità del tempo del lavoro finisce così per abbracciare il tempo privato, quello dedicato al sonno. Facendoci sospettare che l’agognata ricerca del benessere in ufficio non si concretizzi solo nell’invito ad una piccola siesta, quanto nella messa in opera di una correlazione sempre più stretta tra flessibilità e produttività, così da rendere possibile l’infinita dilatazione della propria permanenza nel luogo di lavoro.

Immagine di apertura: Courtesy Knoll

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