Aspettando il mare

Moquette, forme smussate e kitsch, colori e pattern: in “A bordo”, Allegra Martin fotografa i luoghi di attesa dei traghetti, in un portfolio curato da Anticàmera.

Popolare di pensieri e azioni lo spazio dell’attesa è cosa assai difficile, di quelle cose che vengono bene solo ai pochi virtuosi che si auto insegnano la pazienza (spesso son gli stessi che sanno come trattare il proprio corpo, ma non sempre) e ne approfittano per lasciar scorrere quel tempo e godere dei segni del passaggio di molti, senza affanno. È probabilmente il primo fallimento che s’impara da bambini, quando non c’è costrutto sociale che impedisca di pretendere e l’aspettare s’impila a forza tra il volere e il diniego, eppure lo spazio dell’attesa è una fra le condizioni umane più interessanti da investigare. Intanto perché possiede un’innegabile dimensione fisica – i luoghi dell’aspettare – che ci travalica, quindi perché s’impossessa delle nostre giornate e le trasforma come farebbero le gocce di Dino Buzzati, mutandone forma e sostanza senza si possa fare null’altro che, appunto, aspettare – osservare forse? – o dimenticarcene fino a non accorgersi che quel tempo è già passato.

Fig.1 Allegra Martin, A Bordo
Fig.2 Allegra Martin, A Bordo
Fig.3 Allegra Martin, A Bordo
Fig.4 Allegra Martin, A Bordo
Fig.5 Allegra Martin, A Bordo
Fig.6 Allegra Martin, A Bordo
Fig.7 Allegra Martin, A Bordo
Fig.8 Allegra Martin, A Bordo
Fig.9 Allegra Martin, A Bordo
Fig.10 Allegra Martin, A Bordo

La chiamiamo sospensione e diventa ancor più evidente quando viaggiamo, perché delimita quei luoghi a metà che siamo soliti attraversare senza fermare il pensiero o, al contrario, lasciandolo defluire fino al risveglio improvviso, magari brusco, del ritorno alla realtà o dell’arrivo. Come la sala d’attesa di un traghetto che viaggia da Portoscuso a Carloforte in Sardegna, da Landeyjahöfn a Heimaey in Islanda o da Brindisi a Valona in Puglia, foderata di moquette e ferma nel tempo infinito degli anni Settanta, fatto di forme smussate e vagamente kitsch, di colori brillanti e pattern quasi ossessivi che stridono con il paesaggio marino circostante, lo stesso che cerchiamo chiassosamente di contenere e riempire.

Allegra Martin, A Bordo. A cura di Anticàmera

Come Nanni Moretti che passeggia nelle sale del traghetto diretto a Lipari in Caro Diario, svicolandosi tra i passeggeri addormentati e le poltrone a righe bianche e blu o bianche e rosse con la sua tazzina di caffè in mano, “sicuro che a Lipari combinerò qualcosa” o forse non sarà che alla fine “sono felice solo in mare, nel tragitto tra un’isola che ho appena lasciato e un’altra che devo ancora raggiungere”. Come, impossibile non citarlo, David Foster Wallace in Una cosa divertente che non farò mai più, che naviga per una settimana alla volta dei Caraibi con i ricchi americani, o finti tali, e che con il suo racconto caustico ha dato forma al nostro immaginario crocieristico postmoderno, affollato di over sessantacinquenni alla ricerca dell’ultimo sussulto di gioventù. Oppure come Viaggio in Italia dei fotografi Luigi Ghirri, Gianni Leone ed Enzo Velati, che racconta il nostro Paese dalla parte dei suoi luoghi sospesi, quelle frontiere del quotidiano che sarebbero piaciute a Gilles Deleuze. A Bordo ripercorre l’Adriatico di oggi come farebbe un giornale di viaggio letterario e lascia a chi guarda la scelta, se lo desidera, di riempire quelle immagini o di lasciarle scorrere, nell’attesa che il traghetto attracchi al suo porto. Testo di Silvia Schirinzi

Allegra Martin, A Bordo. A cura di Anticàmera

Allegra Martin è nata a Vittorio Veneto nel 1980, vive e lavora a Milano. Ha conseguito la laurea in architettura nel 2007 presso lo IUAV di Venezia dove ha studiato con Guido Guidi. Il suo lavoro è stato esposto in Italia presso importanti istituzioni e gallerie, tra cui Viasaterna Arte Contemporanea, la Triennale di Milano, la Biennale di Architettura di Venezia, Forma Milano, il Macro di Roma, la Fondazione Fancesco Fabbri, l’i2A di Lugano e la Galerie f5.6 a Monaco.
Sito internet: www.allegramartin.it