Negli anni in cui in Italia il rapporto tra il tessuto urbano e la dimensione partecipativa dell’opera non sembrava più emergente dopo l’esplosione degli anni Sessanta e Settanta, Maria Lai avviò un’operazione che si svolse in sordina, lontano dai centri dell’arte. Legarsi alla montagna durò una giornata nel paese di nascita dell’artista, Ulassai, arroccato sui monti protagonisti della vita e della memoria degli abitanti. È una terra di frane e la potenza del paesaggio è lo scenario senza il quale Legarsi alla montagna non avrebbe potuto nascere. L’8 settembre del 1981 l’abitato fu legato interamente dalla sua gente con un nastro di cotone blu il cui capo fu portato in cima alla parete di roccia sovrastante. La giornata terminò con una festa di piazza. Maria Lai annodò una comunità e questa al suo monte. L’operazione nasceva in risposta alla richiesta avanzata nel 1979 dall’allora sindaco del paese di realizzare un Monumento ai Caduti. Maria Lai disse che avrebbe fatto un’opera, ma per i vivi. Per un anno, il Consiglio comunale e un gruppo di cittadini guidati da Alberto Cannas discussero e promossero l’idea di un’opera per il presente finché fu approvata, lasciando a Maria Lai libertà d’azione.
Nelle intenzioni dell’artista, l’opera doveva restituire qualcosa al luogo e rendere il paese partecipe. Cosa fare esattamente? L’artista si mise in ascolto, parlando con la gente. L’idea di congiungere il paese con un nastro arrivò attraverso i racconti degli anziani a proposito di una fiaba tramandata e narrata ai più piccoli. La leggenda del nastro celeste parla di una bambina che sfugge al crollo di una grotta perché esce alla ricorsa di un nastro azzurro che sfila nel cielo. Trovato un punto di partenza identitario per lo sviluppo dell’idea, per l’artista iniziava la parte più complessa. Ai concittadini Maria Lai chiese di prendere il nastro e di passarlo ai propri vicini di casa in casa. Le persone avrebbero appeso al filo pani decorati o stretto dei nodi dove esisteva un legame di amicizia, mentre la mancanza di rapporti cordiali sarebbe stata visibile per l’assenza di segni.
Legare il paese in senso letterale e metaforico non era semplice. Ricorda Maria Lai: “i rapporti cordiali sono rari, la regola è tenere le distanze”, la gente parlava di “storie di malocchio e di furti, di drammi e di tensioni” (M. Lai, in AA.VV. Da legarsi alla montagna alla Stazione dell’arte, AD arte Duchamp, 2006, p. 29). Partecipando all’operazione, le persone si assumevano una responsabilità pubblica. In una testimonianza rilasciata alla sottoscritta nel novembre 2006 Maria Lai asserisce che le donne furono le prime a lasciarsi coinvolgere (A. Pioselli, Ulassai 1981. L’opera comunitaria, in A. Pioselli, Arte e scena urbana, in C. Birrozzi, M. Pugliese, L’arte pubblica nello spazio urbano, Mondadori, Milano 2007, p. 31). Leggendo la possibilità di una crescita della comunità, il sindaco sposò l’operazione. Legarsi alla montagna poneva domande sul senso di comunità e sulla possibilità di ritrovare un’idea della stessa. Il passaggio del nastro stabiliva un percorso nel tessuto urbano visualizzando spazialmente i rapporti sociali. Dalla tessitura e dalle scritture ricamate su tela, Maria Lai passava per la prima volta a disegnare con il filo nello spazio.
Alla dimensione spaziale si aggiungeva quella temporale. Passando tra le abitazioni, il nastro connetteva il presente al passato, espresso dalla fiaba. Inoltre, univa il paese alla sua montagna vissuta come luogo di sostentamento, ma anche di morte. Maria Lai sembrava chiedere se fosse possibile ritrovare un senso comunitario nella memoria storica e collettiva, ma anche quale potesse essere il futuro e quale il modello del vivere assieme. Questi aspetti inerenti all’operazione la ponevano inevitabilmente su un piano politico. La leggenda della bimba salvata da una magica visione diventava metafora della possibilità d’immaginare nuovi mondi o modi di pensare.
Come richiese Maria Lai, l’operazione Legarsi alla montagna fu realizzata senza contributi da parte del Comune e i soldi stanziati per il Monumento ai Caduti furono destinati al restauro dell’antico lavatoio pubblico. Dal 2006 la Fondazione Stazione dell’Arte di Ulassai accoglie le opere che Maria Lai ha donato al paese dove, dagli anni Novanta, ha continuato a lavorare sul territorio intervenendo in forma permanente. Alessandra Pioselli
Foto di Romina Bettega e Paolo Vandrash, Studio Vandrash
Courtesy: Nuova Galleria Morone