Alserkal Avenue

Dalla prima Art Dubai nel 2007 alla recente inaugurazione di Concrete, ecco come Alserkal Avenue in dieci anni è diventata la destinazione dell’arte del Medio Oriente e cosa ha in serbo per il futuro.

Il biennio 2006–2007 si può considerare lo spartiacque per l’avvio delle istanze culturali nella UAE. È a partire da questa data, infatti, che le riflessioni riguardo il modello culturale da promuovere cominciano a prendere forma. In contrasto con la solida area finanziaria e imprenditoriale che tutto il mondo conosceva, il vuoto culturale era totale e non c’era alcun riferimento – a parte qualche modesto museo di storia locale – per chi intendesse muoversi su percorsi differenti dalla vacanza al mare o dalla visita ai grandi grattacieli.
Tutto comincia a Dubai, con l’apertura quasi contemporanea dell’ufficio di Christie’s e di “Art Dubai”, prima fiera d’arte moderna e contemporanea dell’area mediorientale. Fino al 2007, la sola galleria d’arte contemporanea di Dubai, era la Green Art Gallery oltre a una manciata di art dealer di opere d’arte tradizionali, che avevano scelto il DIFC (Dubai International Financial Center) come loro sede.

 

Nonostante nelle prime edizioni la fiera stentasse a trovare un proprio unicum e le opere moderne e contemporanee fossero presentate negli stand senza un modello curatoriale preciso, anno dopo anno riesce a raccogliere il consenso dei collezionisti mediorientali; in poco tempo inizia a formarsi un gruppo di collezionisti e appassionati locali che, con il loro impegno, danno avvio a una prima forma di sistema dell’arte. È a questo punto che si rende evidente la necessità per le gallerie di avere uno spazio adeguato. E i tempi del resto sono ormai maturi per un cambiamento.

Nell’area industriale di Al Quoz la famiglia d’imprenditori Alserkal possedeva un vasto quadrilatero, con vari magazzini divisi in modo ordinato. Nel 2007 Abdelmonem Bin Eisa Alserkal sceglie di destinarne una parte a gallerie d’arte. Alla fine del primo decennio degli anni 2000, la prima galleria a sbarcare in Alserkal Avenue è la Ayyam Gallery che, all’epoca, aveva quattro sedi: a Damasco, Beirut, Londra e Dubai. Seguono Carbon 12, Green Art Gallery, Grey Noise e Isabelle van den Eynde, la gallerista di Hassan Sharif (Dubai 1951–2016), artista pioniere dell’arte concettuale nella UAE.
Nel 2011, il collezionista iraniano Ramin Salsali, sceglie Alserkal Avenue come sede del Salsali Private Museum dove, oltre alla sua collezione, negli anni ha presentato i lavori di Hazem Harb, Reza Derakshani, uno dei massimi autori nell’ambito dell’arte astratta medio orientale, l’artista pakistano Imran Qureshi e Nazgol Ansarinia. Nel tempo, il cambio di destinazione di diversi spazi da magazzini a gallerie d’arte diventa un dato di fatto e il restyling degli spazi cambia man mano il volto della via che si ritrova a essere la destinazione dell’arte di Dubai.  

 

La sua eco arriva lontano. Leila Heller da New York, la sceglie per aprire la seconda sede della sua galleria. La più grande della UAE. L’idea, sin dall’inizio, è quella di operare su un doppio modello espositivo finalizzato all’incontro della visual art di matrice extra occidentale con quella occidentale. Le mostre: Bill Viola e Rashid Rana; Michelangelo Pistoletto e Y. Z. Kami. Così come Ghada Amer, signora egiziana dell’arte, e lo scultore inglese Toni Cragg.

“Una delle prime cose”, spiega Deborah Najar, “quando decidemmo che Alserkal Avenue sarebbe stata la sede della Fondazione fu scegliere l’architetto”. Oggi la Jean-Paul Najar Foundation è un museo registrato ICOM ospitato forse nello spazio più griffato dell’avenue, firmato Mario Jossa, di Marcel Breuer & Associates. La Fondazione presenta in modo assolutamente esaustivo l’arte astratta Europea e Americana.
Per i giovani, spesso, la prima tappa in Alserkal Avenue è nello studio dell’artista graffitaro e calligrafo tunisino eL Seed. I suoi lavori sono spesso realizzati su larga scala “insieme con giovani artisti”. Indimenticabile l’intervento realizzato a Manshiyat Nasr, un’area periferica del Cairo abitata dalla popolazione copta, la Zaraeeb Community. La comunità, da decenni, lavora su un modello altamente efficiente di riciclaggio dei rifiuti, che in gran parte arrivano dalla città. Zaraeeb, come comunità, vive una pesante marginalizzazione, eL Seed li ha incontrati e insieme a loro ha realizzato un’opera monumentale di calligrafia, basata sulle parole del vescovo copto S. Atanasio di Alessandria. Il lavoro si estende su 50 palazzi di Manshiyat Nasr e gli è valso l’Unesco Sharjah Prize for Arab Culture.
L’ultimo arrivato in Alserkal Avenue è Concrete, il padiglione progettato dallo studio OMA di Rem Koolhaas. Posizionato nel cuore dell’avenue, Concrete è un edificio realizzato mettendo insieme quattro magazzini. Qualcuno l’ha definito il trionfo della discrezione, data la sua struttura minimalista. Il suo colore – che varia da grigio ad azzurro – dipende esclusivamente dalla luce del cielo. “Concrete è un edificio di Dubai, non solo perché è qui fisicamente, ma perché tutto quello che lo riguarda appartiene alla città. I materiali, la mano d’opera e, in una città dove tutto è sovradimensionato e i palazzi sono così scintillanti e sovraccarichi, la soluzione non poteva che essere quella di realizzare un edificio neutro nell’impatto”, ha chiarito Koolhaas. Concrete è davvero la realtà più innovativa degli ultimi anni a Dubai.
Inaugurazione di "Syria Into the Light", Concrete on Alserkal Avenue, 9 marzo 2017. Photo Abby Kemp, Courtesy of Alserkal Avenue
Inaugurazione di "Syria Into the Light", Concrete on Alserkal Avenue, 9 marzo 2017. Photo Abby Kemp, Courtesy of Alserkal Avenue
Chiediamo ad Abdelmonem Alserkal quale sarà il futuro di Alserkal Avenue. Risponde con calma “il non profit” e aggiunge: “Abbiamo lavorato anche sul modello delle commissioni d’arte e, in questa edizione, abbiamo prodotto i lavori di quattro artisti: Ammar Al Attar, Karim Sultan, Farah Al Qasimi e Raja’a Khalid. Apriamo con una serie di residenze, curate da Luigi Fassi”.
La mostra inaugurale di Concrete “Syria: Into the Light” è una collettiva dedicata al lavoro degli artisti siriani, realizzata attraverso le opere della fondazione siriana Atassi Foundation.  “Qualcuno si aspettava una mostra sulla guerra”, fa notare Mona Atassi che ha curato la rassegna insieme con Rasha Salti. “Abbiamo scelto, invece, di fare una mostra storica, dedicata al ritratto. La Siria è un Paese con una straordinaria storia in questo senso, soprattutto moderna”, aggiunge.
“Syria: Into the Light” prende avvio con alcune tele dipinte nei primi decenni del Novecento per arrivare, con le opere di Hiba Al Ansari, Layla Muraywid, Mohamad Omran, ai giorni nostri. Un ampio spazio è dedicato ai dipinti di Louay Kayyali (Aleppo 1934–1978) e Fateh Moudarres (Aleppo 1922–1999) due autori che – a differenza di molti artisti mediorientali che per formarsi andarono Parigi – scelsero, l’Italia, l’Accademia di Belle Arti di Roma. Era la metà degli anni Cinquanta, a Roma viveva Mimmo Rotella, ci passava di frequente Lucio Fontana. Palma Bucarelli era la direttrice della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea e, insieme con Giulio Carlo Argan, organizzava mostre che hanno lasciato il segno nella storia dell’arte. “Vissero parecchi anni a Roma”, sottolinea Atassi e continua: “Le opere di Kayyali sono relativamente poche, rispetto a quelle di altri artisti moderni siriani. Era molto esigente con se stesso, ne ha distrutte diverse e oggi sono molte richieste”.  
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