The Future Archive, l'archivio del futuro

La mostra curata da Ute Meta Bauer riunisce due decenni di progetti di ricerca, condotti dal CAVS di György Kepes e Otto Piene, dedicati all'analisi dei molteplici modi di colmare il divario tra materiale storico e progetti contemporanei.

Il Center for Advanced Visual Studies (CAVS) del Massachusetts Institute of Technology (MIT) nacque da un'idea di György Kepes, artista, designer e teorico di origini ungheresi che in precedenza aveva insegnato al New Bauhaus di Chicago. Il CAVS, fondato nel 1967, era un istituto di ricerca per l'architettura e il design con il compito di realizzare progetti di collaborazione interdisciplinare di grande scala. La mostra The Future Archive alNeuer Berliner Kunstverein – n.b.k. di Berlino, a cura di Ute Meta Bauer, riunisce due decenni di progetti di ricerca (gli anni Settanta e gli anni Ottanta) condotti quando direttori del CAVS erano Kepes e di Otto Piene, che gli succedette nel 1974, dedicati all'analisi dei molteplici modi di colmare il divario tra materiale storico e progetti contemporanei.

Il comunicato stampa della mostra informa che "le rivoluzionarie posizioni artistiche di una generazione di direttori e di membri del CAVS erano all'avanguardia rispetto al loro tempo", e tuttavia The Future Archive, invece di mettere in luce l'attualità delle proposte dell'archivio, ha la paradossale caratteristica di far sembrare superati progetti attuali. Entrando nella mostra, il visitatore si ritrova immerso nel buio assoluto – l'allestimento è ispirato alla performance Black di Aldo Tambellini (1965) – da cui iniziano a delinearsi forme spettrali, tra cui si scorgono un massiccio sistema di scaffali, The Turtle Two (2009), mobile modulare di Luis Berríos-Negrón che ospita il nucleo dell'archivio del CAVS; Centerbeam (1977-1978), installazione multimediale interattiva esposta a Kassel, a Documenta 6 (1977), insieme con un film di Richard Leacock e John Rubin che documenta l'accoglienza riservata al progetto; Black Film di Aldo Tambellini, serie di sette film sperimentali in cui l'artista manipola il negativo con inchiostro, mascherini e prodotti chimici per creare un'atmosfera d'ansia; e Boston Harbour di Marianne Amacher (City Links #4 and #14, 1973-79), compilazione di opere sonore che illustra il rapporto dei suoni con l'ambiente.
<i>The Future Archive</i>, vista della mostra al Neuer Berliner Kunstverein, 2012. © Neuer Berliner Kunstverein/Jens Ziehe
The Future Archive, vista della mostra al Neuer Berliner Kunstverein, 2012. © Neuer Berliner Kunstverein/Jens Ziehe
In un tremendo richiamo agli anni Settanta la moquette esala un intenso odore di polipropilene, mentre le opere esposte sembrano sospese in una curiosa atemporalità, senza appartenere né al passato né al futuro. Intanto una macchina del fumo (The Liquid Archive) di Urbonas Studio/Nader Tehrani – NADAAA (2011-12) rinforza l'effetto di vaghezza dell'atmosfera nebulosa, a dispetto dell'intento degli autori di "rispettare l'omeostasi ambientale". Come notava Wittgenstein, se qualcuno si limita a essere all'avanguardia rispetto al suo tempo, prima o poi ne sarà raggiunto. Nonostante i suoi proclami radicali ciò che The Future Archive non riesce a fare è affrontare criticamente la propria storia per analizzarne i postulati teorici che ancora informano i programmi di ricerca del CAVS.
<i>The Future Archive</i>, vista della mostra al Neuer Berliner Kunstverein, 2012. © Neuer Berliner Kunstverein/Jens Ziehe
The Future Archive, vista della mostra al Neuer Berliner Kunstverein, 2012. © Neuer Berliner Kunstverein/Jens Ziehe
Uno dei progetti fondamentali del CAVS, il Charles River Project (1971-1974), tentò di dare nuova vita al fiume Charles di Boston ristrutturandone l'architettura delle sponde in funzione del tempo libero. Il pacchiano paesaggio postindustriale venne riconfigurato con uno snello percorso, che anticipava il profluvio di lungofiume delle nuove città di recente ristrutturazione borghese; ma, mentre negli anni Trenta come negli anni Settanta, era ancora possibile sostenere – come fece Kepes – che una riarticolazione architettonica del paesaggio urbano avrebbe innescato una ristrutturazione democratica della sfera sociale, in seguito è divenuto evidente per chiunque abbia visitato il Qatar o Dubai che il potere rivoluzionario delle forme e delle strutture innovative va d'accordo con ogni tipo di schiavitù. E, tuttavia, The Future Archive non tiene conto dei quarant'anni che intercorrono tra queste prime proposte e l'affermazione di oggi secondo cui gli oggetti estetici sono in grado di realizzare "congiunture sociali" (Organic Light Sphere, Olafur Eliasson, 2011), nella misura in cui non tiene conto del dislivello tra ciò che le opere esposte sono e ciò che dichiarano di essere. La mostra pare complessivamente esprimere la convinzione che la mera configurazione dei suoi aspetti formali possa dar vita a un quadro concettuale, ma per chi come noi crede che sia il contesto e non la composizione a determinare la lettura delle opere d'arte, Becoming Archive di Amanda Moore (2009) – "rappresentazione generativa di materiali d'archivio" – appare piuttosto carente e incapace di uscire da un'atmosfera tecnocratica (tra il vincolo e la delega) da anni Ottanta.
Nonostante i suoi proclami radicali ciò che The Future Archive non riesce a fare è affrontare criticamente la propria storia per analizzarne i postulati teorici che ancora informano i programmi di ricerca del CAVS.
<i>The Future Archive</i>, vista della mostra al Neuer Berliner Kunstverein, 2012. © Neuer Berliner Kunstverein/Jens Ziehe
The Future Archive, vista della mostra al Neuer Berliner Kunstverein, 2012. © Neuer Berliner Kunstverein/Jens Ziehe
Lo stesso Kepes subiva fortemente l'influsso della psicologia della Gestalt, teoria visiva e cognitiva contrapposta al comportamentismo, che sostiene che la percezione possieda capacità generative. Nel suo Il linguaggio della visione, pubblicato nel 1944 e ampiamente utilizzato come testo universitario, Kepes sostiene che la comunicazione visiva è "universale e internazionale". Lo stesso universalismo sostenuto e ratificato dal potere postcolonialista nonostante molte generazioni di individui non occidentali siano dovute cadere vittime del QI e dei test della personalità prima che si iniziasse a riconoscerlo.

A parte la psicologia della Gestalt il principale influsso riscontrabile nell'orientamento di ricerca del CAVS sta nelle varie articolazioni cibernetiche della teoria dei sistemi. Kepes aveva rapporti personali con Norbert Wiener, mentre parecchi progetti dell'archivio sono debitori del concetto di sinergetica di Buckminster Fuller. La teoria dei sistemi si estende dall'impostazione cibernetica dei sistemi termodinamici all'analisi dei sistemi biologici, computazionali e sociali. Ovvero si postula che l'azione di un sistema modifichi le caratteristiche dell'ambiente, il quale a sua volta produce nel sistema un adattamento, assumendo la dinamica ricorsiva di un anello di retroazione. Ma occorre osservare che il carattere della chiusura è un requisito fondamentale di qualunque modello cibernetico, cui si riferiscono concetti come sinergia e omeostasi. Benché le rappresentazioni del movimento siano simili, la retroazione è fondamentalmente differente dalla dialettica. Nel modello della retroazione manca l'antitesi (la negazione in senso hegeliano e marxista), c'è solo un'iterazione autoregolata. Nella prospettiva della teoria dei sistemi il concetto di storia è svuotato di significato, per quanti algoritmi generativi si possa prevedere di elaborare in tempo reale. E qui sta il motivo per cui, nonostante la vivacità sperimentale, in The Future Archive il 'futuro' viene a mancare.
Fino al 29 luglio 2012
The Future Archive
Neuer Berliner Kunstverein
Chausseestrasse 128 / 129, Berlino

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