Manifesta 9: The Deep of the Modern

Curata dal messicano Cuauhtémoc Medina, la nona biennale d'arte europea s'innesta nello spazio del sito minerario di Waterschei e parla di un'umanità piegata, ma non sconfitta, e sempre pronta ad alzare la testa contro il destino.

The Deep of the Modern, la mostra che il curatore messicano Cuauhtémoc Medina, affiancato da Dawn Ades e Katarina Gregos, ha realizzato per la nona edizione di Manifesta, può essere letta come un dialogo tra la narrativa personale, la storia e la memoria di un luogo fortemente connotato, Genk, e un presente fatto di connessioni, trasversalità e dinamiche globali. Manifesta è una biennale itinerante nata nei primi anni Novanta come piattaforma per indagare, in una prospettiva europea, i cambiamenti politici, sociali ed economici in atto. Tra i suoi principi portanti, quello di svolgersi in aree di frontiera e non ancora centrali per la produzione artistica. Questa edizione ha luogo alle porte di Genk, piccola città situata tra Bruxelles, Maastricht ed Eindhoven, nella regione del Limburg, in Belgio. Abitata prevalentemente da minatori e sviluppatasi fondamentalmente in relazione alla presenza delle miniere di carbone, quest'area ha rappresentato a lungo una sorta di hinterland industriale dell'Europa. Ancora oggi, un'ampia percentuale della sua popolazione è composta da figli e nipoti di minatori immigrati qui tra fine Ottocento e la prima parte del Novecento, in buona parte dall'Italia – vale la pena di ricordare che fino a non molto tempo fa l'Italia è stata Paese di emigrazione e solo nel 1974 la tendenza si è invertita.

La mostra è concentrata in un'unica sede, nell'edificio vuoto e dèlabré del sito minerario di Waterschei; si sviluppa sui suoi tre livelli con una partizione che asseconda la struttura; l'esposizione del piano basso ospita oggetti e documenti, e si presenta come una trama di storia, storie e memorie relative all'attività mineraria che caratterizzò l'area in un passato ancora recente; il primo piano ospita lavori di artisti maggiori dal secondo dopoguerra in poi, da Duchamp a Beuys, da Broodthaers a Richard Long; una porzione dello spazio, isolata e climatizzata, comprende opere appartenenti alla storia dell'arte tra otto e novecento. Il terzo piano ospita 35 artisti contemporanei, molti dei quali sono stati invitati a creare nuove opere elaborando il tema del lavoro alla luce dei suoi sviluppi più attuali. Il vero tema della mostra è infatti il sistema economico di cui facciamo parte: un sistema che non può che modificarsi continuamente; che comporta quindi un'incessante trasformazione delle modalità e delle condizioni di lavoro e delle relazioni sociali.
In apertura: Carlos Amorales, <i>Coal Drawing Machine</i>, 2012. Con il supporto di Yvon Lambert Gallery, Paris, Kurimanzutto Gallery, Mexico City. Ringraziamenti: Atelier Calder, Sachém France. Commissione di Manifesta 9. © the artist. Photo Kristof Vrancken. Qui sopra: Edward Burtynsky, <i>China, Manufacturing</i>, 2005. Selezione di otto fotografie, dimensioni variabili. Copyright the artist. Con il supporto della Galeria Toni Tàpies, Barcellona. Courtesy Nicholas Metivier Gallery, Toronto, Stefan Röpke Gallery, Köln
In apertura: Carlos Amorales, Coal Drawing Machine, 2012. Con il supporto di Yvon Lambert Gallery, Paris, Kurimanzutto Gallery, Mexico City. Ringraziamenti: Atelier Calder, Sachém France. Commissione di Manifesta 9. © the artist. Photo Kristof Vrancken. Qui sopra: Edward Burtynsky, China, Manufacturing, 2005. Selezione di otto fotografie, dimensioni variabili. Copyright the artist. Con il supporto della Galeria Toni Tàpies, Barcellona. Courtesy Nicholas Metivier Gallery, Toronto, Stefan Röpke Gallery, Köln
La mostra s'innesta dunque sul luogo, vi si radica profondamente; l'energia della memoria circola nello spazio così fortemente connotato del Waterschei. Le testimonianze dell'eredità materiale e immateriale, emerse dai recessi della memoria e dalle "collezioni" di famiglia tanto quanto dagli archivi della polizia, risuonano struggenti rivelando il rimosso, talvolta rinvenendo il dimenticato di una storia dai risvolti drammatici: la miseria inenarrabile di tante vite trascorse, sin dall'infanzia, nel buio reale e metaforico della miniera; la tragedia di esistenze delle quali resta poco: per esempio gli strofinacci ricamati con scene di vita quotidiana, o i libretti di registrazione di lavoro di uomini, donne e bimbi (questi ultimiammessi in miniera solo dai 12 anni in su grazie a una legge del 1889); 7.000 di questi documenti sono esposti in mostra; o i ritratti realizzati da Manuel Duràn, ex minatore, che usando ogni tipo di materiale disponibile, dalla pasta di patate al sale, alla vernice, realizzò un vasto campionario di teste anonime che valgono come immagini universali di minatori e come personificazioni della miseria. Ma
Claire Fontaine, <i>The House?of Energetic Culture</i>, 2012. Con il supporto di Neon Line, Dusty Sprengnagel. Courtesy Air de Paris, Galerie Chantal Crousel, Paris. Commissione di Manifesta 9. © the artists. Photo Kristof Vrancken
Claire Fontaine, The House?of Energetic Culture, 2012. Con il supporto di Neon Line, Dusty Sprengnagel. Courtesy Air de Paris, Galerie Chantal Crousel, Paris. Commissione di Manifesta 9. © the artists. Photo Kristof Vrancken
The Deep of the Modern parla di un'umanità piegata, non sconfitta, e sempre pronta ad alzare la testa contro il destino; un'umanità che ha saputo esprimere figure sorprendenti che, sfidando il calcolo delle probabilità, intrapresero strade impreviste, raggiungendo talvolta traguardi e successi; come il Gruppo di Ashington, poche decine di minatori che nel 1934, sotto la guida del maestro Robert Lyon, decisero di dedicarsi alla pittura amatoriale nel poco tempo libero disponibile, e raggiungono una certa notorietà. O Rocco Granata, figlio di minatori italiani, che arrivato nel Waterschei non solo non seguì il destino paterno, ma da fisarmonicista qual era cominciò a comporre e a cantare, e nel 1958 decise, pur senza alcun supporto, di registrare una canzone, Marina, che diventerà una hit internazionale fecendo di Granata una star. In mostra si vedono i suoi dischi, un jukebox scintillante, la sua vespa, parafrenalia di ogni genere e le immagini in cui Granata compare giovane, poi quelle che lo ritraggono al pieno del successo.
La mostra s'innesta sul luogo, vi si radica profondamente; l'energia della memoria circola nello spazio così fortemente connotato del Waterschei.
Katleen Vermeir & Ronny Heiremans, <i>The Residence (a wager for the afterlife)</i>, 2012. Copyright the artists. Produzione di Limited Editions vzw con il supporto di Flanders Audiovisual Fund e the Flemish Community. Coproduzione: Argos, centre for art and media (Brussels), C-Mine (Genk), Cultuurcentrum (Bruges), deBuren (Brussels), Extra City Kunsthal (Antwerp), FLACC (Genk), Manifesta 9 Limburg (Genk) and Triodos Fonds. Supporto per la ricerca artisti in residenza al CEAC (Xiamen), TIM (Beijing).
Katleen Vermeir & Ronny Heiremans, The Residence (a wager for the afterlife), 2012. Copyright the artists. Produzione di Limited Editions vzw con il supporto di Flanders Audiovisual Fund e the Flemish Community. Coproduzione: Argos, centre for art and media (Brussels), C-Mine (Genk), Cultuurcentrum (Bruges), deBuren (Brussels), Extra City Kunsthal (Antwerp), FLACC (Genk), Manifesta 9 Limburg (Genk) and Triodos Fonds. Supporto per la ricerca artisti in residenza al CEAC (Xiamen), TIM (Beijing).
Al piano superiore, molte delle opere esposte vedono l'utilizzo del carbone o comunque testimoniano una materialità carica di significato e di forza evocativa. Ma a installazioni di dimensioni ambientali come I Registri di Grand Hornu di Boltanski o Chasing the Blue Train di David Hammons, o Title One, The Task of the Community e A Conductor di Rossella Biscotti, sono affiancati da film documentari sperimentali: come il potente Coal Face, realizzato nel 1935 da Alberto Cavalcanti, dal quale emerge una situazione di disperazione quotidiana agghiacciante. Nella sezione più propriamente storica le opere hanno come minimo comune denominatore i temi del paesaggio minerario, del lavoro e della vita dei minatori: dallo stile pittoresco a quello sublime, entrambi capaci di assumere le strutture industriali come elemento drammatico e grandioso, dalla raffigurazione dell'inferno del sottosuolo all'estetica dell'inquinamento, dal realismo che vede i lavoratori protagonisti primi della scena, allo stakanovismo, in momenti diversi della grande epoca del carbone il lavoro e i lavoratori sono stati assunti come elementi centrali della rappresentazione.
Il nuovo shop di Manifesta progettato da 2012Architects & Refunc, 2012. © 2012Architects & Refunc. Photo Kristof Vrancken
Il nuovo shop di Manifesta progettato da 2012Architects & Refunc, 2012. © 2012Architects & Refunc. Photo Kristof Vrancken
Il piano più alto dell'edificio, occupato da opere contemporanee, in molti casi prodotte per la mostra, vede gli artisti riflettere sulle condizioni della produzione industriale e del lavoro oggi, nella società ormai postindustriale. Tra le opere più intense quella di Mikhsil Karikis & Uriel Orlow, che hanno chiesto ai cantanti di un coro di ex minatori di ricordare e vocalizzare i suoni delle attività sotterranee nelle miniere. Il brano sonoro che ne deriva è recitato dagli ex minatori e ripreso in un video misterioso e affascinante, girato nei pressi di Gensk. È poetico e struggente anche il video di Nicolas Kozakis e Raoul Vaneigem, in cui vediamo un operaio solitario intento a costruire una casa di pietra vicino al mare, avendo per unico compagno un asino. Le sue azioni sono accompagnate da un testo che esprime il bisogno di una nuova, più umana, visione del mondo. Edward Burtinsky, invece, fotografa, in Cina, uomini e donne al lavoro all'interno di stabilimenti in cui la produzione industriale avviene su ampia scala. Mentre Paolo Woods, nella sua serie fotografica Chinafrica, esplora gli effetti della recente economia cinese alla conquista del continente africano e le relazioni umane che le conseguenti dislocazioni di persone provocano; questi sono gli slittamenti attualmente in corso nel nostro mondo globale.
L'ex miniera di carbone di Waterschei, Genk, Limburg, Belgio. Photo Kristof Vrancken, 2011
L'ex miniera di carbone di Waterschei, Genk, Limburg, Belgio. Photo Kristof Vrancken, 2011
Manifesta9 si sviluppa così in un continuo rimando tra domande e risposte e si svincola dalla tendenza a intendere il lavoro context-specific come un modo per rivendicare un'identità locale da preservare e da difendere. Il luogo e la sede della mostra diventano invece una situazione paradigmatica in cui riflettere su una trasformazione dei modelli culturali, produttivi, economici e relazionali ben al di là dello specifico contesto. Questo ne fa una mostra interessante e un saggio curatoriale importante.
Sede di Manifesta
Sede di Manifesta
Ni Haifeng, <i>Para-production</i>, 2008-2012. Copyright dell'artista. Con il supporto di The Mondriaan Fund, Amsterdam. Ringraziamenti: Guo Ru. Photo Kristof Vrancken
Ni Haifeng, Para-production, 2008-2012. Copyright dell'artista. Con il supporto di The Mondriaan Fund, Amsterdam. Ringraziamenti: Guo Ru. Photo Kristof Vrancken
Igor Grubic, <i>The Angels with dirty Faces</i>, fotografie, 2004-2006, courtesy the artist
Igor Grubic, The Angels with dirty Faces, fotografie, 2004-2006, courtesy the artist

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