Cauleen Smith

In occasione di Tirana Open, una mostra diffusa nella capitale albanese, l’artista è stata invitata a presentare The Way out is the Way two: fourteen short films about Chicago and Sun Ra, un film ‘psicogeografico’ dedicato alla figura di Sun Ra e ai suoi anni vissuti nella città americana.

Cauleen Smith
Paola Nicolin: Puoi dirmi qual è l’origine della tua ricerca su Sun Ra e i suoi anni vissuti a Chicago?
Cauleen Smith: Mi sono ritrovata ossessionata da una particolare composizione di Sun Ra: un motivetto bizzarro intitolato Love in Outer Space (L’amore nello spazio esterno). La canzone mi piaceva davvero molto, e decisi di scoprire chi fosse il compositore, questo Sun Ra, e perché fosse così appassionato da tutto quel che riguardava le galassie. Presto venni a sapere che Sun Ra aveva elaborato il suo personaggio (tra l’altro, dagli esordi al giorno in cui morì, affermò di venire dal pianeta Saturno) mentre viveva a Chicago, tra il 1945 e il 1961. Era curioso, perché nella cultura popolare americana Chicago è una città che per consuetudine produce giganti della creatività. Mi venne la curiosità di scoprire che cosa rendesse la città un tale incubatore di creatività sperimentale. E volevo realizzare anch’io un genere di attività creativa che celebrasse il felice incrocio di Sun Ra e Chicago, e il periodo di tempo che lui vi trascorse.

Paola Nicolin: Ti rivolgi a Sun Ra come a una persona piuttosto che a un mito: qual è il ruolo e l’uso degli archivi in questo contesto di ricerca?

Cauleen Smith: Sì, ci sono due significativi fondi d’archivio, quello di Sun Ra e quello del suo agente, i documenti personali di Alton Abraham e le registrazioni audio di Chicago. Avere tra le mani oggetti personali come assegni incassati, copertine di album serigrafate a mano, registrazioni su cassetta di programmi radiofonici ha cambiato il mio rapporto con questa persona e con il suo lavoro creativo. Ho smesso di considerarlo una curiosità e un personaggio storico per vederlo come un impegnato intellettuale creativo e un produttore di cultura. Ho riconosciuto le strategie che adottava per realizzare il suo lavoro e per dirigere l’Arkestra, cui mi ritrovavo vicina come filmmaker. E poi ho iniziato a capire che l’improvvisazione era una parte decisamente centrale del suo dialogo con i musicisti e del suo modo di comporre, e mi è piaciuto. Qualche volta, quando si ha a che fare con una troupe cinematografica, è decisamente difficile improvvisare. Volevo che i miei film avessero la potenza e la sregolata novità dell’improvvisazione musicale. E perciò decisi di prendere quel che avevo imparato dagli archivi e di cercare di mettere tutto in pratica. Ho stampato dei dischi e delle copertine di album serigrafate a mano, ho lavorato con una orchestra numerosa, e ho indotto le persone a indossare costumi folli: una sacco di cose pazze. Volevo vedere in che modo queste azioni avrebbero influito sulle immagini in movimento che realizzavo, cioè in che modo avrei potuto creare, in senso generale ma con intenzione, un’immagine in movimento. Ho imparato molto da questo processo.

Cauleen Smith
Still dal video The Way out is the Way Two: fourteen short films about Chicago and Sun Ra di Cauleen Smith

Paola Nicolin: La narrazione è un ulteriore aspetto molto interessante del lavoro. Come l’hai sviluppata?

Cauleen Smith: In una costellazione di quattordici film c’è anche un lungometraggio, The Way Out is the Way Two. Dato che i film erano pensati per uno spazio espositivo artistico e non per l’ambiente di una sala, ho creato una struttura che consentisse allo spettatore di avere la sensazione di vivere un’esperienza completa anche senza assistere all’intera proiezione di 82 minuti. Inoltre ho permesso al soggetto che riprendevo di determinare la forma del film invece di imporre un livello standard di regole estetiche per tutta la durata del film. La mia speranza era che, se lo spettatore avesse accumulato più visioni e assistito a più di un unico cortometraggio, sarebbero venuti in luce con nettezza certi filoni concettuali, certi personaggi e certi archi narrativi.

Cauleen Smith
Still dal video The Way out is the Way Two: fourteen short films about Chicago and Sun Ra di Cauleen Smith

Paola Nicolin: Un tema affrontato in questo lavoro è anche l’idea di città come spazio interiore, e spesso il lavoro si descrive come un film ‘psicogeografico’. Il film sembra produrre soggettività in un contesto urbano come Chicago. È così?

Cauleen Smith: Mi piace quest’idea della città come spazio interno. Insomma, il cinema è da sempre innamorato degli spazi urbani. Ma di solito la città viene usata come palcoscenico, come fondale, solo saltuariamente un regista pensa a una città come a un personaggio, e questo personaggio-città influisce sulla narrazione. Ma pensare una città come uno spazio interno, come qualcosa che potrebbe essere dentro una persona che vive nella città, oltre che il paesaggio che sta intorno alla persona, da la possibilità di analizzare l’interiorità e i modi in cui ci inseriamo nell’ambiente e gli permettiamo di insegnarci qualcosa su noi stessi.

Facendo ricerche sulla biografia di Sun Ra ho iniziato personalmente a capire che Chicago era dentro di me tanto quanto la stavo esplorando. Elementi banali come i tombini o le stazioni della sopraelevata acquistano un significato mistico, ludico, storico, secondo il modo in cui un certo film affronta la città. Sai, Chicago è piena di steccati. Il modo di vivere nella città viene determinato dalla zona o dal quartiere in cui si abita. Ma quel che ho imparato cercando di fare dei film sul modo in cui Chicago era dentro di me, e di riflettere sul modo in cui poteva essere stata dentro Sun Ra, si è tradotto in immagini che intersecavano l’esperienza umana della città in senso molto ampio. Forse attraverso il cinema riusciamo a condividere le nostre soggettività.

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Still dal video The Way out is the Way Two: fourteen short films about Chicago and Sun Ra di Cauleen Smith

Paola Nicolin: Il lavoro sembra una combinazione articolata di musica d’improvvisazione, processionale e interruzioni esterne, e riguarda molto l’idea di come pensare lo spazio pubblico. C’è un aperto dibattito sullo spazio pubblico in questo lavoro?

Cauleen Smith: L’ultimo filmato di The Way Out is the Way Two è stato il primo che ho girato. Il processo di creazione di questa processione / rottura / flashmob, insieme con la ricerca approfondita negli archivi di Sun Ra, mi ha fatto scendere a grandi profondità nella psicogeografia della città.

Prima di intraprendere questo progetto a Chicago avevo realizzato un’opera a New Orleans. È il vero e proprio luogo di nascita della cultura della musica americana per complessi di ottoni, grazie alle innovazioni di personaggi come Buddy Bolden, Louis Armstrong e poi di bande di ottoni più recenti come The Dirty Dozen e Rebirth Brass Bands. Vedere una banda di New Orleans che si impadronisce di una strada (se non è Mardi Gras) è un’esperienza straordinaria, perché di solito la manifestazione non viene sanzionata dalle autorità. I musicisti, che spesso celebrano un avvenimento della loro comunità, suonano in pubblico nonostante la minaccia di arresto o di punizione. Quindi lo stesso gesto di far musica in pubblico, pur essendo un’occasione celebrativa, diventa contemporaneamente una forma di protesta. Credo che sia una brillante tattica di rottura. Se la protesta è così allettante e desiderabile che reprimerla provoca un’esplosione allora le persone hanno davvero trovato un modo di farsi spazio loro! Anche gli spazi pubblici sono pubblici quanto le autorità vogliono che lo siano.

Se il ‘popolo’ vuole rivendicare – o pretendere – i suoi spazi pubblici, o abitare spazi in cui forse non sempre si sente il benvenuto, allora quale miglior modo di farlo che tramite l’imposizione della marcia di una gran banda fragorosa all’interno di quello spazio, lunga quanto serve a spezzare la banalità quotidiana di tutti ma non abbastanza lunga da far danno o provocare conflitti più gravi? Nel mio film la banda di un liceo, molto stimata per le sue capacità musicali e spettacolari, suona un arrangiamento di Space is the Place (“Il luogo è lo spazio”) di Sun Ra in Chinatown Square, a Chicago. I componenti della banda vengono dai quartieri più lontani del Southside, la zona meridionale della città. Per loro passeggiare per Chinatown è un’occasione rara. I commercianti e i lavoratori di Chinatown non hanno alcun bisogno di scendere nella zona sud e quindi potrebbero non aver mai il piacere di godere la straordinaria esperienza di ascoltare questa banda. Il flashmob (spedire la banda a esibirsi in una piazza di Chinatown) era un regalo e una sfida – la celebrazione di entrambe le culture – e una protesta contro la separatezza. La pioggia che cadeva a dirotto non ha fatto che amplificare l’intensità dell’esperienza. Il luogo è lo spazio.

Cauleen Smith
Still dal video The Way out is the Way Two: fourteen short films about Chicago and Sun Ra di Cauleen Smith

Paola Nicolin: Che cosa significa immaginazione nera per te? Possiamo parlare di questo lavoro anche in questi temini?

Cauleen Smith: Uso la fantasia dei neri per descrivere il potenziale di radicalità della gente di colore nell’immaginare e descrivere se stessi invece di accettare le definizioni e la descrizione che ci vengono imposte. Questa idea oggi si estende alla varietà di forme e di strutture del mio lavoro in cui, invece di conformarmi ai classici concetti narrativi, estetici e stilistici, permetto al mio tema di mostrarmi che cosa sia possibile. I soggetti danno attivamente forma al film. Non voglio modellare le persone in oggetti passivi da filmare.

Paola Nicolin: Puoi dirmi quali sono la tue fonti d’ispirazione in relazione alla ricerca Afrofuturism?

Cauleen Smith: Faccio riferimento a un’ampia gamma di strategie filmiche tratte da varie opere cinematografiche. La ragazzina che rotea nel suo mantello è un omaggio diretto a un vecchio video classico di Dara Birnbaum, Wonder Woman. In termini musicali le atmosfere sonore che ho trovato nell’archivio di Sun Ra mi hanno decisamente invaso la testa. Le ho usate quanto il curatore dell’archivio mi ha permesso. Perciò la colonna sonora del film con la ragazzina che gira su se stessa non è altro che uno stupefacente brano di Sun Ra che improvvisa al piano mentre la sua Arkestra mantiene salda la forma del pezzo, The Sound of Joy. È una straordinaria improvvisazione, così allettante che non volevo che le immagini risultassero di distrazione, da cui la ripetitività.

Quando ho girato il film dei ragazzi con i mantelli da supereroi che corrono in bici e giocano sulla spiaggia del lago Michigan credo di aver pensato a una poco nota filmmaker scozzese che si chiama Margaret Tait. La considero una poetessa filmica pastorale. Mi interessavano il modo in cui i ragazzi di città si inseriscono nel mondo naturale e il modo in cui il mondo naturale si infonde nella fantasia dei bambini. Ma penso che ci sia anche una componente di tristezza, o forse di tenerezza: quella della loro vulnerabilità. È una sensazione ben avvertibile in parecchi film postapocalittici.

C’è un film, Strelitzia Mediation, in cui improvviso delle disposizioni floreali – degli ikebana – usando delle strelitzie. Ho iniziato a realizzare questi film sulla disposizione dei fiori dopo aver passato qualche tempo ad ammirare il lavoro di Bas Jan Ader. Non è molto noto nei circoli afrofuturisti, ma è uno dei miei artisti preferiti. Questi tre esempi, credo, individuano davvero la gamma delle strategie adottate per realizzare i miei film: strutturalista, formale, performativa, narrativa, documentaria. E tuttavia tutte queste tattiche vengono condotte attraverso un registro di improvvisazione, che corrisponde con molta precisione all’atmosfera sonora e alla musica. Gli afrofuturisti sono così esperti che i nostri riferimenti non si adeguano completamente a quella che si potrebbe considerare fantascienza. Ma certi riferimenti potrebbero essere Born in Flames di Lizzie Borden, Brother from Another Planet di John Sayles e ovviamente lo stesso Space is the Place di Sun Ra.

© riproduzione riservata

 

Cauleen Smith (Riverside, CA, 1967) è un’artista e filmmaker interessata al documentario e alle possibilità del cinema sperimentale.

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