Shells, Bells, Steps and Silences

L'intricata mostra di Steve Rode alla galleria LACE di Hollywood mette in risalto i suoni, gli oggetti e i sentimenti che vengono più spesso trascurati o comunque chiusi in un cassetto e non portati alla ribalta.

4' 33" (quattro minuti e trentatré secondi) di John Cage (composizione che prescrive al musicista di astenersi dal suonare lo strumento per i tre movimenti alla cui durata allude il titolo) viene spesso definita un'opera fondata sul silenzio. Naturalmente, il punto è che è il suono a costituire il vero nucleo dell'opera, dato che il rumore, solitamente confinato sullo sfondo improvvisamente viene in primo piano. Un'anticipazione che inquadra un ambiente solitamente ignorato, cosi che la sottigliezza, di fatto, diventa il risultato della ricerca.

L'intricata mostra di Steve Rode Shells, Bells, Steps and Silences, aperta alla galleria LACE di Hollywood fino al 16 settembre, fa specifico riferimento a Cage e a 4' 33", ma il vero punto di contatto, in effetti, è il modo in cui il progetto di Roden riesce allo stesso modo a mettere in risalto proprio i suoni, gli oggetti e i sentimenti che vengono più spesso trascurati o comunque chiusi in un cassetto e non portati alla ribalta.

Nello specifico l'opera di Roden è composta dall'intreccio di tre parti:
– Una collezione di conchiglie provenienti dalla proprietà di Martha Graham, protagonista della Moderna Dance.
– Le annotazioni prese dall'artista nel corso di un soggiorno di un mese presso l'archivio Walter Benjamin dell'Akademie der Künste di Berlino.
– La sua quotidiana esecuzione di 4' 33" di Cage nell'arco di un intero anno.
Steve Roden, <i>Shells, Bells, Steps And Silences</i>, LACE Gallery Hollywood
Steve Roden, Shells, Bells, Steps And Silences, LACE Gallery Hollywood
Per comprendere come Roden, in Shells, Bells, Steps And Silences, rompa con la cronologia è utile conoscere la reale sequenza degli eventi – o l'effetto domino al rallentatore – che ha condotto al progetto. Nell'ottobre 2011, all'archivio Benjamin, Roden, che non parla il tedesco, ha scoperto invece che riusciva a comprendere il linguaggio dei simboli colorati di Benjamin: elementi visivi che la mostra paragona alle "notazioni d'avanguardia che i compositori sperimentavano negli anni Sessanta". Tra i più noti 'utenti' di queste notazioni c'è John Cage. Per combinazione quando Roden arrivò all'archivio era già al decimo dei dodici mesi che stava dedicando all'esecuzione quotidiana di 4' 33" (molte delle esecuzioni di 4' 33" di Roden di conseguenza si tennero all'archivio, forse ignote a chiunque se non a Roden). Un mese dopo, al suo ritorno a Los Angeles, Roden trovò che gli erano stati consegnati due scatoloni contenenti conchiglie e altri oggettini appartenenti a Martha Graham.
Steve Roden, <i>Shells, Bells, Steps And Silences</i>, LACE Gallery Hollywood
Steve Roden, Shells, Bells, Steps And Silences, LACE Gallery Hollywood
In un'unica ma spaziosa sala della galleria l'opera di Roden rappresenta con suoni e immagini l'imprevista e imprevedibile confluenza di questi tre eventi. Uno spartito suggerisce nel linguaggio dei simboli di Cage gesti, oggetti e relativi rapporti; contemporaneamente un video su tre canali con quaranta brevi performance presenta vari oggetti di Martha Graham, alcuni dei quali usati come strumenti. La colonna sonora dei tre canali e le sequenze video si incrociano e si separano a intervalli casuali confondendo ulteriormente il confine tra coincidenza e significato. Insieme costituiscono l'opera che dà il titolo alla mostra: "Conchiglie, campane, passi e silenzi". Altrettanto potente, comunque, è un pezzo a canale unico intitolato Everything She Left Behind That Fits in My Hand ("Tutto quel che ha lasciato e mi sta in una mano"): una ripresa video in continuo della mano di Roden che si apre e si chiude su sfondi di colore differente, a svelare e poi 'consumare' i piccoli oggetti che Martha Graham ha lasciato dietro di sé: statuette, giocattolini e conchiglie. Accanto, su uno schermo più piccolo, una cartolina in bianco e nero dell'interno del Duomo di Siena, trovata da Roden nell'archivio di Benjamin, viene strappata, ricomposta, colorata e di nuovo segnata da fasce di colore.
In un'unica ma spaziosa sala della galleria l'opera di Roden rappresenta con suoni e immagini l'imprevista e imprevedibile confluenza di questi tre eventi.
Steve Roden, <i>Shells, Bells, Steps And Silences</i>, LACE Gallery Hollywood
Steve Roden, Shells, Bells, Steps And Silences, LACE Gallery Hollywood
La mostra parla del proprio processo di realizzazione. Ma, anche se è certamente interessante conoscere la storia di come è stata concepita, tale conoscenza non è affatto un requisito indispensabile. L'opera si regge da sé, una specie di rete da farfalle destinata a significati altrimenti sfuggenti e all'osservazione delle coincidenze. La conchiglia, per esempio, rappresenta un oggetto il cui habitat non è più l'oceano ma, probabilmente, una scatola in una soffitta. La conchiglia non corre più il rischio di essere inghiottita dai flutti, ma dagli archivi, dal tempo, dal fatto che il numero di persone cui interessa è destinato a diminuire continuamente. Analogamente è più facile citare le parole di Walter Benjamin che il suo ostico linguaggio simbolico e cromatico. Il linguaggio visivo di Benjamin, come le conchiglie di Martha Graham e come una vecchia cartolina, è anch'esso 'sepolto vivo' in un magazzino. Ma proprio come il rumore "di fondo" che di colpo in 4' 33" acquisisce la condizione di esecuzione musicale, questi oggetti e queste icone – 'rumore biancò visivo – diventano il discorso principale dell'opera di Roden.
Steve Roden, <i>Shells, Bells, Steps And Silences</i>, LACE Gallery Hollywood
Steve Roden, Shells, Bells, Steps And Silences, LACE Gallery Hollywood
È stato interessante essere presenti al ricevimento inaugurale di Shells, Bells, Steps and Silences, dove il consueto frastuono di una galleria in tutto il suo sfarzo raggiungeva l'apice dello splendore (ovvero la gente parlava con gli amici della vita di tutti i giorni, e non necessariamente dell'opera che aveva di fronte). Roden alzava le spalle, rassegnato al fatto che, per il momento, il progetto non avrebbe vissuto la tranquillità e la condizione contemplativa che avrebbe raggiunto nelle altre giornate. Ma, quando poi le porte della galleria si sono chiuse e lo spazio è diventato sempre più silenzioso, la componente sonora della mostra è venuta alla ribalta e gli occhi si sono riadattati a vedere l'arte e non la gente che guarda l'arte. Un contrasto da cui la mia esperienza ha tratto profitto. L'orecchio, predisposto ai suoni degli esseri umani, ora ne udiva invece l'assenza. E l'assenza assume un tono forte e unificante nel progetto di Roden: l'assenza di Martha Graham e di Benjamin, certo, ma anche l'assenza di controllo sul caso, sul senso e sulla spontaneità. E mentre alcuni si sentono indubbiamente sollevati quando una stanza rumorosa diventa improvvisamente tranquilla e priva di distrazioni, probabilmente la reazione più comune è di ansia o forse di solitudine. La festa è finita. E così forse la ragione per cui certi oggetti vengono conservati, ma raramente ripresi in considerazione (anche se non vengono mai gettati via), per cui certi suoni vengono uditi ma raramente ascoltati, è che fungono precisamente da simbolo di questo genere di disagio, quale che ne sia la bellezza o il romanticismo: il disagio della nostalgia e della memoria che portano con sé, l'imprevedibilità del caso e, certamente, il disagio di udire un altro giorno nel suo naturale trascorrere.
Steve Roden, <i>Shells, Bells, Steps And Silences</i>, LACE Gallery Hollywood
Steve Roden, Shells, Bells, Steps And Silences, LACE Gallery Hollywood
Steve Roden, <i>Shells, Bells, Steps And Silences</i>, LACE Gallery Hollywood
Steve Roden, Shells, Bells, Steps And Silences, LACE Gallery Hollywood

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