Le statue sono diventate uno strumento di protesta

Un tempo le statue erano la celebrazione del potere. Oggi, tra cadute, vandalismi e nuove parodie, i monumenti raccontano i conflitti del presente.

Teste di statue di Re provenienti da Notre-Dame. Musée de Cluny, Parigi.

Foto: Miguel Hermoso Cuesta
Fonte: Wikicommons

Corpi di statue di Re provenienti da Notre-Dame. Musée de Cluny, Parigi.

Foto: Adrian Scottow
Fonte: Wikipedia

La statua di Verre viene rovesciata Stampa d'arte moderna attribuita a Tommaso De Vivo

Piazza dei Martiri del 1956 (già Piazza Stalin), i resti della statua di Stalin. Ungheria, Budapest XIV, 1956

Foto: FOTO: Fortepan — ID 15337 : Adományozó/Donatore: Pesti Srác
Fonte: Wikimedia

Monumento a Stalin a Budapest dopo l’abbattimento della statua, 1956.

Foto: Fortepan / Nagy Gyula 

Rimozione della statua di Cecil Rhodes dal campus dell'Università di Città del Capo il 9 aprile 2015

Foto: Desmond Bowles

Rimozione dell’ultimo grande busto di Saddam Hussein Un appaltatore iracheno locale rimuove l’ultimo grande busto di Saddam Hussein dalla sommità dell’ex Palazzo Presidenziale, oggi sede della Coalition Provisional Authority (CPA), a Baghdad, Iraq, durante l’Operazione IRAQI FREEDOM.

Foto: The U.S. National Archives
Fonte: nara.getarchive.net

La statua di Rhodes deve cadere, 2015

Fonte: Wikipedia

Statua di Cristoforo Colombo vandalizzata a Providence nel 2019.

Statua vandalizzata di Re Leopoldo a Bruxelles, 2020

Statua di Indro Montanelli vandalizzata a Milano, 2020

Da qualche settimana, a Washington, compaiono e scompaiono statue tanto bizzarre quanto monumentali di Donald Trump. La prima lo raffigurava dorato, con un gigantesco bitcoin sul palmo della mano come fosse un trofeo. La seconda, installata “in onore del mese dell’amicizia” come recitava la targa sul basamento, lo mostrava gioioso e compiaciuto mentre stringe la mano a Jeffrey Epstein, entrambi con la gambina civettuola alzata.

In entrambi i casi, le statue sono state collocate nottetempo di fronte al Campidoglio e rimosse dopo poche ore. Ore comunque sufficienti perché il mondo ne godesse l’irriverente ilarità. Piuttosto brutte, entrambe potrebbero essere liquidate dal discorso critico come una semplice bravata di costume, se non fosse per una caratteristica insolita per un monumento: non erano pensate per durare.

Una delle statue di The Emperor Has No Balls, il progetto del collettivo artistico Indecline (2016). Foto di Original work: Indecline, Depiction: Halcyon Digital Network, via Wikimedia Commons
Un monumento esiste perché qualcuno l’ha eretto, e l’ha eretto in qualche momento con qualche intenzione: è un messaggio, un segno di quelle intenzioni.

Alessandro Portelli, Il ginocchio sul collo, 2020

Il monumento come strumento di potere

Non è certo una novità che il monumento sia lo strumento di potere per eccellenza. Lo è quando occupa lo spazio centrale di una piazza, quando costringe i passanti ad alzare lo sguardo verso figure equestri, generali, re e benefattori. È il bronzo che impone la memoria ufficiale, è il marmo che trasforma uomini storici in presenze quotidiane. E proprio per questo il monumento è stato nei secoli anche oggetto privilegiato di contestazione. Già nell’antica Roma le effigi degli imperatori caduti in disgrazia venivano mutilate o sostituite: la damnatio memoriae era un rituale politico che cancellava un avversario dalla storia visibile della città. Pochi secoli dopo, le guerre iconoclaste dell’Impero bizantino (VIII–IX secolo) trasformarono la distruzione delle immagini sacre in un conflitto religioso e politico di massa. E ancora, nel Cinquecento l'iconoclastia della Riforma protestante si accanì contro le immagini sacre all'epoca considerate idolatriche. Nel 1789 la Rivoluzione francese abbatté le statue dei re come atto fondativo di un nuovo ordine politico, con un gesto che riecheggiò un secolo dopo nella distruzione della Colonna Vendôme durante la Comune di Parigi.


Anche al Novecento non mancano gli esempi.  Si pensi alla caduta delle statue di Stalin e Lenin in Europa orientale, prima a Budapest nel 1956, poi in tutto il blocco sovietico dopo il 1989, segnando la fine visibile di un’ideologia. E poi ancora, nel 1991 in Etiopia, la rimozione della statua di Lenin ad Addis Abeba che accompagnò la caduta del regime del Derg, mentre i Balcani avrebbero impiegato tutto il nuovo decennio per sostituire i simboli jugoslavi. Nel 2003, l’abbattimento della statua di Saddam Hussein a Baghdad, trasmesso in diretta mondiale, impose nell'immaginario collettivo la fine di un regime. E più recentemente, la campagna #RhodesMustFall in Sudafrica (2015) portò alla rimozione della statua di Cecil Rhodes a Città del Capo, innescando una riflessione più ampia sul retaggio coloniale. 

La statua di Saddam Hussein viene abbattuta nella piazza Firdos di Baghdad il 9 aprile 2003. Foto Di Unknown U.S. military or Department of Defense employee, Pubblico dominio, da Wikimedia Commons
C’è qualcosa di mitologico nell’immagine del poliziotto con il ginocchio piantato sul collo della vittima a Minneapolis.

Alessandro Portelli, Il ginocchio sul collo, 2020

La frattura del 2020

Sorprendentemente è il 2020, e in particolare l’uccisione di George Floyd a Minneapolis, a segna in questa storia una frattura inedita. Come ha osservato Alessandro Portelli nel lucidissimo Il ginocchio sul collo (2020), c’è qualcosa di mitologico nell’immagine di Derek Chauvin inginocchiato sul corpo di Floyd: c'è San Giorgio che calpesta il drago, la divinità che schiaccia il serpente, il cacciatore che domina l’animale. Figure che hanno incarnato nei secoli la vittoria dello spirito sulla natura, della civiltà sul mondo selvaggio, del bianco sul nero. È un’immagine che condensa secoli di iconografia della supremazia, e che - grazie alla diffusione mediatica - si è trasformata nella cultura visuale contemporanea in una sorta di monumento rovesciato e traumatico.  Non a caso a riportare al centro del dibattito politico il monumento è stato proprio il movimento Black Lives Matter. Nel 2020 decine di statue confederate statunitensi sono state abbattute o rimosse dalle piazze: generali come J.E.B. Stuart, Jefferson Davis o Stonewall Jackson sono caduti dai loro piedistalli, mentre a Washington la figura di Albert Pike scompariva tra le fiamme.


L’Europa non è stata da meno. A Bristol, la statua del mercante di schiavi Edward Colston è stata trascinata e gettata nel fiume, sostituita per qualche ora dalla scultura A Surge of Power (Jen Reid), raffigurante una donna nera con il pugno alzato. In Belgio le effigi di Leopoldo II, responsabile dello sfruttamento genocida del Congo, sono state vandalizzate e rimosse. A Milano la statua di Indro Montanelli è stata imbrattata più volte con taniche di vernice rosa per ricordarne la relazione pubblica con una bambina eritrea di soli dodici anni ai tempi della guerra coloniale. Parallelamente, In Inghilterra prendeva forma una hit list di monumenti considerati eredità dell’odio razziale: Cristoforo Colombo, Robert Milligan, la regina Vittoria sono stati oggetto di violente contestazioni. 

La monumentalità era diventata all’improvviso una questione di tutti. Statue considerate per secoli intoccabili si rivelavano fragili simboli di conflitto etico e storico. La loro rimozione non appariva più come vandalismo, ma come parte di una revisione democratica della memoria pubblica. Lo spazio urbano si trasformava in un’arena dove la memoria poteva essere abbattuta, riscritta, contestata. E una certezza prendeva forma: imporre monumenti a una comunità che non li riconosce è una violenza, è coercizione.

Il monumento al confederato statunitense Robert E. Lee viene rimosso il 19 maggio 2017 a New Orleans. Foto Di Infrogmation of New Orleans da Wikimedia Commons

L'antimonumento satirico e il contrattacco conservatore

E come sempre, quando si inizia a decostruire il potere, subentra la satira: intesa innanzitutto come la capacità di appropriarsi della retorica monumentale per rovesciarla. Già nel 2016 il collettivo Indecline aveva disseminato per le città americane statue di Trump nudo e anatomicamente ridicolizzato, con il titolo The Emperor Has No Balls. Più di recente, nel 2020, il Trump Statue Initiative aveva inscenato performance con attori dipinti d’oro, immobili sui piedistalli, che mimavano la retorica celebrativa per svuotarla.  Eppure la forma monumentale continua a essere utilizzata anche in senso opposto. Proprio in questi giorni il New College of Florida ha annunciato l’intenzione di commissionare una statua di Charlie Kirk, attivista conservatore assassinato il 10 settembre 2025, finanziata da privati e presentata come dono alla comunità, tributo alla libertà di espressione.

Una statua di Lenin abbattuta viene fatta a pezzi per ricavarne souvenir a Kiev, Ucraina. Foto di BaseSat - Own work, CC BY-SA 3.0, da Wikimedia Commons

Anche quelli che oggi definiamo “monumenti difficili” non sempre scompaiono: ripuliti e riposizionati, molti restano in piazza trasformandosi in terreno ricorrente di dibattito. Alcuni vengono trasferiti nei musei, altri reinterpretati attraverso targhe e pannelli che ne contestualizzano il significato. Il doppio movimento è chiaro. Da un lato, le statue effimere e satiriche rifiutano la permanenza e trasformano la scultura in gesto critico. Dall’altro, i monumenti ufficiali continuano a tentare di fissare la memoria e consolidare un ordine ideologico, resistendo anche quando diventano eredità divisive.

Donald Trump inaugura un monumento commemorativo alla rivolta dell' Esercito Nazionale Polacco contro le armate tedesche di Hitler (1994). 6 giugno 2017. Foto Paweł Kula, Sejm RP, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons

Se si pensa alle sculture di Trump apparse di recente, è chiaro come un solo elemento cambi radicalmente le regole di un gioco antico quanto la pietra: queste non sono opere pensate per celebrare, ma per disturbare; non per consolidare, ma per incrinare. Gli antimonumenti di Washington esistono per essere fotografati. Il loro potere non risiede più nella durata, ma nella viralità; non nel marmo, ma nello screenshot che circola in galleria. E in questa nuova guerra simbolica, la pietra sembra perdere la battaglia contro il pixel.

Immagine di apertura: La statua di Jeffrey Epstein e Donald Trump che si tengono per mano comparsa davanti al Campidoglio di Washington il 23 settembre 2025. Foto di Joe Flood from Washington, DC, USA - Trump-Epstein Friendship Month Statues, CC BY 4.0, da Wikimedia Commons 

Teste di statue di Re provenienti da Notre-Dame. Musée de Cluny, Parigi. Foto: Miguel Hermoso Cuesta
Fonte: Wikicommons

Corpi di statue di Re provenienti da Notre-Dame. Musée de Cluny, Parigi. Foto: Adrian Scottow
Fonte: Wikipedia

La statua di Verre viene rovesciata

Stampa d'arte moderna attribuita a Tommaso De Vivo

Piazza dei Martiri del 1956 (già Piazza Stalin), i resti della statua di Stalin. Ungheria, Budapest XIV, 1956 Foto: FOTO: Fortepan — ID 15337 : Adományozó/Donatore: Pesti Srác
Fonte: Wikimedia

Monumento a Stalin a Budapest dopo l’abbattimento della statua, 1956. Foto: Fortepan / Nagy Gyula 

Rimozione della statua di Cecil Rhodes dal campus dell'Università di Città del Capo il 9 aprile 2015 Foto: Desmond Bowles

Rimozione dell’ultimo grande busto di Saddam Hussein Foto: The U.S. National Archives
Fonte: nara.getarchive.net

Un appaltatore iracheno locale rimuove l’ultimo grande busto di Saddam Hussein dalla sommità dell’ex Palazzo Presidenziale, oggi sede della Coalition Provisional Authority (CPA), a Baghdad, Iraq, durante l’Operazione IRAQI FREEDOM.

La statua di Rhodes deve cadere, 2015 Fonte: Wikipedia

Statua di Cristoforo Colombo vandalizzata a Providence nel 2019.

Statua vandalizzata di Re Leopoldo a Bruxelles, 2020

Statua di Indro Montanelli vandalizzata a Milano, 2020