La vita dei designer ai tempi della quarantena

Abbiamo intervistato cinque giovani designer per capire come sta impattando sul loro lavoro l’emergenza coronavirus. Parasite 2.0, Plstct, Tellurico, Sara Ricciardi e Roberto Sironi si raccontano.

Parasite 2.0, Fuzzy

A Milano siamo in quarantena da quasi tre settimane, non si sa ancora quando potremo uscire di casa, mentre ci rassegniamo a un vago “tra qualche mese”. Il Salone è silente, o meglio la data del 16-21 giugno scolpita in bianco su sfondo rosso sul sito ufficiale è ancora lì, ottimista. Sono in tanti a dire che “tanto non si farà”, forse per scongiura, o per mettere in pista piani B e piani C. Con il lockdown definitivo abbiamo visto nascere diverse iniziative online, dal puntualissimo streaming della Triennale, al Salone virtuale di Dezeen, tra ovazioni e polemiche. Anche nel resto d’Europa e negli USA le fiere sono state rimandate a settembre: forse ha più senso dire che il 2020 è stato rimandato al 2021, come leggiamo nei migliori meme. Già negli ultimi appuntamenti superstiti a cui siamo andati – come Collectible a Bruxelles – si respirava un’aria insolita, in cui si parlava più di coronavirus che dei lavori in mostra.

I designer scelti sono quelli che da pochi anni si sono tolti l’etichetta di “emergenti” per diventare giovani imprenditori. Hanno in comune un approccio trasversale al progetto con produzione di prodotti da un lato e dall’altro ricerca speculativa che sfocia in mostre, workshop, produzioni video e festival. Al momento la maggior parte dei loro lavori è sospesa e nessuno è in grado di dire se si tratti solo di una fase transitoria.

“È scioccante il tutto. Parlo mentre mi faccio i miei minuti di stacco in una piccola campagna fuori casa, abitando in periferia non c’è nessuno”, racconta Sara Ricciardi quando i parchi a Milano erano ancora aperti. “Il coronavirus è entrato come un giocatore a gamba tesa nella vita di tutti, però è interessante fermarsi e capire il caos che si è creato e riformularsi. Ora che si può avere del tempo libero, dell’ozio privo di sensi di colpa, dobbiamo sfruttalo, senza che tutti ci organizziamo con una schedule del tipo alle 18:30 ci si vede su Skype, poi Zoom, poi tour virtuale… stupendo, ma magari te stai ferm un attimo e ti leggi nu libro e pensi!  Non stiamo nel tempo, si ha molta paura di stare nel momento, ma forse è anche giusto così”. Quando le chiedo quali progetti siano cambiati risponde: tutti. “Stavo lavorando su alcune tappezzerie per Illulian, una casa in Francia, le installazioni per il Salone del Mobile e un progetto con i ragazzi di una comunità minorile a Gratosoglio che si doveva concludere con una grande festa proprio ora. È tutto sospeso e non ho nessuna certezza. Io sono molto fiduciosa e non voglio dire che ho perso tutti i lavori, ma al momento siamo sicuramente in un surgelatore”.

“Si tratta di una situazione collettiva, quindi la rende anche abbastanza partecipata", continua. “Immagino che ci voglia flessibilità e pazienza. Poi è possibile che alcuni progetti non vadano più in porto e altri invece riescano a vedere la luce semplicemente con un ritardo nei tempi”. Sara è già stata chiamata da un’azienda come art director per un progetto in cui trasporre lo spazio reale nel virtuale e sta dedicando gran parte del suo tempo al suo nuovo studio, il Pataspazio, che avrebbe dovuto aprire fisicamente il mese prossimo e che per ora aprirà solo virtualmente. “Saremo più forti di prima. Dalle ceneri c’è sempre più energia vitale, dobbiamo saper stare e attendere, sono convinta che ci sarà una fisioterapia collettiva pazzesca. Io ho fiducia ai massimi livelli, progetto per formularla e quantomeno, lasciatemela!”.

Da Eindhoven, Francesco Pace di Tellurico ci racconta come in Olanda l’emergenza sia arrivata più in ritardo che in Italia, un po’ per ragioni economiche, un po’ per ragioni politiche, un po’ per abitudini. “Professionalmente questa cosa mi ha toccato molto, nel senso che avevo il Salone programmato, con una mostra che si sarebbe dovuta presentare ad ad Alcova. Un’altra mostra ai 3Days of Design di Copenhagen è stata posticipata a settembre e una residenza che avrei dovuto fare a giugno a Potenza non si sa bene che fine farà. Da un lato sono stato relativamente fortunato perché ho fatto in tempo a esporre a Collect con Mint Design Gallery e a Collectible con Camp Design Gallery, ma si respirava già un’atmosfera strana.”

“Il mio lavoro in questi giorni è cambiato molto, perché non sono più andato in laboratorio. Il mio processo di progettazione è thinking through making, cioè nel momento in cui stai agendo su una cosa riesci a capire quali sono i limiti e le potenzialità di un oggetto, di un progetto. Quindi c’è sempre un via vai tra il provare in laboratorio e il tornare a progettarla al computer. Sto mandando più mail, contatto i clienti e le gallerie, diciamo che sto facendo più lavoro ordinario da ufficio. Ma la produzione in laboratorio è ferma. Il lato positivo di tutto questo è vedere più solidarietà tra le persone, ma il danno economico c’è per tutti quanti, specie per noi che lavoriamo con partita iva.”

Tra i progetti in standby, la mostra “Geodesign” già presentata al Van Abbemuseum, che si sarebbe dovuta tenere ad Alcova durante il Salone: un video documentario a otto canali su come l’emergenza rifiuti abbia modificato la geografia in Campania. Procede, invece, la collezione Telluride, con oggetti di porcellana a base di lava sviluppata dal designer stesso. “Si tratta di pietra lavica di Pozzuoli che, grazie a un trattamento specifico nella cottura, si scioglie unendosi chimicamente alla porcellana. Ne viene fuori un materiale con caratteristiche strutturali più forti della porcellana normale e ha un fattore estetico interessante: sembra quasi una stracciatella bianca con dei punti sciolti all’interno! Al progetto è associato un corpo teorico con tanto di documentario che racconta la prossimità tra gli abitanti e il vulcano. A Pozzuoli, infatti, c’è la più alta densità di popolazione su un vulcano attivo.”

Gabriele Leo di Plstct vede questo periodo come un “ritorno alle origini”. “Da un certo punto di vista ci siamo allegeriti. Non è una situazione ideale, anzi, però ha degli aspetti curiosi. In un certo senso è un po’ come tornare a quando abbiamo iniziato. Non ho ancora imparato a gestirmi bene queste giornate e mi sta capitando di lavorare molto di più la sera. Le giornate sembrano invertite e l’orario di lavoro è di 24 ore, come quello di uno studente. Il coronavirus non ci ha rallentato: noi siamo nella condizione in cui se vengono meno dei progetti ce li autocommissioniamo, quindi in questa situazione forse si lavora ancora di più”.

Plstct parla infatti di come i progetti già avviati stiano evolvendo in una “dimensione di quarantena”, come per Post-disaster Rooftops a Taranto, un festival sui tetti e terrazzi che ora potrebbe arricchirsi di una dimensione virtuale per mettere in relazione questi luoghi ora centrali nella vita pubblica. “Stiamo ragionando su come stiano venendo meno le gerarchie geografiche. In questo momento quello che accade a Milano non è più rilevante di quello che accade a Taranto. Nel mondo online si sente meno il peso culturale del luogo in cui avviene un evento come il Salone del Mobile.” Leo, inoltre, sta portando avanti la ricerca Creatures of habit che fa luce su come gli atteggiamenti legati al vivere compreso il dormire, il mangiare e il respirare siano condizionati da una serie di sovrastrutture culturali e politiche che si intrecciano con l’architettura, con l’ergonomia e con sistemi di regolazioni spaziali.

Roberto Sironi, che da sempre lavora sul tema dell’Antropocene, dalla sua casa a Mariano Comense cita i possibili effetti positivi che avrà sull’ambiente il lockdown generale. “Uno degli aspetti positivi è che la natura si sia un po’ riappropriata dei propri spazi. Io ho un terrazzo con di fronte degli alberi: magari mi sbaglio, ma mi sembra di vedere un po’ più di uccellini, di api, forse anche perché sta arrivando la primavera. Mi sembra che l’aria sia più pulita. Mi vien da dire che questo stop andrebbe fatto obbligatoriamente due volte l’anno: forse in qualche modo si darebbe respiro alla sfera naturale.”

Anche Roberto, come gli altri, ha visto il congelamento di eventi importanti in cui avrebbe presentato il suo lavoro, come la mostra personale a Miart con Carwan Gallery e la relativa pubblicazione di un libro monografico, mentre altri progetti già conclusi sono temporaneame in standby, come la nuova collezione di tappeti per Nodus.  “In realtà, per me ci sono anche dei benefici in questa quarantena: innanzi tutto ho modo di passare più tempo con mia figlia che è appena nata, e poi è un modo per progettare e per avere maggior concentrazione. Diminuendo gli spostamenti e tutto quello che sono le telefonate e le mail ci si concentra di più sul progetto”.

Questa pandemia ti ha cambiato? Gli chiedo. “Lavorando molto sulla ricerca e anche su tematiche storico-antropologiche ho sempre tenuto in considerazione queste variabili. Non mi ha colto di sorpresa, anzi mi rendo conto di come la storia sia un loop e questa cosa dei virus si ripete nel corso dei secoli e dei millenni. Niente di nuovo sotto il sole, come dire. Quindi da questo punto di vista non c’è nessuna particolare presa di coscienza, non cambierà il mio modo di progettare che è sempre quello di fare ricerca”. Anche il lavoro di Sironi sta virando sul digitale con un progetto sull’Antropocene che sta realizzando con il fotografo Federico Villa.  

Su come sia cambiata la propria agenda, Eugenio Cosentino, Stefano Colombo e Luca Marullo di Parasite 2.0 sono più drastici: “Ridendoci su (per ora), possiamo dire che non esiste più un’agenda. Negli ultimi mesi tutti e tre abbiamo viaggiato tanto. Da fine agosto 2019 non ci siamo fermati un momento. Aerei, treni e pullman in continuazione, uno dopo l’altro. Nonostante ufficialmente abbiamo casa a Bruxelles, nessuno di noi è tornato lì per trascorrere questi giorni di emergenza. L’attuale momento di crisi ci ha spinti a tornare nelle città in cui ci sono i nostri affetti, i nostri partner, i nostri cari, per poter stare con loro e trascorrere questo momento assieme. È stata una scelta molto spontanea, la cui decisione ci ha fatto riflettere, e ci farà ancora riflettere su quali davvero siano le priorità nelle nostre vite”, continuano.

“Senza voler assolutamente minimizzare la situazione emergenziale che ci circonda e che sta interessando centinaia di milioni di persone in tutto il mondo, l’esplosione del covid ci ha ridato del tempo. Del tempo per noi. Del tempo per le persone attorno a noi. Del tempo per i nostri interessi. E anche del tempo per non fare niente. Oggi forse il bene più raro all'interno della nostra società. Ovviamente possiamo scriverlo perchè non siamo in prima linea negli ospedali a fronteggiare l’emergenza come tutto il corpo medico che in questi giorni sta invece affrontando una corsa contro il tempo. Nella crisi, possiamo forse ancora ritenerci fortunati. Tra qualche mese, almeno a livello economico, forse ne riparleremo. Non sappiamo quanto durerà questa condizione, però forse dovremmo godere maggiormente di ciò che abbiamo oggi. Dovremmo forse fermarci.”

Forse, alla luce di quanto accade, in molti si chiedono quale sia il senso del design in questo preciso momento storico. Mi vengono in mente le parole del CEO di Carl Hansen & Son, Knud Erik Hansen, quando gli chiesi, nel 2016, come fosse possibile continuare a produrre oggetti di design in tutta serenità nonostante la crisi siriana che allora era nel suo picco, gli attentati a Charlie Hebdo, gli esperimenti nucleari della Corea del Nord e via dicendo. Mi rispose, sereno, che gli oggetti di cui ci circondiamo riflettono e condizionano chi siamo e come agiamo nel mondo. I valori che si celano dietro un buon mobile o una bella lampada sono universali. Circondarci nel quotidiano di oggetti di senso, che traspirano maestria e bellezza può migliorarci come persone, diceva, stimolando la nostra sensibilità. Forse il suo sguardo ottimista è un buono spunto per questi giorni quite hectic.  

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