“Gran parte di ciò che viene dipinto sui veicoli dell’Asia meridionale serve da portafortuna per il conducente. Perciò, devo ammettere che mi ha sorpreso vedere diversi camion in Nepal dipinti con scene tratte dal film Titanic. Non mi sembra che porti proprio fortuna”. Così Christopher Herwig, fotografo canadese conosciuto per i suoi reportage in tutto il mondo, inizia a raccontare a Domus il suo viaggio attraverso i paesi dell’Asia meridionale.
Quando gli abbiamo chiesto di raccontarci del suo lavoro magistrale sulle fermate del bus sovietiche dell’ex Urss, il Herwig si trovava proprio in Sri Lanka, e stava lavorando all’editing del suo ultimo libro, appena pubblicato, dal titolo Trucks and Tuks: Decorated Vehicles of South Asia. Si tratta di un portfolio che documenta la vivace decorazione dei veicoli, in particolare camion e tuk-tuk, come vera e propria forma d’arte vernacolare, declinata in modi differenti in ogni paese.
Negli anni, questi veicoli utilitari sono diventati le tele di opere d’arte vivaci ed espressive, che vogliono riflettere l’identità dei conducenti. Così, nelle foto di Herwig si vedono eroi nazionali, come il fondatore del Pakistan Muhammad Ali Jinnah, ma anche personaggi della cultura pop come Joker, Batman, Bruce Lee, che dicono molto dell’influenza estera. Lo spiega la scrittrice e critica Riya Raagini nell’introduzione del volume: “Che l’arte dei veicoli continui a evolversi in direzioni inattese, mescolando influenze provenienti da mondi numerosi e a volte contrastanti, è dovuto soprattutto alle piccole karkhana (officine) e all’abilità dei loro artisti. Senza una formazione artistica formale, gli apprendisti imparano spesso direttamente sul campo, lavorando sotto un ustad (maestro). Allo stesso tempo sviluppano la propria immaginazione attingendo a ciò che li circonda (poster, libri illustrati, calendari, ecc.) come fonte di ispirazione”.
Per questo non è difficile imbattersi nelle immagini di architetture come il Taj Mahal, uno dei simboli dell’India e di tutta l’Asia meridionale, ma anche i più lontani Tower Bridge di Londra o la Sydney Opera House dell’architetto Jørn Utzon, appartenenti a continenti e culture molto differenti. Herwig racconta a Domus di aver avuto la possibilità di conoscere alcuni degli artisti, di averli visti creare opere d’arte in pochi minuti. Non poteva non approfittarne il fotografo, che al posto di un camion si è fatto dipingere una cassa da viaggio.
Per l’autista, il camion non è solo un trasportatore di merci, ma la propria dulhan (sposa) con cui passa la maggior parte del tempo, trovando conforto nei momenti di monotonia e solitudine.
Riya Raagini
Ma perché riempire i veicoli di figure e rappresentazioni ricorrenti? La ragione ha radici antiche, risalenti a prima che i veicoli a motore cominciassero a diffondersi nel XX secolo, quando ancora la sajavat (decorazione) riguardava mezzi di trasporto come barche e carri. Oggi, camion e tuk-tuk girano per le strade dell’Asia meridionale carichi di significato, con illustrazioni che i non autoctoni fanno fatica a capire, come in India, dove alcuni veicoli mostrano la scritta “Use dipper at night” (Usa il dipper di notte).
“Pensavo che significasse abbassare i fari o usare le luci anabbaglianti per non accecare chi guida in senso opposto” ci dice Christopher Herwig, “In parte è vero, ma poi ho scoperto che è anche una campagna per il sesso sicuro. L’obiettivo era vendere un preservativo che hanno chiamato Dipper condoms e rallentare la diffusione delle malattie sessualmente trasmissibili tra i camionisti che spesso si intrattengono con le prostitute.”
Spesso sui veicoli si possono ritrovare gli stessi simboli nuziali delle case, perché il veicolo non è solo un mezzo di trasporto merci ma rappresenta la “dulhan”, e cioè la sposa del conducente. “Ammetto che avevo dei pregiudizi sull’attitudine dei camionisti, come se fossero necessariamente persone aggressive e dovessi fare attenzione” racconta Herwig quando gli viene chiesto in che modo hanno reagito all’attenzione che ha rivolto loro. Contro ogni sua aspettativa “si sono mostrate persone accoglienti e disponibili, spesso mi offrivano la cena o mi preparavano il tè, anche se molti di loro guadagnano poco, lavorano molte ore e non possiedono un’auto propria.”
Con le nuove restrizioni in atto, oltre a non avere un’auto propria, molti di loro dovranno probabilmente rinunciare anche all’ornamentazione del proprio mezzo: anche se la truck art ha trovato spazio come forma espressiva spontanea, le recenti disposizioni dei singoli paesi stanno ostacolando tutta la filiera, come spiegato nel libro di Herwig. Le giustificazioni sono molte: le immagini potrebbero creare distrazione per gli automobilisti, risultare offensive, non rispettare il codice della strada. Per ora, le opere della truck art sono ancora in circolazione, ma il lavoro fotografico di Herwig, che mostra non solo le opere stesse ma anche i driver “orgogliosi di esibire i loro veicoli”, come lui stesso racconta, rischia di essere l’eredità di una corrente artistica che vedremo lentamente scomparire.
Immagine di apertura: Rawalpindi, Pakistan. Foto di Christopher Herwig da Trucks and Tuks, edito da FUEL, 2025. © Herwig / FUEL
