Marinai, sirene e abissi

La mostra Unfinished Journeys, al Nasjonalmuseet di Oslo, indaga il tema del viaggio da diversi punti di vista. Ma sono le opere legate all'acqua, la parte più potente e memorabile del percorso espositivo.

Ascoltate come sturo l'abisso / Ora lo scandalo lo darò io....

Da una favola nera, Scandalo negli abissi di Louis-Ferdinand Céline, Vinicio Capossela estrae un pezzo gioioso come Pryntyl [ascoltalo qui].

Marinai, profeti e balene è un doppio album imprevedibile come il mare e gli oceani che canta: leggero ed epico, tremendo e solare. Forse devo al suo ripetuto ascolto e al fascino discreto del paesaggio della baia di Oslo, l'attenzione ossessiva e quasi ipnotica che ho dedicato ad alcuni lavori presenti alla mostra Unfinished Journeys, allestita presso il Nasjonalmuseet. Questo non è un resoconto imparziale, descrive il nucleo delle opere legate all'acqua, il più potente e memorabile del percorso espositivo.

Le oscure dinamiche che muovono i personaggi, e le ancor più misteriose logiche dello sviluppo economico disegnano la trama di Abyss (2010) di Knut Åsdam. Il video è montato alternando prevalentemente primi piani e lunghi piani sequenza, girati nelle aree orientali di Londra dove si svolgeranno le Olimpiadi del 2012. Il Tamigi è una presenza discreta, puntuale, che si percepisce lungo i tragitti che O, la protagonista, e gli altri personaggi compiono sulla Docklands Light Railway.
In apertura: Isaac Julien, <i>Yishan Island, Voyage (Ten Thousand Waves)</i>, 2010. Courtesy of the artist and Victoria Miro Gallery, London. Qui sopra: Francis Alÿs, <i>Watercolor (Trabzon, Turkey - Aqaba, Jordan)</i>, 2010. Courtesy of Galerie Peter Kilchmann, Zurich
In apertura: Isaac Julien, Yishan Island, Voyage (Ten Thousand Waves), 2010. Courtesy of the artist and Victoria Miro Gallery, London. Qui sopra: Francis Alÿs, Watercolor (Trabzon, Turkey - Aqaba, Jordan), 2010. Courtesy of Galerie Peter Kilchmann, Zurich
Un abisso marino, e non più interiore, è il motore del racconto dell'altra grande opera video della mostra, Ten Thousand Waves (2010) di Isaac Julien. In anni recenti, sono stati realizzati lavori, come Solid Sea Case 01: The Ghost Ship di Multiplicity, che hanno affrontato in modo oggettivo tragedie avvenute in mare, attraverso l'uso di telecamere subacquee e interviste alle persone coinvolte. A partire da un tragico fatto di cronaca di otto anni fa, la morte di ventitré pescatori cinesi nei mari dell'Inghilterra, Julien intreccia invece luoghi lontani tra loro (le coste inglesi, Shanghai e la regioni dello Guangxi e del Fujian in Cina), dimensioni terrene e ultraterrene (quella mitologica della dea Mazu, cinematografica del film Goddess, e iperreale delle registrazioni delle operazioni di soccorso), linguaggi artistici (calligrafia, poesia, musica, cinema) e periodi storici molteplici (un passato imprecisato, gli anni Trenta, il 2004, il 2010). Questa storia complessa è a sua volta proiettata su nove schermi, dove si alternano e moltiplicano scene ed inquadrature, liberamente disposti all'interno dello sgraziato salone Art Nouveau del museo.
Robert Smithson, <i>Monuments of Passaic</i>, 1967. Courtesy of Nasjonalmuseet
Robert Smithson, Monuments of Passaic, 1967. Courtesy of Nasjonalmuseet
Il lavoro di Tacita Dean, The Russian Ending (2001), è colto e ironico. La serie di acqueforti allude a possibili finali alternativi per imprese esplorative conclusesi male, con navi affondate e dirigibili flosci. Il titolo si riferisce ad una pratica cinematografica danese dei primi anni del Novecento, quando i film venivano girati con due finali, uno lieto ed uno tragico (per il pubblico russo). Runo Lagomarsino accumula per There is always a day away (2011) una piccola collezione di oggetti, che in modo più o meno diretto rimandano alle grandi esplorazioni e ai secoli del colonialismo: navi in miniatura, tappi, salviette, lenti di ingrandimento, libri, bustine dello zucchero, biglietti della lotteria. Francis Alÿs, con Watercolor (2010), si muove sul confine tra viaggio e linguaggio. Le acque di due mari "colorati", il Mar Nero ed il Mar Rosso, vengono mescolate, raccogliendo un secchio d'acqua sulle rive di Trebisonda in Turchia, e riversandolo ad Aqaba in Giordania. Dannatamente semplice, ed efficace.
Knut Åsdam, <i>Abyss</i>, 2010. Courtesy of Nasjonalmuseet
Knut Åsdam, Abyss, 2010. Courtesy of Nasjonalmuseet
Due opere di artisti diversi stabiliscono tra loro (forse involontariamente) una straziante affinità, un impossibile passaggio di testimone: narrano di due viaggi nell'Atlantico, in direzioni opposte, inaspettatamente complementari. Fiona Tan in Brendan's Isle (2010) racconta il viaggio leggendario del monaco irlandese Brendan, che nel VI secolo dopo Cristo avrebbe attraversato l'oceano partendo dall'Europa e trovando lungo la via l'isola che avrebbe portato il suo nome in molte carte geografiche, senza mai essere individuata con certezza. Una fotografia ritrae invece l'olandese Bas Jan Ader, scomparso prematuramente nel 1975 mentre attraversava l'oceano in solitaria su una piccola barca a vela, la "Ocean Wave", da Cape Cod verso l'Irlanda, per realizzare il progetto In Search of the Miraculous. Ad altri eroi norvegesi, come l'antropologo ed esploratore Thor Heyerdahl, capitano del Kon-Tiki e di altre rischiose spedizioni attraverso gli oceani, è andata decisamente meglio.

Data anche la giovane età dell'artista, torna in mente il protagonista del romanzo di Joseph Conrad del 1917, ma purtroppo Ader è stato inghiottito dalla sua linea d'ombra. Probabilmente ad Ader sarebbero suonate familiari le ultime strofe della ballata di Capossela Le Pleiadi [ascoltala qui]:

S'alza in cielo ora la Croce del Sud / Notte alta io avanzo da solo / Fino ai confini delle Pleiadi / Fino agli estremi confini del mare / Ma io non ti dico tutto, con Te consigliati in cuore / E da te stesso scegli la via.
Tacita Dean, <i>The Russian Ending</i>, 2001. Courtesy of Nasjonalmuseet
Tacita Dean, The Russian Ending, 2001. Courtesy of Nasjonalmuseet
Fino al 20 maggio 2012
Unfinished Journeys
Nasjonalmuseet, Museum of Contemporary Art
Bankplassen 4, Oslo
Rosa Barba, <i>Outwardly from Earth's Center</i>, 2007. Courtesy of carlier | gebauer, Berlin e Galleria Giò Marconi, Milano
Rosa Barba, Outwardly from Earth's Center, 2007. Courtesy of carlier | gebauer, Berlin e Galleria Giò Marconi, Milano

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