Il recente gesto di Elon Musk, durante i festeggiamenti per il giuramento del 47° presidente degli Stai Uniti d’America, braccio teso con la mano aperta rivolta verso il pubblico, ha scatenato un vespaio di polemiche, riaccendendo il dibattito sull'ambiguità dei simboli e sul loro potenziale propagandistico. L'immagine, rimbalzata sui social media e ripresa da diverse testate giornalistiche, ha evocato in molti lo spettro del saluto romano, gesto carico di un passato oscuro e drammatico.
E così, mentre Musk si difende da ogni accusa di apologia del fascismo o nazismo, il suo gesto rimane lì, sospeso, un gesto che, suo malgrado, ci offre un'immersione profonda nella natura ambivalente dei simboli e nella loro capacità evocativa.

Ed è proprio qui che questo segno si fa eco d’innumerevoli altre mani.
Mani che si sono fatte strumento di potere e di benedizione, arma e offerta, espressione di dominio e di supplica. La mano di Michelangelo che dà vita ad Adamo, ma anche quella che stringe il pugnale di Bruto, che condanna a morte Cesare. La mano che guarisce e che ferisce, che crea e che distrugge, incarnando la duplice natura dell'uomo, capace del gesto più sublime e della più brutale violenza.
Un gesto ambiguo che, proprio per la sua indeterminatezza, ci spinge a riflettere sul potere polisemico dei simboli e sulla responsabilità che ne deriva.
E questa stessa mano, portatrice di una tale ambivalenza, la ritroviamo già nelle grotte preistoriche, impressa sulla roccia, testimone di un bisogno primordiale di comunicare, di lasciare una traccia di sé nel mondo. Un bisogno che si fa preghiera nell'antico Egitto, dove la mano si eleva, ieratica e divina, a guidare il faraone nel suo viaggio verso l'eternità, simbolo del potere regale e del legame con il divino. Nell'arte greca diviene espressione di armonia e di grazia, celebrando la perfezione del corpo umano e l'equilibrio tra forza e delicatezza. Roma, con il suo pragmatismo e la sua attenzione al dettaglio, ne esplora invece la forza espressiva, facendone un elemento chiave per raccontare la personalità degli imperatori.

Ma è con l'avvento del Cristianesimo che la mano, e in particolare la mano di Cristo trafitta dai chiodi, si carica di un nuovo, profondo significato: diviene simbolo di sacrificio e redenzione, offerta d'amore per l'umanità. Una mano che nell'arte bizantina si allunga, eterea, verso la dimensione spirituale, facendosi tramite tra l'uomo e il divino. E che il Rinascimento, con la sua sete di conoscenza e la sua fiducia nelle capacità umane, riporta alla sua terrena bellezza, studiandone l'anatomia con rigore scientifico e celebrandone la potenza creativa. Caravaggio invece la immerge in un gioco di luci e ombre che ne esalta la fisicità, mentre Bernini, scultore del movimento e dell'emozione, le dona un'incredibile vitalità come nel Ratto di Proserpina. Nell'arte moderna la mano si frammenta e si deforma come a volerla cancellare.

E infine, nell'era digitale, la mano si fa pixel, codice binario, interfaccia tra l'uomo e la macchina, aprendo nuovi interrogativi sul futuro della comunicazione e dell'identità umana.
Un gesto ambiguo che, proprio per la sua indeterminatezza, ci spinge a riflettere sul potere polisemico dei simboli e sulla responsabilità che ne deriva. Perché la mano, come la parola, può costruire e distruggere, e rimane soggettiva la sua interpretazione.
Immagine di apertura: Michelangelo Buonarroti, La Creazione di Adamo, dettaglio, 1511 ca.