A Baldessari – Leone d'Oro alla carriera nella scorsa Biennale di Venezia – piace spiazzare, portare le cose agli estremi, cambiare rotta con un gesto eclatante, distruggere per ricominciare. L'atto più forte lo ha compiuto nel 1970, quando diede alle fiamme tutti i dipinti che aveva realizzato tra il 1953 e il 1966, come omaggio a Nietzsche, per dar vita a The Cremation Project, un'urna contente biscotti creati con le ceneri dei dipinti. L'installazione di Milano è altrettanto spiazzante, anche se di segno opposto a quella di quarant'anni fa: la sintesi creativa estrema della distruzione lascia il posto alla decorazione. "The Giacometti Variations", curata da Germano Celant, ha certamente lasciato stupefatti in molti circa le imprevedibili evoluzioni di un maestro dell'arte concettuale, che inquadra questa sua "operazione Prada" sotto una doppia lente: quella di stampo fisico-architettonico, parlando di relazione con lo spazio e di amore per l'altezza; e quella sociale, evocando la rappresentazione dello Zeitgeist tramite una carrellata di tipi umani costruita grazie alla contaminazione tra arte e moda.
"Ho sempre voluto fare quadri e sculture alti", dichiara. "Sospetto che sia perché sono piuttosto alto. Ho avuto poche opportunità perché la maggior parte delle gallerie hanno muri la cui altezza rispecchia quella dei muri nelle case dei collezionisti". L'idea delle mega statue giacomettiane sarebbe stata quindi frutto di questo anelito all'altezza, oltre che di una visita all'Haus der Kunst di Monaco di Baviera (presso la quale ha realizzato una mostra anni fa), che gli ha fatto pensare a lavori alti che potessero catturare lo spazio per intero. Portare alle estreme conseguenze un'idea estrema già esistente come le sculture in piedi dello scultore svizzero, vestendole e mettendole in un luogo figlio della moda come la Fondazione Prada, è stato per Baldessari il coronamento di "un metodo di lavoro". Del resto, perché stupirsi? Arte e moda camminano insieme già da tempo (vedi "Arte di moda" di Fréderic Bonnet, Domus 924, aprile 2009), e non sono pochi gli artisti che hanno messo in atto fruttuose collaborazioni con case di moda (maison) sfociate in opere o installazioni (si pensi a Richard Prince, Daniel Buren, Takashi Murakami).
Che sia un bene o un male, questa tendenza a mescolare i due generi, non è così importante stabilirlo. Quello che è chiaro è che si tratta di una modalità che sta prendendo sempre più forza, considerato che anche un radicale come Baldessari non si è sottratto al gioco. Anche se, va detto, la partita l'ha giocata a modo suo. Per la scelta dei look per le sue 'modelle' si è ispirato ad archetipi frutto di una contaminazione tutta personale tra cinema, moda e fantasia che hanno prodotto dei tipi umani, specchio della società così come la vede l'artista. C'è la rivisitazione ironica del glamour anni Cinquanta con l'abito stile Marylin dal grande fiocco rosa – inchiodato però letteralmente a terra –, seguita da una Giovanna d'Arco al rogo che porta orgogliosa sulla testa una pigna di libri, una serissima "donna cartesiana" che 'indossa' un hula hoop, una moderna viaggiatrice con trench alla Humphrey Bogart e valigie (Prada?), una donna King Kong assediata da mini aerei, una donna clown, una che indossa le scarpette rosse di Dorothy del Mago di Oz, una Raperonzolo con appoggiata una scala azzurra, una donna torero… Le citazioni sulle 'variazioni' giacomettiane, per dirla alla Baldessari, sono immediatamente riconoscibili. Sono peraltro un media ben saldo nel Dna dell'artista, che le usa per trasmettere la sua visione del mondo e degli uomini. Si tratta di parodia? "Non ne sono certo", replica.
"Detesto categorie e definizioni – sicuramente sto citando. Non è questo che fanno gli artisti? L'arte non nasce dall'arte? Quello che sto facendo è approfondire un'idea, che è il requisito di ogni buona arte". Ecco così liquidata elegantemente, alla vecchia maniera radical, qualsiasi possibile critica.
