Black Maps: paesaggio americano e apocalittico supremo

Le grandi fotografie aeree di David Maisel, in mostra al CU Art Museum di Boulder, in Colorado, ci ricordano che la natura ancora vive, nonostante l'attuale mortificazione patita per nostra stessa mano.

Quando si entra nell'ampia galleria del CU Art Museum di Boulder che ospita la mostra di David Maisel "Black Maps: American Landscape and the Apocalyptic Sublime", conviene tenere a mente il saggio consiglio che Aby Warburg dà a chi contempla l'arte: Zurücktreten! – allusione scherzosa all'avvertimento lanciato dall'altoparlante a farsi indietro all'arrivo del treno. È un atteggiamento quanto mai appropriato nel caso di queste grandi fotografie aeree, dato che nell'enormità dello spazio si possono fare quanti passi indietro si vogliono, fino a raggiungere il punto di vista voluto, e probabilmente personalissimo, da cui cogliere l'immagine o, più precisamente, coglierne l'epifania aggiustando la propria visione "su un preciso fuoco", per dirla con le sensibili parole di Daedalus, l'alter ego giovanile di Joyce. Occorre un procedimento telescopico, poiché altro non si può fare che imitare il volo di Icaro dell'artista – per restare in termini di genealogie mitologiche – in cerca di un particolare, evasivo punto di vista: la giusta distanza da cui ottenere una veduta onnicomprensiva della Terra.

Le immagini in mostra, per lo più di miniere e di laghi inseriti nel paesaggio dell'Ovest americano e fotografati da una prospettiva aerea, sono state tutte scattate da una distanza crescente negli anni, dato che Maisel iniziò a lavorare a questo progetto negli anni Ottanta. La veduta che si chiede al visitatore di condividere e l'adeguato metro con cui misurare la visione di Maisel, in altre parole, non sono più l'umanissima prospettiva a volo di uccello, ma lo sguardo divino dell'indispensabile angelo di Wallace Stevens, che ha ispirato fin dall'inizio l'opera di Maisel, come si apprende dal ricchissimo volume pubblicato in occasione della mostra. Il paradossale titolo della mostra e del libro, per altro, è tratto da un altro poeta americano, Mark Strand, mentre la categoria del "sublime apocalittico" di solito compare nel sottotitolo delle opere di Maisel e in alcuni dei saggi del libro, ricchi di informazioni e d'intuizioni.
Vista della mostra di David Maisel "Black Maps: American Landscape and the Apocalyptic Sublime", al CU Art Museum di Boulder, Colorado. Photo Jeff Wells/ © CU Art Museum
Vista della mostra di David Maisel "Black Maps: American Landscape and the Apocalyptic Sublime", al CU Art Museum di Boulder, Colorado. Photo Jeff Wells/ © CU Art Museum
E tuttavia nelle immagini nascoste sotto questa etichetta c'è una specie di serenità quasi classica. La stupefacente gamma delle stampe a colori di Maisel, come il trionfo di colori che compare sullo schermo nel finale dell'Andrej Rublëv di Tarkovskij, quando il bianco e nero del racconto viene rimpiazzato dallo splendore senza tempo delle icone, è la caratteristica salvifica che rende inabitabili questi paesaggi, che recedono lentamente in una lontananza trasfiguratrice. La permanenza retinica, quando si viene accecati, è fonte di conforto anche se la ragione può soltanto immaginare la ferita inflitta al territorio (la maggior parte dei siti è stata abbandonata, in una scia di miasmi inquinanti), e ancora sànguina, ancora non è risanata.
David Maisel, <i>The Lake Project 20</i>, 2002
David Maisel, The Lake Project 20, 2002
Ma, come in presenza di sangue non coagulato, la naturale aspettativa è che il fluire della vita non sia stato irreparabilmente interrotto. Secondo Spinoza il dolore può essere definito un bene in quanto indica che la parte ferita non è ancora in putrefazione. Come il dolore un'immagine si può definire un bene in quanto ci ricorda che non siamo ancora "resi morti" (infedele ma efficace traduzione di George Eliot del latino putrefactam di Spinoza). Proprio per questo motivo, le immagini di Maisel sono un bene, anzi un sollievo, in senso letterale, poiché sollevano l'osservatore fino a fargli condividere la propria salvifica visione del mondo: ci ricordano che la natura ancora vive, nonostante l'attuale mortificazione patita per nostra stessa mano.
Le immagini di Maisel ci ricordano che la natura ancora vive, nonostante l'attuale mortificazione patita per nostra stessa mano.
Vista della mostra di David Maisel "Black Maps: American Landscape and the Apocalyptic Sublime", al CU Art Museum di Boulder, Colorado. Photo Jeff Wells/ © CU Art Museum
Vista della mostra di David Maisel "Black Maps: American Landscape and the Apocalyptic Sublime", al CU Art Museum di Boulder, Colorado. Photo Jeff Wells/ © CU Art Museum
Si esce dalle lezioni di oscurità di Maisel, dalle sue tenebre, nel trionfale ma accecante splendore di un sole a picco che non proietta ombre, l'"oscurità resa visibile" di Milton. Albrecht Altdorfer, nel raffigurare la battaglia tra Dario e Alessandro che decise il corso della storia del mondo in una prospettiva planetaria, intese ricordare all'osservatore dello straordinario dipinto monacense che l'orizzonte della storia umana è di gran lunga più limitato di quello della storia divina. Nelle immagini di Maisel l'orizzonte non è mai visibile, con un'interessante eccezione nella serie Oblivion, in cui l'orizzonte della città di Los Angeles si fonde con l'oscurità e ogni distinzione tra terra e cielo sfuma.
A sinistra: David Maisel, <i>American Mine (Carlin NV 2</i>, 2007. A destra: David Maisel, <i>Oblivion 2N</i>, 2004
A sinistra: David Maisel, American Mine (Carlin NV 2, 2007. A destra: David Maisel, Oblivion 2N, 2004
Le mappe di Maisel sono a prima vista claustrofobiche, in apparenza non lasciano alcuno spazio per respirare, e tuttavia dal labirinto c'è un'uscita nel ritmo verticale delle immagini: nel loro orientamento vi è la certezza del ritrovamento, sono irreversibili. È come se intendessero essere "in lenta ascesa/sopra se stesse", per citare la poesia di Strand, "mentre ascendono all'essere / sono come il respiro", e ci si accorge, anche, del proprio respiro.
Vista della mostra di David Maisel "Black Maps: American Landscape and the Apocalyptic Sublime", al CU Art Museum di Boulder, Colorado. Photo Jeff Wells/ © CU Art Museum
Vista della mostra di David Maisel "Black Maps: American Landscape and the Apocalyptic Sublime", al CU Art Museum di Boulder, Colorado. Photo Jeff Wells/ © CU Art Museum
Per fortunata coincidenza, la mostra ha luogo nella stessa università dove il grande filmmaker sperimentale Stan Brakhage insegnò per molti anni, fino all'immatura scomparsa nel 2003 di cui si è da poco celebrato il decimo anniversario. In un recente convegno è stata proiettata la Pittsburgh Trilogy girata da Brakhage nel 1971, opera straordinaria il cui episodio finale è un'autopsia, nel senso letterale del termine, espresso esplicitamente nel titolo del film – The Act of Seeing with One's Eyes, "L'atto del vedere con i propri occhi": la dissezione di un cadavere filmata e offerta allo spettatore nei più insopportabili particolari.
Vista della mostra di David Maisel "Black Maps: American Landscape and the Apocalyptic Sublime", al CU Art Museum di Boulder, Colorado. Photo Jeff Wells/ © CU Art Museum
Vista della mostra di David Maisel "Black Maps: American Landscape and the Apocalyptic Sublime", al CU Art Museum di Boulder, Colorado. Photo Jeff Wells/ © CU Art Museum
In un'affascinante intervista sulla produzione del film Brakhage sosteneva che "una delle cose che salvano il film è quel pezzettino di cielo catturato in una piccola sacca di liquido nell'ascella di un cadavere: un'effimera cosina azzurra che rappresenta tutto lo Spirito, che altrimenti andrebbe perduto". Che la S maiuscola sia o meno di Brakhage, è comunque con analoghi riflessi effimeri che Maisel cattura lo spirito che altrimenti andrebbe perduto. Curiosamente, osserva Brakhage, i bambini accettano la crudezza visiva del film più degli adulti; al che l'intervistatore sottolinea come l'uomo con la macchina da presa paia vivere nel film "una specie di epifania" e si faccia egli stesso quasi bambino nell'eccitazione di esplorare quelli che si presentano come una serie di paesaggi, ma sono in realtà i visceri del cadavere: "La macchina da presa diventa un aeroplano che attraversa librandosi a mezz'aria queste strane formazioni". La visione di Maisel, come quella dell'angelo di Stevens e quella di Brakhage, danno il privilegio di "ri-vedere la terra" e di vivere l'entusiasmante volo di una fantasia che è nondimeno stanca di allontanarsi dalla terra è di avvicinarsi troppo al sole, e si mantiene librata in perfetto equilibrio tra i due: l'angelo è, innanzitutto, "l'angelo della realtà" e "il tuo, ed essendo il tuo / è e sa ciò che sono e ciò che so". Maisel sa certamente chi è e che cosa sa, e la sua visione è quanto mai potente ai fini di questa conoscenza.
Fino all'11 maggio 2013
David Maisel—Black Maps: American Landscape and the Apocalyptic Sublime
CU Art Museum, University of Colorado, Boulder

da giugno a settembre 2013
Scottsdale Museum of Contemporary Art, Scottsdale, Arizona

A cura di Lisa Tamiris Becker, direttrice del CU Art Museum, e di Helmut Müller-Sievers, direttore del Center for Humanities and the Arts, University of Colorado, Boulder

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