“Il progetto? È migliorare ogni cosa”. Conversazione con Ariane Prin

Sostenibilità ed efficienza sono le parole chiave del lavoro della designer francese che, per il suo ultimo progetto, ha setacciato ferramenta e robivecchi di Londra racimolando ruggine, scorie e polveri di scarto.

Ariane Prin in her studio. Photo Jon Aaron Green.

Ariane Prin, oggi di base a Londra, è cresciuta in un piccolo villaggio nel Nord-Est della Francia. Racconta che i suoi genitori sono sempre stati molto attenti al tema del riciclo e del riutilizzo. Per lei, il design è il vettore determinante per guardare a valori di sostenibilità, efficienza ed estetica. Il mondo del progetto, sviluppato grazie allo scambio e alla comunicazione, anche e soprattutto all’interno della piccola comunità dove è cresciuta, guarda sempre e comunque all’economia circolare come ultimo e primario obiettivo. Per spiegare la parola design a un bambino curioso gli direbbe che il progetto consiste nel riuscire a realizzare qualche cosa – qualsiasi cosa – in modo migliore. Del metodo attento e rispettoso all’universo che ci circonda, e che le è stato passato dai genitori, le è rimasta l’attenzione, la voglia d’indagare, guardare la comunità in cui vive per capire meglio dinamiche e abitudini, non ultime quelle dei loro rifiuti, degli scarti. È un atteggiamento antropologico il suo, basato su un sano interesse per le persone e le loro azioni. Uno degli aspetti che più la affascinano è il trattamento della materia e dei materiali di scarto, come avviene per il progetto Rust, per cui Ariane ha girato Londra in lungo e in largo, setacciando ferramenta e robivecchi in modo da racimolare ruggine, scorie e polveri di scarto provenienti dalla fabbricazione delle chiavi o altro; e per trasformare poi questo tesoro in una speciale patina dal tono difforme (che sembra quasi viva e mutevole a livello cromatico come in continua evoluzione, quasi un ossidazione naturale ma indotta dal suo intervento) e realizzare una collezione homewaremolto particolare, fatta quindi di pezzi unici dalla vita propria. Che invitano al tatto.

Come mai sei diventata designer?
Vivevo in un paesino. I miei genitori avevano entrambi la passione di collezionare oggetti, dai vecchi cavalli da giostra di legno dipinto alle insegne pubblicitarie d’epoca in metallo smaltato, fino agli utensili medioevali. A dodici anni sono entrata in collegio e non sono più tornata a vivere al paese dei miei genitori. Grazie a questa esperienza credo di aver imparato molto presto a essere indipendente. A scuola volevo bene alla mia insegnante d’arte e credo che lei mi ricambiasse: mi dava sempre dei buoni voti. Credo che nell’insieme essere cresciuta in campagna, in una casa piena di oggetti con una loro storia e un loro significato storico, in una famiglia ecologicamente consapevole e con un insegnante che mi incoraggiava a intraprendere una professione creativa, mi abbia fatta quel che sono oggi: una designer e una produttrice indipendente.

Come è nata la creazione della tua collezione Rust?
La collezione di articoli per la casa, prosecuzione della mia linea di lavoro Rust, è ispirata dal desiderio di trarre nuove forme e nuove funzioni da materiali di scarto generalmente trascurati. La varietà dei motivi decorativi delle superfici nasce dall’ossidazione di particelle metalliche che vengono dalle officine metallurgiche britanniche. In Rust non ci sono due pezzi identici: ciascuno è fatto a mano e l’ossidazione delle polveri metalliche dà a ciascun prodotto una decorazione unica, diversa per colore e intensità. Più di recente ho ampliato la mia idea originaria: volevo vedere il materiale applicato a scala più ampia, l’idea delle piastrelle di Rustiles era la cosa più naturale da fare. Mi interessa anche lavorare con architetti e architetti d’interni, perché sono sempre stata curiosa a proposito delle loro rispettive discipline. Rust è essenzialmente un materiale: gli articoli per la casa sono un risultato, le piastrelle un altro, ma ci si possono fare molte altre cose.

A quanto pare ti affascinano la superficie e la sua manipolazione, e ti piace la sfida dei materiali. Ci lavori personalmente?
Certamente il mio studio è un ampio repertorio di esperimenti in allegra confusione. Così è nata la collezione Rust: grazie a un sacchetto di polvere di lavorazione delle chiavi che un fabbro mi diede un giorno, e agli esperimenti che seguirono.

Certo, sei andata per la città a raccogliere materiali di scarto. Come è cominciata?
È cominciata per caso, quando ho iniziato a giocare con queste polveri metalliche non pensavo di avviare un’attività di produzione. Mi piace l’idea che un materiale inutile per qualcuno possa essere il punto di partenza di un progetto e di qualcosa di valore molto superiore per qualcun altro. Credo che si debbano sfruttare molto di più questi collegamenti e cercare di chiudere il cerchio dei sistemi di cui facciamo parte.

Quando affronti un nuovo progetto hai una ricetta segreta?
Un rituale o una ricetta segreti renderebbero le cose molto più facili, ma forse non altrettanto buone. Ogni progetto è diverso, e quindi devo adattarmi, ascoltare e fare più domande possibile. In tutto quello che faccio cerco di essere molto minuziosa, per quanto sia inevitabile che succedano degli equivoci. Una curva di apprendimento che dura per tutta la vita…

Gli errori non sono sempre negativi, e perciò qual è il prossimo progetto che vorresti intraprendere?
Dopo tutti questi anni sto ancora imparando dalle collezioni Rust e Rustiles, ogni giorno e a molti livelli. Quindi l’entusiasmo c’è ancora e c’è ancora spazio per migliorare, e per certe nuove applicazioni. In realtà è quel che mi piace di questo progetto: non finisce mai. Sono in cerca di collaborazioni che mi aiutino a svelare la diversità e il potenziale del materiale.

Arian Prin, Rust
Arian Prin, Rust

Secondo te siamo in un’epoca d’oro del design?
Oggi il design risponde a esigenze molto differenti e a domande che vanno oltre i semplici artefatti fisici. Stiamo imparando ad applicare i processi e le idee del progetto a campi completamente nuovi: sociopolitici, ambientali, scientifici e via dicendo. Ciò significa che oggi il design riguarda direttamente (o indirettamente) molte più persone di prima. Ciò fa del presente un’età d’oro del design? Non più di dieci, venti o cinquant’anni fa. Si cerca semplicemente di risolvere problemi differenti.

Una riflessione sulla scena del design di oggi.
Stilisticamente interessante, forse perché c’è un’inedita onestà nel modo di affrontare materiali e processi.

Chi e che cosa ha contribuito al tuo attuale modo di lavorare?
I miei insegnanti al Royal College of Art, Daniel Charny e Roberto Feo. Hanno reso il mio biennio al RCA incredibilmente ricco e decisivo per la mia vita. Mi hanno aiutato a tradurre in forma di progetto i principi in cui credevo. Una delle molte cose che mi hanno insegnato è stata pensare e imparare attraverso il fare.

Definisci con parole tue la differenza tra design di grande serie e edizioni limitate.
La differenza è di scala, di diffusione e di vincoli, e le due cose rispondono a esigenze molto differenti.

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