Lettera da Venezia

I quattro nuovi para-padiglioni voluti da Bice Curiger per la Biennale di Venezia sono improntati all'idea neo-romantica dell'artista come cittadino cosmopolita.

Questo articolo è stato pubblicato su Domus 948, giugno 2011

Tra i progetti più attesi della Biennale di Venezia di quest'anno ci sono quattro installazioni che la direttrice della mostra internazionale, Bice Curiger, ha battezzato 'para-padiglioni'. A metà tra architettura e scultura, queste quattro strutture disegnate da altrettanti artisti di generazioni e provenienze assai diverse saranno distribuite tra i Giardini della Biennale e l'Arsenale. Curiger ha descritto queste nuove strutture come improvvise concentrazioni di energia: i para-padiglioni sono piccole mostre nella mostra, momenti di dialogo più serrato tra opere d'arte che cercano di sfuggire al ritmo paratattico tipico della Biennale, dove (soprattutto negli spazi immensi dell'Arsenale) le opere si susseguono in una processione infinita e cercano di contrastare gli spazi crescendo fuori misura, a volte con risultati che stanno al limite di una goffa elefantiasi.

I para-padiglioni, invece, sono pensati per funzionare su una scala più modesta: sono sculture che crescono fino a ridefinire lo spazio, ma che al loro interno accolgono opere anche di piccole dimensioni. Si fondano infatti su un'idea di ospitalità al limite del parassitismo: Bice Curiger ha invitato la polacca Monika Sosnowska, il cinese Song Dong, l'americano Oscar Tuazon e l'austriaco Franz West a concepire quattro sculture che potessero essere abitate e popolate dall'opera di altri artisti. In alcuni casi, Curiger ha scelto le opere che avrebbero abitato gli spazi, altre volte ha lasciato che fossero gli stessi autori dei para-padiglioni a suggerire altri artisti, in una mise en abîme che espande così la lista degli artisti invitati. Come a dire: aggiungi un posto a tavola.
Oscar Tuazon, modellini per il progetto del para-padiglione di Venezia, 2011. Per gentile concessione dell’artista. Tuazon ha ideato una serie di spazi vuoti, due edifici senza stanze. Un sofitto di cemento, che ricade su se stesso, sostenuto dal peso delle mura che si ripiegano l’una sull’altra. Un fenomeno fisico, più che un edificio in cui vivere.
Oscar Tuazon, modellini per il progetto del para-padiglione di Venezia, 2011. Per gentile concessione dell’artista. Tuazon ha ideato una serie di spazi vuoti, due edifici senza stanze. Un sofitto di cemento, che ricade su se stesso, sostenuto dal peso delle mura che si ripiegano l’una sull’altra. Un fenomeno fisico, più che un edificio in cui vivere.
L'idea dei para-padiglioni è anche intimamente collegata alla storia della Biennale veneziana, che è l'unica biennale al mondo ancora suddivisa in partecipazioni nazionali, con i padiglioni raccolti ai Giardini e le altre rappresentazioni nazionali sparpagliate tra vecchi palazzi e tra le calli veneziane. Rappresenta un'idea forse anacronistica del mondo, così saldamente asserragliato nei propri confini di stati-nazione, a metà tra il Risiko e le Nazioni Unite dell'arte. Ma deve essere anche un'idea che ancora stimola la curiosità di molti governi e ministri se quest'anno si è arrivati al numero record di 89 Paesi rappresentati, tra cui molte nazioni che ritornano alla Biennale dopo tanti anni, o che vi si affacciano per la prima volta, tra cui l'India, il Bangladesh, l'Iran e l'Iraq. I Giardini della Biennale hanno poi sempre un fascino surrealista: come in una sorta di Monopoli cresciuto chissà come in scala reale, i padiglioni nazionali disegnano una piccola città immaginaria, in cui però spuntano solo edifici ispirati a castelli, ambasciate e templi…
Franz West, <i>Gschwusti (Buzzicone)</i>, 2003. Epossidico, vernice acrilica, 9h x 16 x 12 cm. Foto Heiri Häfliger/Atelier Franz West
Franz West, Gschwusti (Buzzicone), 2003. Epossidico, vernice acrilica, 9h x 16 x 12 cm. Foto Heiri Häfliger/Atelier Franz West
È il trionfo di un'architettura di rappresentanza sospesa tra kitsch e ricerca delle origini: che ci piaccia o no, è questa una delle caratteristiche più appariscenti della Biennale di Venezia. E proprio da qui è partita la curatrice Bice Curiger, che ha deciso di incrementare il numero dei padiglioni con i suoi quattro para-padiglioni. Non a caso, per questa edizione Curiger ha scelto il titolo di ILLUMInazioni, suggerendo che, anche solo indirettamente, la mostra si interroga su cosa significhi essere una nazione oggi. I para-padiglioni della Curiger, però, sono orgogliosamente internazionali e, piuttosto che tracciare i nuovi confini di una geopolitica dell'arte, sono improntati all'idea neo-romantica dell'artista come cittadino cosmopolita, a proprio agio in una comunità di eccentrici.
I para-padiglioni sono momenti di dialogo più serrato tra opere d’arte che cercano di sfuggire al ritmo paratattico della Biennale
<i>Extroversion, 2011.</i> Modello dell’installazione che consiste in 43 opere di Franz West e dei suoi assistenti, di artisti-amici e di colleghi. Foto Michaela Obermair, Archiv Franz West.
Extroversion, 2011. Modello dell’installazione che consiste in 43 opere di Franz West e dei suoi assistenti, di artisti-amici e di colleghi. Foto Michaela Obermair, Archiv Franz West.
Franz West è il più anziano degli artisti invitati a progettare i para-padiglioni, quest'anno viene anche insignito del Leone d'Oro alla carriera, quindi il suo contributo acquista ancora più importanza. Tanto più che West non è certo nuovo a queste forme di collaborazione e aggregazione. Per certi versi, anzi, può essere visto come un antesignano di quella vasta compagine di artisti che vengono spesso raggruppati sotto l'etichetta della cosiddetta "estetica di relazione", ovvero di quell'arte, emersa ai primi anni Novanta, che predilige la partecipazione aperta di pubblico e artisti, innescando reazioni a catena in cui l'artista è solo uno snodo in un sistema produttivo in cui sono coinvolti altri agenti e attori. Molte delle sculture di West possono essere letteralmente indossate dal pubblico o utilizzate come oggetti di design. Celebri sono le sue sedie, i suoi tavoli e le sue gigantesche sculture astratte dalle forme curiosamente scatologiche, con le quali il pubblico può giocare. West è anche un catalizzatore di giovani artisti e nel suo studio spesso organizza sculture collettive in cui le opere di differenti autori sono inglobate in collage tridimensionali e display da mobilificio impazzito. Per la Biennale, l'artista austriaco ha spinto ancora più in là questa idea di partecipazione, trasferendo negli spazi dell'Arsenale una ricostruzione perfetta della sua cucina di Vienna, dove da anni ormai ammassa opere di amici, giovani artisti e compagni di viaggio. La cucina, però, verrà ricostruita alla rovescia: gli interni trasformati in esterni e viceversa.
Work in progress per il para-padiglione di Song Dong, ideato grazie alla “intelligenza della povertà”.
Work in progress per il para-padiglione di Song Dong, ideato grazie alla “intelligenza della povertà”.
Lo spazio domestico ritorna nel padiglione del cinese Song Dong, anche questo installato all'Arsenale. L'opera finora più celebre dell'artista è una sorta di monumento alla memoria di sua madre, creato installando in mostra l'intera abitazione e tutti gli oggetti, gli abiti e gli utensili che la madre aveva conservato per anni e anni, nel disperato tentativo di non buttare via niente, di preservare anche gli oggetti più inutili. Che la povertà sia la madre della creatività è una frase che Song Dong ama ricordare spesso: "l'intelligenza della povertà", per usare ancora le parole dell'artista, informa anche il suo progetto a Venezia dove si prepara a ricostruire una casa comune, ovvero una di quelle antiche abitazioni cinesi aperte su un grande cortile condiviso e di esporre più di cento armadi appartenuti alle famiglie dei vicini. A Song Dong interessa la possibilità di ricreare un senso di comunità attraverso gli oggetti d'affezione e gli spazi sociali che animano la nostra esperienza domestica.
Song Dong ha ideato una comunità artistica costruita attorno a una vecchia casa di 100 anni (dove ha vissuto per sette anni) e con 100 ante degli armadi di diverse famiglie. Il padiglione diverrà quindi una costruzione collettiva di centinaia di famiglie e illustrerà, sotto forma di opera d’arte, lo stile di vita di una comunità.
Song Dong ha ideato una comunità artistica costruita attorno a una vecchia casa di 100 anni (dove ha vissuto per sette anni) e con 100 ante degli armadi di diverse famiglie. Il padiglione diverrà quindi una costruzione collettiva di centinaia di famiglie e illustrerà, sotto forma di opera d’arte, lo stile di vita di una comunità.
Assai più precario è il padiglione di Oscar Tuazon, installato nei Giardini. Come molti altri artisti affascinati dall'architettura, Tuazon intrattiene una relazione d'amore e odio con il Modernismo e in generale con l'idea del progetto razionalista. La sua ispirazione viene piuttosto dall'architettura vernacolare, dalle rovine degli abusi edilizi, da una versione imbastardita dell'architettura utopica cosi com'è stata tradotta e fraintesa nelle comunità hippy degli anni Sessanta: Le Corbusier + Slab City... Per Tuazon, l'architettura e la scultura sono collisioni di elementi disparati in cui il denaro, la legge di gravità, il tempo e il pubblico rivestono ciascuno un ruolo fondamentale destinato a influenzare e incrinare il risultato finale. "Non ti voglio illudere" – inizia a descrivere il progetto che ha invitato a Bice Curiger, "non ho idea di che forma avrà questa cosa… E qualsiasi forma finirà per avere, non riuscirò a finirla in tempo, e comunque va bene così". L'artista americano rappresenta una nuova tendenza tra quelli che oggi si misurano con il tema dell'architettura: il suo è un approccio assai ruvido, in cui Gordon Matta-Clark si combina alla tradizione della scultura minimalista ma completamente degradata, corrosa dall'interno. "Pensare all'architettura è un modo educato per dire 'pensare ai corpi della gente' o 'pensare al sesso'", continua Tuazon nella descrizione del suo progetto. "Un edificio è una cosa brutale, una cosa vuota che ha bisogno di persone per essere riempita".
Work in progress per il para-padiglione di Song Dong, ideato grazie alla “intelligenza della povertà”.
Work in progress per il para-padiglione di Song Dong, ideato grazie alla “intelligenza della povertà”.
Il lavoro della polacca Monika Sosnowska appartiene invece a quella tendenza propria di quelli che potremmo definire simulazionisti: artisti che realizzano installazioni come scenografie di spazi abbandonati, illusioni spaziali e ambienti immersivi in cui lo spettatore viene di solito gettato in una replica di uno spazio domestico o architettonico che è accuratamente ricostruito per creare effetti di spaesamento. Mike Nelson, che rappresenta il Regno Unito, è forse l'esempio più lampante di questa tendenza all'interno della Biennale di quest'anno; Gregor Schneider ne è il maestro assoluto; Ilya Kabakov il padre fondatore. Per la sua partecipazione veneziana, Sosnowska ha realizzato uno spazio al Palazzo delle Esposizioni, la sede principale ed epicentro dell'intera mostra, trasformando una delle sale di solito dedicate a presentazioni monografiche in una sorta di vecchio interno con tanto di carta da parati e atmosfere a metà tra l'albergo di seconda categoria e un dipinto astratto in 3D. In queste stanze verranno installate le fotografie di David Goldblatt, che da anni esplora gli spazi dell'apartheid in Sud Africa. Le immagini di Goldblatt ci ricordano che nel cuore dell'architettura ufficiale, nei luoghi deputati alla rappresentazione, tra castelli, ambasciate e templi, spesso si muovono energie invisibili e nascoste destinate a trasformare la storia e lo spazio delle nazioni. Massimiliano Gioni, Curatore e critico d'arte
Modello dell’installazione <i>Antechamber</i> di Monika Sosnowska, Venezia 2011. Serve a ospitare le opere di David Goldblatt e Haroon Mirza e assume la forma di una struttura a stella fatta di assi per l’edilizia. Photo © Monika Sosnowska/ courtesy of the artist, Foksal Gallery Foundation, The Modern Institute, Galerie Gisela Capitain, Kurimanzutto, Hauser & Wirth
Modello dell’installazione Antechamber di Monika Sosnowska, Venezia 2011. Serve a ospitare le opere di David Goldblatt e Haroon Mirza e assume la forma di una struttura a stella fatta di assi per l’edilizia. Photo © Monika Sosnowska/ courtesy of the artist, Foksal Gallery Foundation, The Modern Institute, Galerie Gisela Capitain, Kurimanzutto, Hauser & Wirth
Franz West, <i>Schlieren</i>, 
veduta generale dell’installazione alla Biennale di Liverpool, 2010. Resina epossidica laccata, 230h x 680 x 235 cm
Franz West, Schlieren, veduta generale dell’installazione alla Biennale di Liverpool, 2010. Resina epossidica laccata, 230h x 680 x 235 cm

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