New York. L’età della luce

La recente impennata dell’interesse per l’illuminazione ha riconfigurato gran parte della scena emergente del design newyorchese. Sei talenti rispecchiano i vantaggi e i rischi di questo linguaggio espressivo.

Lorre di David Weeks. Courtesy of David Weeks

Vent’anni fa l’idea di un design newyorchese era relativamente sconosciuta. Allora la maggior parte dei professionisti era molto meno collegata a un’identità locale e lavorava all’ombra di grandi aziende internazionali. Sull’onda del disastro economico del 2008 molti fondarono studi autonomi. Brooklyn – a quei tempi dotata in abbondanza di spazi a buon mercato dove sistemare un laboratorio – divenne una miniera di gruppi di talenti strettamente collegati che si dedicavano all’autoproduzione. Il cosiddetto “movimento dei maker” e la scena del design di New York presto ottennero rinomanza. A dieci anni di distanza è difficile sottovalutare l’importanza di questo rigoglioso movimento, che però non sempre è rimasto uguale a se stesso. L’aumento degli affitti ha reso più difficile praticare il mestiere. Gli spazi adatti a uno studio si trovano sempre meno facilmente, a mano a mano che la gentrificazione conquista gli ultimi brandelli della città.

E tuttavia, con spirito di dedizione e d’imprenditorialità, i designer di New York sopravvivono reinventando continuamente se stessi. In risposta alla difficoltà delle condizioni di lavoro molti si sono dedicati a settori di maggior portata come i piccoli complementi d’arredo, mentre altri hanno scelto di lavorare per il segmento di alta gamma. Questo livello di mercato dà ai giovani talenti spazio e tempo per formulare idee nuove con meno vincoli finanziari. E la gentrificazione, pur costituendo un problema, fornisce anche una base di mercato più ampia. Nonostante le implicazioni socioeconomiche riguardanti l’accessibilità i nuovi sviluppi immobiliari creano più spazi residenziali e quindi una maggior domanda di design.

L’illuminazione, cresciuta negli anni più recenti, è diventata il segno distintivo di gran parte del clima progettuale di New York, facendo rivivere il passato industriale della città. Nomi come Bec Brittain, Rosie Li, Jason Miller, Ladies and Gentlemen Studio e Pelle hanno conquistato l’immaginario collettivo. Questo linguaggio sembra offrire ai designer il perfetto tramite tra la produzione in serie limitata e la domanda d’alta gamma. “Uno dei vantaggi di produrre localmente è la prossimità dei distributori e dei fornitori: si trovano tutti nell’area metropolitana di New York, il che facilita gli spostamenti e le visite in loco quando è necessario”, spiega il celebre designer David Weeks. Zone come Long Island e Industry City sono diventate i luoghi di elezione della produzione di media serie. “Tuttavia la prossimità implica un aumento dei costi. È più costoso produrre localmente che non delocalizzare la produzione in un altro Paese”, precisa.

I due titolari dello studio Allied Maker, di recente costituzione, gestiscono il loro impianto di produzione nella vicina contea di Nassau, a Long Island: “Ci permette di perseguire la perfezione e la raffinatezza in un modo impossibile senza un simile controllo”, spiega la cofondatrice Lanette Rizzo. L’inaugurazione del nuovo negozio di Allied Maker a Tribeca a maggio, nel corso di NYCxDesign, è stata un trionfo di luminarie, che ha rivelato l’attenzione della coppia per la nobiltà dei materiali e delle finiture, oltre che per le forme di trasmissione della luce.

Uno dei vantaggi di produrre localmente è la prossimità dei distributori e dei fornitori: si trovano tutti nell’area metropolitana di New York.– David Weeks

A proposito di produzione in ambito urbano la natura stessa del linguaggio presenta dei vantaggi. In una concezione che funziona per addizione di più componenti qualunque cosa, dall’applique alle grandi installazioni, può essere montata in spazi limitati. “Un grande lampadario si può fabbricare in un piccolo laboratorio”, spiega l’esponente di punta del design newyorchese Lindsey Adelman. Anche se molti dei suoi lampadari dalle forme libere sono destinati ai grandi interni, Adelman può realizzarli e produrli nel suo studio di Sunset Park. A riprova del suo stile trasfiguratore ma intrinsecamente individualista, la sua più recente collezione System, angolosa e minimalista, si stacca nettamente dall’estetica organica di Adelman. E tuttavia la scelta del materiale e dei particolari è indicativa della sua prospettiva artigianale.

“Il modello dell’autoproduzione si presta a certi tipi di oggetti e di scale produttive”, commenta Theo Richardson, cofondatore di Rich Brilliant Willing (RBW). “Questa organizzazione agile offre un vantaggio competitivo rispetto alle realtà di maggiori dimensioni, perché riesce a evitare la maggiore lunghezza dei cicli di produzione: realizza e adotta le nuove tecnologia a un ritmo molto più rapido.” Sottolinea che i produttori europei affermati sotto questo aspetto possono essere un vincolo. RBW, bell’esempio del modello di attività autosufficiente newyorchese, si è fatto portatore di innovazione fin dalla sua comparsa sulla scena nel 2009. La sua nuova collezione Vitis e l’OLED x Knit Concept dimostrano come le nuove tecnologie che progrediscono rapidamente abbiano completamente ridefinito il lessico del design dell’illuminazione, svincolando il linguaggio dai legami delle tradizionali forme a bulbo. Il sistema Lorre, idea sperimentale nata da poche settimane, si contrappone a questa nuova realtà applicando diffusori diversi a un sistema di cavi a bassa tensione intrecciati che vanno dal pavimento al soffitto.

Il modello agile dell’autoproduzione offre un vantaggio competitivo rispetto alle realtà di maggiori dimensioni: realizza e adotta le nuove tecnologia a un ritmo molto più rapido.– Theo Richardson

BeGradual, la nuova impresa di Rux Studios (la forza motrice di Stickbulb), usa l’innovazione della tecnologia della luce per uno scopo completamente diverso dall’illuminazione in sé: Lightweight è un’applique conica che si illumina gradualmente seguendo il variare delle misurazioni. “Lo studio Rux non è una società dell’illuminazione, benché il nostro primo progetto in questo settore sia un lampadario che segna il tempo”, spiega il cofondatore Russell Greenburg. “L’idea di BeGradual è aiutare le persone a valutare meglio il tempo creando orologi che alterano la percezione.”

Secondo Gabriel Hendifar, cofondatore di Apparatus Studio – impresa dal successo fulmineo – il vantaggio del modello produttivo ispirato all’artigianato offre a lui e al suo socio Jeremy Anderson la possibilità di conservare una visione olistica del marchio. I due ci riescono unendo laboratorio e showroom in un unico spazio. “È molto bello vedere il cliente che visita lo showroom e poi osservare la sua meraviglia quando vede che tutto viene fabbricato qui.” La nuova collezione di Apparatus ACT II è ispirata alla cultura persiana di Hendifar. “Dev’essere qualcosa di personale”, spiega il responsabile di progetto David Weeks. “Il difficile sta nell’elaborare una propria visione e una propria voce con i vincoli della produzione in piccola serie.”

È molto bello vedere il cliente che visita lo showroom e poi osservare la sua meraviglia quando vede che tutto viene fabbricato qui.– Gabriel Hendifar

Con la crescita del progetto d’illuminazione in tutto il mondo – non solo a New York – è difficile tenere in equilibrio tendenza e originalità. Ma ci sono voci nel settore del design che hanno iniziato a criticare il fenomeno per la sua saturazione, riferendosi ai limiti intrinseci del settore ma anche a una ridondanza di omogeneità estetica. Considerando le sei voci comprese in questa rassegna – che non tutte lavorano esclusivamente sulla luce – è difficile sostenere questa critica. Mentre certe scelte stilistiche minimaliste e decorative ricorrono più o meno generalmente nei lavori di questi studi, per ciascuno di essi intenzioni e obiettivi sono differenti. Nel complesso la produzione di questo insieme non è omologabile.

La luce nel design è una questione fondamentale. Altri fattori probabilmente sono accessori. Ma senza la luce non c’è modo di apprezzarli.– Lanette Rizzo

“È uno svantaggio condividere le luci della ribalta con molti concorrenti che fanno cose analoghe, e che magari non intendono la luce come un linguaggio. Ma a mano a mano che questo movimento fa presa c’è un crescente senso di credibilità”, spiega Richardson. “Il punto è spingerci a progredire l’un l’altro, aggiunge Rizzo. “La luce nel design è una questione fondamentale. Altri fattori probabilmente sono accessori. Ma senza la luce non c’è modo di apprezzarli. La luce incide sull’ambiente e permette agli utenti di vedere il loro spazio e di svolgere delle attività.” “Per sfuggire allo stress di New York abbiamo bisogno della luce”, conclude Adelman.

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