Forget Fear: la settima Biennale di Berlino

Curata dall'artista Artur Zmijewski la settima biennale d'arte contemporanea di Berlino è una mostra polemica, contraddittoria, ambigua, a tratti politicamente scorretta.

È una mostra polemica, contraddittoria, ambigua, a tratti politicamente scorretta. Incredibilmente presuntuosa. Ma è anche una mostra che pone questioni di rilievo e che fa piazza pulita di quell'arte pacificatoria così facilmente assimilabile a status symbol: nulla da portare a casa, nulla da consumare, pochi nomi da ricordare. La settima Biennale di Berlino mette in campo dissidi e conflitti politici, sociali, culturali, e per farlo gioca sulla possibilità di generare nel visitatore disagio, confusione e tensione.

Del resto è stata curata da un artista, Artur Zmijewski decisamente poco conciliante, che non si interessa alla dimensione formale dell'arte né ai giochi linguistici, stilistici, teorici. All'arte Zmijewski attribuisce il ruolo di prefigurare altri mondi possibili, ma il suo è un lavoro tutto giocato "contro": la strada attraverso la quale cerca di raggiungere lo scopo consiste nel mettere in campo processi di rottura. Muovendosi come creatore di piattaforme di azione e come attivatore di reazioni, l'artista crea situazioni paradossali, provocatorie, in molti casi manipolatorie e dolorose sia per i partecipanti, che si trovano a giocare ruoli di vittime e di complici insieme, che per gli spettatori; situazioni che rimescolano, talvolta inveleniscono. Il suo lavoro si è spesso concentrato su tensioni sociali profonde e su traumi storici di ampia portata; e sa far emergere orientamenti, stati d'animo dominanti e convinzioni, credenze e ideologie che informano la società attuale. Tra le sue tecniche quella di far performare ai protagonisti delle proprie opere situazioni disarmoniche e forzate, talvolta estreme.

La biennale che ha curato gli corrisponde perfettamente. Ibrida, disorientante, irritante, include figure che non avremmo immaginato di vedere accostate: artisti attivi nel campo dell'arte contemporanea e attivisti dei movimenti Occupy, scultori tradizionali e gruppi di estremisti fuori legge, inclusi nelle liste internazionali del terrorismo, rappresentati qui dai loro avvocati. La conferenza stampa di apertura è stata meticolosamente organizzata per trasformarsi in una riunione da collettivo, con un gruppo di indignados spagnoli che hanno interrogato gli astanti sul senso di una biennale "politica", ma anche sui condizionamenti che un giornalista vive nell'ambito della propria attività quotidiana. La sensazione dei partecipanti è stata di fastidio o di noia, comunque di forzatura e di intrappolamento.
In apertura: <i>Key of Return</i>. Photo Aida Youth Centre. Qui sopra: Yael Bartana, <i>Zamach (Assassination)</i>, 2011, foto di produzione. Photo Marcin Kalinski
In apertura: Key of Return. Photo Aida Youth Centre. Qui sopra: Yael Bartana, Zamach (Assassination), 2011, foto di produzione. Photo Marcin Kalinski
Al gruppo di Occupy è stato anche offerto tutto il piano terra del KW Institute for Contemporary Art affinché vi si accampassero e lo trasformassero in un insieme di piccoli laboratori. A uno scultore specializzato in statuaria religiosa, il polacco Miroslaw Patecki, autore della più grande statua di Cristo mai realizzata, è dedicato un intero piano del KW, trasformato in studio, con un video che mostra la folla distribuita lungo le strade fangose di Polonia in attesa di veder passare la scultura; il pathos è palpabile nei gesti e nelle espressioni, e fatalmente ci troviamo a chiederci dove sia la differenza, se non ci siano più desiderio, più autentica partecipazione collettiva, più fiducia in una possibile trasformazione del mondo in questi rituali che non in quelli messi in campo dagli indignados, o dagli artisti. Nel frattempo, Patecki è presente nella sala, occupato a "scolpire" una nuova gigantesca testa di Gesù in poliestere.
Martin Zet, poster <i>Deutschland schafft es ab</i>. Photo Berlin Biennale
Martin Zet, poster Deutschland schafft es ab. Photo Berlin Biennale
Tra gli altri lavori in mostra, una collezione di ritagli di giornali, assemblata da Teresa Margolies racconta giorno per giorno attraverso titoli e immagini della copertina una realtà truculenta ed efferata fatta di morti ammazzati e di cadaveri smembrati: una realtà capace, evidentemente, di generare assuefazione e voyeurismo di massa. Il progetto dell'artista ceca Martin Zet ha proposto di raccogliere e smaltire il maggior numero possibile copie di un libro razzista antimusulmano che aveva suscitato scalpore in Germania nel 2010: Deutschland schafft sich ab di Thilo Sarrazin. L'idea di smaltire i libri in un Paese che ha conosciuto tragici roghi di libri e che sul passato ha saputo riflettere ha generato forti reazioni di protesta. Peraltro, pare che le copie del libro donate siano state pochissime.
All'arte Zmijewski attribuisce il ruolo di prefigurare altri mondi possibili, ma il suo è un lavoro tutto giocato contro.
Tomas Rafa, <i>Queer Parade</i>, Praga, Repubblica Ceca, agosto 2011
Tomas Rafa, Queer Parade, Praga, Repubblica Ceca, agosto 2011
L'artista Lukas Surowiec, ha piantato per le strade di Berlino 300 alberi nati nelle foreste intorno ad Auschwitz-Birkenau, sulle fosse comuni dei morti gassati: una sorta di monumento organico vitale e in perenne crescita, infiltrato nella città. Il Palestinese Khaled Jarrar ha creato un timbro dello stato Palestinese e propone ai visitatori di stampigliarlo sul loro passaporto. Il timbro inventato riferito a una realtà ufficiale che non esiste creerebbe concreti problemi in qualsiasi reale dogana. Insomma, la mostra solleva questioni sulla presenza attiva dell'artista nella società, sull'ordine politico vigente e sulle politiche della memoria, sulla legalità e sull'illegalità, sul limite entro il quale una società ci consente di operare. Il vento dell'indignazione e la violenza della storia, i linguaggi delle ideologie, lo stand by politico, tutti questi temi ci sono, e Zmijewski non teme di risultare pretenzioso. Ma c'è anche altro. In molti casi ci troviamo a chiederci cosa stiamo guardando. Certo, questa è una mostra che va vista nel complesso; ma l'impressione è che l'autorialità degli artisti invitati risulti volutamente smorzata. E non stupisce che Zmijewski abbia avuto rapporti tesi con l'ambiente artistico berlinese. Tra i temi che emergono uno dei principali è senz'altro quello del ruolo dell'artista come curatore.
<I>Kartenrecht</i>. Photo Kartenrecht
Kartenrecht. Photo Kartenrecht
Costruzione della statua <i>Christ the King</i> a Swiebodzin. Photo Tomasz Stafiniak
Costruzione della statua Christ the King a Swiebodzin. Photo Tomasz Stafiniak
<i>Battle Re-enactment</i>. Photo Maciej Mielecki
Battle Re-enactment. Photo Maciej Mielecki
Lukasz Surowiec Berlin-Birkenau, <i>Messa a dimora di una pianta</i>, Heinz Berggruen school, Berlino. Photo Zdravka Bajovic, 2011
Lukasz Surowiec Berlin-Birkenau, Messa a dimora di una pianta, Heinz Berggruen school, Berlino. Photo Zdravka Bajovic, 2011

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