A Frieze cerchi Frieze, oh pellegrino

Dentro, sotto e fuori alla kermesse artistica, affiancata da un denso programma di eventi collaterali e di mostre che contribuisce a rendere la Frieze Art Fair una buona occasione per andare a Londra.

Una celebre poesia di Francisco de Quevedo spiega cosa significa andare in un posto in cerca di qualcosa, e trovarlo, ma fuori da lì. "A Roma cerchi Roma, oh pellegrino", scrive Quevedo, "e proprio a Roma, Roma non ritrovi". A Londra, dal 14 al 17 ottobre, si è svolta la Frieze Art Fair, ma, come forse capita spesso in questi casi, gli eventi collaterali, i programmi culturali e le mostre allestite specificamente in occasione della fiera si sono rivelate più attraenti, o forse più leggibili, della ricchissima baraonda di Regent's Park.

Vagando fra gli stand ci si imbatteva in qualche perla (una su tutte, una nuova serie di Pietro Roccasalva, presentata dalla galleria Zero di Milano: una sequenza di moleskine rossi, apparentemente identici, ma riportanti ognuno, nascosta fra le pagine, una variazione diversa e inquietante dell'enigmatico cameriere, ricorrente nell'opera dell'artista), ma il fulcro della fiera, a detta di molti, era sotto. Il pavimento della fiera, infatti, ospitava (o nascondeva?) un'installazione concepita da Simon Fujiwara in occasione del premio Cartier 2010.

Gli incroci dei corridoi e intere sezioni di pavimento erano sostituiti da pannelli di vetro; sotto di essi, Fujiwara aveva allestito i resti di una civiltà antichissima, simulandone un recente ritrovamento nel Regent's Park e il loro conseguente restauro e commento. Giocando con il linguaggio visivo - e l'autorità didattica - dell'archeologia, l'installazione di Fujiwara componeva uno strano richiamo al pubblico di collezionisti che batteva la fiera in cerca d'acquisti: a metà strada fra un memento mori e una riflessione sull'impulso a possedere oggetti, sugli strani percorsi che conducono alla loro permanenza nel tempo e, di converso, alla loro scomparsa.

E non sotto la fiera, ma fuori di essa, si svolgevano due altri punti d'interesse della fiera stessa: Frieze Film, un programma cinematografico curato da Sarah McCrory in collaborazione con LUX (quattro film commissionati dalla fiera e proiettati in un cinema temporaneo costruito all'interno del parco, fra cui uno splendido videocollage di Stephen Sutcliffe), e il Frieze Sculpture Park, un parco di sculture che, nonostante i nomi di richiamo e alcuni progetti chiaramente riusciti (su tutti Ei Arakawa, in performance con Karl Holmqvist, e Tomas Saraceno), non riusciva a salvarsi fino in fondo da un'aria un po' raffazzonata che però, forse, è quella propria dei parchi di sculture.

In contrapposizione alla ricchezza roboante della fiera si svolgeva, in un padiglione universitario poco distante, la seconda edizione della fiera parallela "Sunday" (della prima, concomitante al Gallery Weekend di Berlino, si era già parlato su domusweb.it). L'impressione dei visitatori, all'ingresso, era quasi unanimemente di sollievo: fuggiti dal caos di Frieze, ci si ritrovava in un ambiente più rilassante, a tratti prossimo alla mostra collettiva, vuoi per l'estetica spesso consonante degli artisti e delle gallerie, vuoi per un allestimento teso, appunto, a sottolineare proprio questa consonanza (comprensivo del Ryan's Bar, un bar ideato da Ryan Gander in cui, ogni giorno, due artisti si davano il cambio a servire cocktail di propria invenzione).

Fuori dalla fiera si trovavano anche, naturalmente, le istituzioni di arte contemporanea di Londra, ognuna delle quali ha aperto una nuova mostra per sfruttare l'afflusso di pubblico internazionale. Prima su tutte la Hayward Gallery, con una ricchissima panoramica dedicata alla presenza della danza nell'arte contemporanea; ma anche la Serpentine, con una retrospettiva di Klara Lidén, e la Curve Gallery del Barbican Centre, con un progetto speciale nato da un mese di residenza di Damián Ortega. Anche la Tate Modern ha inaugurato, poco prima di Frieze, un progetto speciale di Ai Weiwei. La sala, purtroppo, non era accessibile, perché in corso di mostra si è scoperto che i cento milioni di semi di girasole in porcellana che occupavano il pavimento della Turbine Hall sollevavano, quando smossi, polveri tossiche. L'installazione, curiosamente, era finanziata da Unilever, e non da un altro grande sponsor della Tate, che è BP.
Vincenzo Latronico
La Frieze Art Fair 2010 a Regents Park, Londra. Foto Linda Nylind per Frieze
La Frieze Art Fair 2010 a Regents Park, Londra. Foto Linda Nylind per Frieze
Pietro Roccasalva, <i>The Fourteen Stations (You Never Look at Me from the Place I See You)</i>, 2010 (Galleria Zero, Milano).
Pietro Roccasalva, The Fourteen Stations (You Never Look at Me from the Place I See You), 2010 (Galleria Zero, Milano).
Simon Fujiwara, <i>Frozen</i>. Foto Linda Nylind per Frieze.
Simon Fujiwara, Frozen. Foto Linda Nylind per Frieze.
Tomas Saraceno, <i> Untitled (Airport City Modules)</i>, 2010. Per gentile concessione di designer_dan.
Tomas Saraceno, Untitled (Airport City Modules), 2010. Per gentile concessione di designer_dan.
Il bar di Ryan Gander a "Sunday", foto Joseph Popper.
Il bar di Ryan Gander a "Sunday", foto Joseph Popper.
Veduta di "Sunday", foto Andy Keate.
Veduta di "Sunday", foto Andy Keate.
Un visitatore di "Sunday" beve un cocktail di Fiona Banner, foto Joseph Popper.
Un visitatore di "Sunday" beve un cocktail di Fiona Banner, foto Joseph Popper.
Ai Weiwei, <i>
Sunflower Seeds</i>, 2010, alla Tate Modern  (© Ai Weiwei. Foto Tate Photography).
Ai Weiwei, Sunflower Seeds, 2010, alla Tate Modern (© Ai Weiwei. Foto Tate Photography).
Klara Lidén, scorcio dell'installazione alla Serpentine Gallery, Londra (7 ottobre – 7 novembre 2010). Foto Gautier de Blonde.
Klara Lidén, scorcio dell'installazione alla Serpentine Gallery, Londra (7 ottobre – 7 novembre 2010). Foto Gautier de Blonde.

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