American Dreamers

Cosa resta oggi del sogno americano? Undici artisti, in mostra alla Strozzina di Firenze, rispondono alla domanda con un percorso onirico e inquietante tra cliché, immagini pop e luoghi (comuni) dell'America contemporanea.

Restano ancora un po' increduli i molti turisti US – macchina fotografica in spalla, sneakers ai piedi, felpa arrotolata intorno alla vita e occhiali da sole di gusto leggermente Novanta – che entrando in uno dei luoghi sacri dell'arte fiorentina si ritrovano di fronte a un maxi poster dalla grafica accattivante e un po' Sixties che raffigura una tipica casa americana in bilico su un precipizio. Intenti a percorrere la via crucis indicata dalle guide tascabili giungono davanti a Palazzo Strozzi preparati a incontrare il Rinascimento nella sua forma più evoluta, inebriati dall'odore di una Storia un po' annacquata nel cliché da cartolina dei ricordi digitali, pronti a stupirsi delle vecchie pietre consumate dagli infiniti sguardi dei viaggiatori. Attori di una scena ispirata alla celebre estasi stendhaliana, gli ignari turisti vengono invece proiettati in una cripta segreta in cui il tempo sconfigge una tradizione imposta dall'economia stessa della città che per troppo tempo ha insistito nel valorizzare solo il passato a spese di un presente – si pensi ai gruppi radicali negli anni Settanta dello scorso secolo – che si dimostra invece gravido di progetti.

La Strozzina si colloca nelle affascinanti cantine di Palazzo Strozzi, in un ambiente discreto e poco malleabile che sembra perfetto per accogliere la ricchissima programmazione ideata dalla direttrice Franziska Nori e dal suo ottimo staff. Mostre-gioiello di alta qualità che competono per affluenza e prospettiva critica con molte istituzioni dal corpo più grosso, ma dal cervello leggermente meno fino. La Strozzina è un unicum fiorentino insieme all'Ex3 – altra sede deputata all'arte contemporanea della città medicea – perché, lo sappiamo, Firenze un centro d'arte dedicata al XXI secolo non lo possiede, convinta forse che il Pecci di Prato – altro eccellente esempio – assolva una funzione mai realmente compresa dall'amministrazione locale: implementare il passato attraverso il futuro. Ma a questo fortunatamente pensano mostre come American Dreamers, aperta fino al 15 luglio e corredata da una serie di eventi collaterali di grande interesse.
In apertura: Thomas Doyle, Acceptable losses, 2008 (dettaglio). Courtesy of Amanda Erlanson. © Thomas Doyle. Qui sopra: Will Cotton, Cotton Candy Katy, 2010. Per gentile concessione dell'artista e Mary Boone Gallery, New York
In apertura: Thomas Doyle, Acceptable losses, 2008 (dettaglio). Courtesy of Amanda Erlanson. © Thomas Doyle. Qui sopra: Will Cotton, Cotton Candy Katy, 2010. Per gentile concessione dell'artista e Mary Boone Gallery, New York
"Cos'è oggi – si chiede nella prefazione al catalogo della mostra, James Bradburne – all'inizio del XXI secolo, il sogno americano?". "Ted Ownby", risponde sempre il direttore di Palazzo Strozzi, "divide il sogno americano in quattro parti: abbondanza, democrazia delle merci, libertà di scelta e novità. Un mondo di mode in perenne mutamento, di nuovi modelli e di nuove tecnologie", che dichiara, per molti aspetti, la fragilità culturale del Paese più potente al mondo. È compito dell'arte, degli artisti americani, cercare gli strumenti interpretativi per comprendere il proprio complesso ambiente di vita e le mutazioni che la struttura politico-economica ha prodotto negli ultimi dodici anni. A tentare queste vie dell'interpretazione Franziska Nori ha chiamato 11 artisti che sotto la curatela di Bartholomew F. Bland hanno tracciato un percorso onirico e inquietante tra cliché, immagini pop e luoghi (comuni) dell'America contemporanea. Una selezione raffinata e coerente che affronta in modo disincantato e provocatorio la crisi del paradigma del benessere dando vita a fantasmi, ricordi, scenari dettagliati e desolati, all'interno di segrete stanze e mondi miniaturizzati. Una mostra da sogno.
Christy Rupp, <i>Extinct Birds Previously Consumed by Humans</i>,
2005-2008. Per gentile concessione dell'artista e Frederieke Taylor Gallery, NY
Christy Rupp, Extinct Birds Previously Consumed by Humans, 2005-2008. Per gentile concessione dell'artista e Frederieke Taylor Gallery, NY
E la parola d'ordine del sogno, l'American dream appunto, si unisce perfettamente a un concetto espresso in modo più o meno esplicito da ciascun artista presente in mostra: retreat from reality – fuga dalla realtà. Impossibilitati nel dialogo con una civiltà dei consumi che ha ormai definitivamente sostituito la produzione degli oggetti e dei soggetti alla seduzione delle relazioni, i protagonisti di questo viaggio nella wonderland dei desideri culturali cercano un luogo di creazione in un universo altro, non più quello sovrautilizzato di internet, ma uno spazio fisico, di lavoro materiale e manuale in cui il tempo del fare riacquisti il suo senso primario. Vagano, questi undici lettori del mondo, come pellegrini di un'altra epoca, tra le rovine perturbanti di una civiltà leggermente ottusa e inconsapevole in cui suburbi popolati da identiche villette di compensato si trasformano rapidamente in castelli di marzapane abitati da eteree regine pop. Il recupero delle tecniche tradizionali, della manualità come instrumentum regni dell'artista, appare fondamentale per ciascuno di questi progettisti di mondi che con pazienza certosina ha prodotto suggestioni di grande intensità senza bisogno di dolby surround o effetti speciali.
La Strozzina si colloca nelle affascinanti cantine di Palazzo Strozzi, in un ambiente discreto e poco malleabile che sembra perfetto per accogliere la ricchissima programmazione ideata dalla direttrice Franziska Nori e dal suo ottimo staff.
Patrick Jacobs, <i>
Interior with View of the Gowanus Heights</I>, 2011. Courtesy of the artist e Pierogi Gallery, New York
Patrick Jacobs, Interior with View of the Gowanus Heights, 2011. Courtesy of the artist e Pierogi Gallery, New York
La mostra si apre con gli affreschi portatili di Adam Cvijanovic, immaginati come un'installazione site-specific proprio per la sala a lui adibita, che raffigurano paesaggi privi di presenze umane nelle cittadine della periferia newyorkese in cui le McMansions sono il vero elemento distintivo di una crisi oltre che economica anche estetica. Crisi del mercato immobiliare, crisi dei rapporti interpersonali, annullamento dello spazio pubblico come principale elemento di condivisione sociale: anche le piante presenti nelle raffigurazioni sono simbolo di una natura artificiale in cui specie importate dai primi coloni rappresentano la difficile relazione tra uomo e territorio. E la casa americana è protagonista assoluta anche di altre due opere in mostra: Patrick Jacobs costruisce un dispositivo voyeurista in cui piccole lenti si aprono all'interno di lisce pareti intonacate per svelare allo spettatore il fascino discreto e molto fiammingo di prati in fiore o interni borghesi. Anche qui la presenza umana esiste solo come sguardo del pubblico mentre dall'altro lato degli specchi incantati si respira un abbandono recente, una catastrofe appena avvenuta, un rapimento alieno. Stessa inquietudine per la sala più poetica della mostra in cui Thomas Doyle allestisce un laboratorio di cavie inanimate: case incorniciate in teche e sfere magiche, al limite della gravità terrestre, esplose, sradicate, precarie. Un percorso spaesante e coinvolgente tra i simboli più evidenti della crisi: piccoli e impotenti omuncoli si avvicinano ignari alla catastrofe o, peggio, la provocano.
Mandy Greer, <i>Dare alla Luce</i>, 2008. Per gentile concessione dell'artista. Photo Nora Atkinson
Mandy Greer, Dare alla Luce, 2008. Per gentile concessione dell'artista. Photo Nora Atkinson
Il gioco di verità e rappresentazione prosegue con gli oli su tela di Will Cotton, sicuramente il più noto tra gli artisti in mostra grazie al video diretto per Kate Perry che sembrano stampe fotografiche raffiguranti una Candyland impregnata di glassa e zucchero filato. Ma sul castello di marzapane – silente architettura priva di presenze umane – cala un ambiguo tramonto che dichiara la fine del gioco, la cessazione del sogno. Ad animare i vuoti paesaggi dell'American dream potrebbero pensarci le sontuose sculture di Nick Cave che manipola i materiali con cui compone i sui costumi guardando al waste come ad una possibilità creativa necessaria per combattere le asperità della crisi. Il riciclo nel suo lavoro non è affatto sinonimo di degrado: la cura materiale nella composizione di pezzi sartoriali restituisce vecchi bottoni e presine da cucina ad un universo principesco e concettualmente ricco. Un carnevale a New Orleans costellato di richiami al neo-tribalismo, un gioco – anche qui – potente e festoso. Sempre al riciclo di materiali s'spirano i lavori di Mandy Greer con i suoi universi pop fatti di vecchie collane e pizzi colorati, Kristen Hassenfeld le cui eleganti lampade composte di vecchie carte da regalo, buste postali e imballaggi dividono lo spazio con gli scheletri del favoloso bestiario ricreato da Christy Rupp grazie agli scarti del cibo comprato nei fast food.

Mentre Laura Ball e Adrien Broom si concentrano sui soggetti – rompendo un po' l'incanto prodotto dalle altre opere – raffigurando uomini-scimmia o manipolando fotografie fantasmatiche, Richard Deon ripropone la sua simbologia pop mostrandoci come l'iconografia fumettistica può essere utilizzata anche in chiave molto seria: archetipi del Nuovo Mondo diventano la pubblicità e il consumo di massa, veri autoctoni del Sogno Americano.
Kirsten Hassenfeld, <i>Star Upon Star</i>, 2011 (dettaglio). Per gentile concessione dell'artista e Peter Mendenhall Gallery, LA
Kirsten Hassenfeld, Star Upon Star, 2011 (dettaglio). Per gentile concessione dell'artista e Peter Mendenhall Gallery, LA
Fino al 15 luglio 2012
American Dreamers
Strozzina, Centro di Cultura Contemporanea a Palazzo Strozzi
Palazzo Strozzi, Piazza Strozzi
Nick Cave, <i>Speak Louder</i>, 2011. Photo James Prinz/Per gentile concessione dell'artista e della Jack
Shainman Gallery, New York
Nick Cave, Speak Louder, 2011. Photo James Prinz/Per gentile concessione dell'artista e della Jack Shainman Gallery, New York
Laura Ball, <i>Web</i>, 2009. Per gentile concessione dell'artista e della Morgan Lehman Gallery, NY
Laura Ball, Web, 2009. Per gentile concessione dell'artista e della Morgan Lehman Gallery, NY

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