Emigrati in Germania, esposti in Biennale #1

Una prima ricognizione degli artisti che risiedono a Berlino presentati in Illuminazioni.

Per esplorare un territorio culturale difficilmente geolocalizzabile dove le storie di ogni artista confluiscono e determinano l'opera in modo più intenso del contesto nel quale essi si sono trovati a vivere per le ragioni più disparate, seguiamo un percorso arbitrario, quello degli artisti presenti in Biennale, che vivono e lavorano a Berlino.

Andro Wekua approda nella capitale tedesca, dopo aver vissuto per lungo tempo in Svizzera come rifugiato. Trentaquattrenne, georgiano, figlio di un poeta dissidente assassinato durante la Guerra civile, Wekua deve abbandonare insieme alla madre la sua città natale Sukhumi, oggi capitale della repubblica di Abcasia e importante porto sul Mar Nero.
Il suo lavoro comprende dipinti, collage, ceramiche, installazioni e video che s'interrogano sugli effetti che possono scaturire dall'intreccio di memoria, storia reale e immaginazione.
In alto: Andro Wekua, Pink Wave Hunter, veduta dell'installazione, Arsenale; qui sopra: ritratto dell'artista. Fotografie: Giovanni Hänninen
In alto: Andro Wekua, Pink Wave Hunter, veduta dell'installazione, Arsenale; qui sopra: ritratto dell'artista. Fotografie: Giovanni Hänninen
In Biennale presenta Pink Wave Hunter, una serie di quindici modelli architettonici di Sukhumi, come egli la ricorda da bambino. Disposti ordinatamente come frammenti di un ricordo perduto che l'artista ricostruisce a partire dai racconti o dalle fotografie di quanti vi sono tornati o attingendo dal web e dalie immagini della sua stessa memoria, i modelli architettonici affiorano, isolati gli uni dagli altri, dalla superficie senza colore sula quale sono esposti: un grande parallelepipedo bianco al centro di una delle sale dell'Arsenale.
La biografia dell'artista raccontata in episodi di una narrazione di cui si è smarrita trama, diventa in tal modo "un varco che dà accesso alla possibilità estetica, alla licenza artistica e persino alla narrazione politica e culturale".
Giovanni Hänninen: ritratto di Dani Gal di fronte a Nacht und Nabel, Arsenale
Giovanni Hänninen: ritratto di Dani Gal di fronte a Nacht und Nabel, Arsenale
Come Wekua, l'artista trentaseienne israeliano Dani Gal vive e lavora nella capitale tedesca. Le sue audio e videoinstallazioni ricostruiscono e riconfigurano fatti storici la cui mise en scène ne ridefinisce sottilmente il senso.
Nelle sue videoinstallazioni egli ricompone suoni e immagini in una narrazione politicizzata che quindi diventa propaganda ed è proprio questa visione di parte l'oggetto che espone con il pretesto di documentare fatti storici dimenticati o poco conosciuti.
L'interpretazione sonora del rumorista che in Seasonal Unrest immaginava i suoni delle immagini catturate da una troupe televisiva che negli anni '70 entrava nella striscia di Gaza svela il modo in cui si monta un documentario politico e interroga la nostra comprensione del linguaggio usato dai media nel conflitto israelo-palestinese. Allo stesso modo, in Nacht und Nebel, presentato in Biennale, l'artista chiede agli attori di immaginare lo stato d'animo dei poliziotti palestinesi che dispersero nel Mediterraneo, di notte ed in segreto, le ceneri di Adolf Eichman, unico criminale nazista giustiziato il 31 maggio 1962 a seguito di una condanna per crimini contro l'umanità.
La ricostruzione dell'episodio basata sull'intervista di un sopravvissuto all'olocausto viene in tal modo sottilmente manipolata dagli attori stessi, che la interpretano, pur in totale assenza di parlato.
Seguiamo un percorso arbitrario, quello degli artisti presenti in Biennale, che vivono e lavorano a Berlino
Mariana Castillo Deball, veduta dell'installazione, Arsenale; fotografia: Giovanni Hänninen
Mariana Castillo Deball, veduta dell'installazione, Arsenale; fotografia: Giovanni Hänninen
Anche Mariana Castillo Deball, messicana trentacinquenne, vive e lavora a Berlino. Per la Biennale ha realizzato una video-animazione e un Leporello lungo 12 metri che ricorda un bestiario medioevale.
Se il lavoro Wekua ripercorre la memoria e quello di Gal la storia, l'opera di Castillo Debal, come quella di un archeologo, rimonta le tracce dei popoli dove l'arte, proprio perché non agisce secondo schemi prestabiliti, ha un alto valore euristico.
Dopo aver collezionato informazioni e materiale con accuratezza scientifica, l'artista, nell'opera esposta all'Arsenale, illustra la cosmogonia dei codici messicani di epoca precolombiana, ricchi di geroglifici e rappresentazioni in cui esseri mitologici non umani e oggetti convivevano. La finzione artistica diventa così funzionale e fondamentale per la ricerca delle verità nascoste.
Shahryar Nashat, veduta dell'installazione, Arsenale. Fotografia: Andrea Basile
Shahryar Nashat, veduta dell'installazione, Arsenale. Fotografia: Andrea Basile
Sono invece le modalità espositive dell'arte e la loro influenza sul processo di mediazione dell'opera ad interessare il lavoro del trentaseienne Shahryar Nashat. Iraniano di origine, ora berlinese, ha vissuto a Ginevra e si è formato Olanda. A Venezia, Nashat presenta il proprio video all'interno di un ambiente in cui ha collocato una serie di sculture. Panche simili a quelle che si trovano nei musei, che vengono utilizzate dal pubblico, che in tal modo viene trasportato al di qua dell'opera, all'interno di essa mentre osserva il filmato.
Nashat realizza la sua installazione quando Bice Curiger decide di allestire una sala del Padiglione con tre opere di Tintoretto, che diventa lo sfondo nel quale un atleta maneggia un parallelepipedo il cui colore verde ricorda quello del Bluebox usato nei programmi di animazione per importare degli oggetti in movimento all'interno di un filmato ma che qui diventa qualcosa che potrebbe portare altrove tutta la luce delle opere del celebre pittore veneziano.
Pierfrancesco Cravel
Giovanni Hänninen: ritratto di Shahryar Nashat, Arsenale
Giovanni Hänninen: ritratto di Shahryar Nashat, Arsenale

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