Cerchiamo sempre di avere il polso di quel che accade. Temiamo che gli altri siano più veloci a vedere collegamenti strabilianti nella materia grezza, a tracciar linee fra punti di cui ignoravamo persino l'esistenza. E quest'ansia è esacerbata dal fatto che, nonostante la sua promessa di consolidare i saperi, nonostante il valore dell'informazione, Internet produce riti della misconoscenza. Certo, si potrebbe dire che questo sia un bene: fa sentire il bisogno di un rituale per re-mistificare la frenesia delle mutazioni tecnologiche, di un modo personale e allegorico di rappresentare un'intensità la cui continua crescita ci pare forsennata e distorcente, una compressione delle magnitudini e dei raggi d'azione che sembra espandersi telescopicamente a ritmi esponenziali.
Per domare questa frenesia ci viene offerta la placida linearità delle liste. Benché la persistenza delle liste in quanto vincolo alla nube di dati proposta dal web potrebbe essere dovuta unicamente alla persistenza di piccoli monitor rettangolari, la lista è indubbiamente uno dei principi organizzativi al cuore di Internet. I motori di ricerca producono liste; le notizie vengono aggregate e incanalate una via l'altra in base a classifiche di ciò che è più 'taggato' o più spedito per e-mail; i blog infiocchettano con gli ultimi post la vetta di una pila traballante di contenuti; le pagine web, in genere, si estendono verso il basso con la scorrevolezza di una lista implicita.
2. Accaparramenti
Negli ultimi anni, alcuni hanno adottato la forma della lista privandola di ogni fondamento, per produrre semplici sequenze di immagini affastellate insieme con spiegazioni brevissime o assenti: ogni immagine radicalmente diversa da quelle che la seguono o precedono, ognuna con qualcosa di confuso, di divertente, di inquietante. Tali pagine sono spesso pagine 'personali' di artisti o gruppi di artisti. In queste vere e proprie Wunderkammer digitali il testo è relegato a didascalie striminzite, quando non abolito del tutto.
Potremmo chiamare una pagina del genere un accaparramento. In inglese, il termine (hoarding, NdT) descrive una pila di possedimenti accumulati dal proprietario, ma potrebbe anche riferirsi a un cartellone, o alla recinzione temporanea di un cantiere. L'aspetto degli accaparramenti ricorda un certo tipo di libro d'artista che ha conosciuto un notevole successo negli ultimi quindici anni circa, composto da pagine su pagine di immagini eterogenee, un miscuglio di fotocopie, foto amatoriali, jpeg prese su Internet, incursioni della cultura Pop così come della storia dell'arte, in scala ridotta o a pagina intera, e il tutto senza spiegazione alcuna. La somiglianza non è casuale, perché "gli ultimi quindici anni circa" definiscono l'era di Internet così come la conosciamo, l'era dei mosaici ubiqui e variopinti che hanno comprensibilmente esercitato un influsso fortissimo su ogni forma di editoria.
Cosa dire dell'esperienza di chi scorre un accaparramento, cercando di comprenderne la processione di immagini? Come nel caso delle riviste di moda, proverà una eguale misura di eccitazione e confusione, ognuna catalizzata dall'altra. A parte ciò, si ha spesso l'impressione che ogni informazione, ogni conoscenza in quelle pagine si scorga solo attraverso un velo di incertezza. Le immagini potrebbero essere state trafugate da una comunità militare, o provenire da una fonte giornalistica; potrebbero essere immagini mediche o pornografia; grafici o illusioni ottiche; divertenti, perturbanti, noiose; ripulite, distorte, saturate, moltiplicate, frante; fantasmi o vampiri? A ogni modo, l'effetto complessivo che se ne trae è: "Ma che cazzo sto guardando?" Qualcosa che aleggia nella coda dell'occhio.
Ci si potrebbe chiedere in quale misura ciò si discosti dall'ambivalenza un po' stucchevole della celebrazione dell'immagine che ha caratterizzato l'ultimo mezzo secolo di cultura Pop, o forse gli ultimi centocinquant'anni di mass media. La risposta potrebbe essere nella mutezza del suo offrirsi, nella mancanza di contesto e giustificazione. Ma l'osservazione che i media moderni fanno divorziare i fenomeni dal contesto è ormai un luogo comune, e in genere un invito a riflettere sulla natura via via più frammentaria dell'esperienza. Un accaparramento è diverso perché, pur essendo la rappresentazione pubblica di un'identità elettiva e 'performata', si manifesta attraverso quello che sembra un vuoto, o perlomeno attraverso la frenesia, genericamente vuota, dei media.
Questa potrebbe essere una risposta alle richieste stupide quanto imbarazzanti dell'interattività, che impone una razionalità infantilizzante su ogni forma di "web art" – quando non su ogni forma di web in genere – subordinando ogni cosa alla logica della connessione, esaltando la scorrevolezza del funzionamento, la lubrificazione del transito. Il ricorso a un'imperscrutabilità quasi mistica potrebbe essere visto come un rifiuto dell'opposizione banale fra informazione e rumore di fondo: potrebbe essere una forma di rito della misconoscenza.
Potrebbe anche essere la confutazione dell'etica della trasparenza generosa e compiaciuta che ha caratterizzato il "web 2.0": le opinioni offerte a perdere, l'understatement col sorriso, le concessioni al populismo nel nome di un desiderio di costruire accordi ragionevoli ed esperienze condivise fra sconosciuti. È bene diffidare di tale etica, per quanto in buona fede, dal momento che è inevitabilmente accompagnata dalla repressione immediata delle infrazioni ai suoi codici normativi. Non sto sostenendo che si tratti di un modo poco scaltro di costruire un consenso, ma semplicemente che si tratta solo di politica, nella misura in cui al cuore della politica si trova la prerogativa di separare gli amici dai nemici. Da questa prospettiva, il faticoso equilibrio di un'ordinatissima discussione on-line è indistinguibile dal suo flagello, la flame war: entrambe – l'una in modo ragionevole, l'altra con la violenza – mirano a una risoluzione, e in certo modo alla conferma di un precetto già accettato. Forse che proprio un accaparramento – un cartellone pubblico che rinunci a offrire una posizione coerente, una staccionata temporanea che tenga alla larga il discorso ragionato – potrebbe sottrarsi all'obbligo di chiamare in causa la ragione, i costumi, le soluzioni, formulando una sorta di critica utopica negativa? No, probabilmente no. Ma la perversione insita in una tale disposizione di immagini parla da sola, e ciò di cui parla è: manipolazione.
Quasi tutte le strutture grafiche hanno vita breve, specialmente su Internet, e con ogni probabilità questi riti della misconoscenza si dimostreranno niente più che sospiri nel vento. Cosa dire, invece, delle immagini che racchiudono, che di per sé potrebbero indicare tendenze più durevoli? Se si esclude la loro modalità di presentazione, spesso condividono un aspetto perturbante, una stranezza che sembra nata da un passaggio attraverso lo specchio, e che scaturisce dal gusto per la composizione digitale, a sua volta sineddoche della manipolazione. Una certa immagine potrebbe essere stata generata da un elaboratore grafico, o essere un'istantanea trovata in giro o una foto di cronaca modificata al computer. A ogni modo, ciò che ognuna di esse propone è una visione cibernetica, e, soprattutto, riflessiva: osservando a ritroso il profilarsi di una storia di manipolazioni, queste immagini ispezionano la superficie scivolosa del loro stesso corpo, come serpenti che tracciano freddamente i contorni dell'ultimo pasto. E queste immagini pasteggiano a base di cronaca, sport, meteo, di istituzioni mediche e militari, di grafici e diagrammi, di barzellette e giochi, di sesso. Si interessano all'astrazione e alla distorsione dell'espressione umana, della forma umana. L'apoteosi di questa tendenza sarebbe la produzione informatica del corpo, e, spingendosi più in là, della pornografia.
Ma allora la novità di queste immagini sarebbe una forma di perversione informatica? Difficile, anche se potremmo dire che Internet aiuta ad aggirare gli standard etici tradizionali: se la tua comunità accenna a rifiutarti puoi trovartene un'altra senza problemi, o fondarne una da zero. Nel regno dei numeri è facile costruire nuove isole al margine estremo degli insediamenti. In un regno del genere, potrebbe rivelarsi impossibile essere volgari, oltrepassare il limite, meritarsi un ignorante che fa no-no col ditino: "È una china saponosa".
3. Figure adolescenti
Alcune parole – parole corporee come 'merda', 'culo', 'cazzo', 'figa' – vengono usate liberamente tanto dagli adulti quanto dai bambini, ma sempre gli uni di nascosto dagli altri. I bambini sanno che gli adulti le dicono, e viceversa, ma ognuno si finge innocente in presenza dell'altro. Da qualche parte nel mezzo, però, la sovrapposizione dei diagrammi delinea un segmento di popolazione che può dire 'cazzo' con piena padronanza del termine, che parla col brio, con l'esuberanza, con lo spirito, con lo slancio, col 'chissenefrega' di un adolescente.
Un'immagine pornografica generata al computer è una figura adolescente. È al contempo minacciosa e assurda, carica e vuota, futuristica e passé, e questa indeterminatezza riesce a perturbare quasi tutti, un po' come un adolescente incontrato per strada metterà a disagio tanto i passanti più vecchi quanto quelli più giovani. Le figure adolescenti (la definizione è meno impacciata di 'accaparramento', e quasi sospettosamente efficace) non richiamano solo l'accordo, la condivisione, ma anche l'antagonismo e le contraddizioni sepolte nell'esperienza comune. Sono stupide e astute. Lanciano occhiate di sbieco da una parte e dall'altra. Vedono tanto il passato quanto il futuro. Sono il volto di Giano.
Parlando di pornografia, a cosa è dovuta la predilezione per i genitali rasati? Certo, un pene sembra più lungo quando la base del tronco viene liberata dall'ombra del suo nido di peluria, ma questo certo non spiega le fighe liscissime, i culi glabri. Forse questa depilazione deriva da una nozione di pulizia, o persino di appropriatezza, un'avversione al pelo che vede in esso un correlato della sporcizia e del disordine. Sarebbe comprensibile, nella misura in cui il disordine è un irritante meccanico: la rimozione del pelo aumenta la scorrevolezza del funzionamento, aiuta le parti A e B a fondersi con la minima resistenza, avvicina il traguardo. Sembra una risposta promettente, forse perché tutta la pornografia che non sia su carta stampata avviene in playback, prestandosi quindi a essere vista come processo nel tempo inscritto nel capitale, nella tecnologia, eccetera eccetera; nella logica di Internet, è l'ennesimo link di successo. Se solo potessimo fare tutto su Internet!
D'altro canto, un culo liscio è un culo giovane. Forse la pornografia elimina il pelo per suggerire, con questa minima devianza, un corpo di bambino. D'altronde – benché la devianza sia in genere ricondotta, di riflesso e senza troppi distinguo, alla differenza sessuale, e benché la nostra collocazione geografica e temporale ponga il rapporto sessuale con un bambino fra i comportamenti "più diversi", e pertanto più proscritti – in questo caso i genitali glabri potrebbero richiamare non tanto un bocconcino indifeso, quanto un'immagine dimenticata del proprio corpo impubere. Tutt'altra forma di devianza! Identificarsi con quell'immagine significa affrontare un fantasma tanto più perturbante quanto più ostinatamente difficile sarà richiamarlo alla mente. Provate a ricordare uno sguardo distrattamente rivolto verso il basso, che percorre oziosamente il vostro corpo più giovane, il vostro vero corpo, al di là di ogni specchio o fotografia: un corpo scivoloso spiato da un comando centrale in cui la testa non c'è, al centro i genitali liscissimi. Evocare quest'immagine, oltre che difficile, ci costringe a immaginare un bambino nudo; è fonte di angoscia, fino a quando l'io non alza la voce: "Nulla di cui preoccuparsi, questi siamo noi! Questa immagine ci spetta di diritto" . Questo disagio, questa oscillazione, la segnalano come una figura adolescente.
I computer hanno il problema opposto: hanno parecchi problemi a rappresentare peli, rughe, polvere, pieghe di pelle – insomma, la vecchiaia. Vigorosa e robusta al punto da essere irritante, la grafica informatica è perfetta per rappresentare i bambini, o, come accade sempre più spesso nei film d'animazione, adulti che sembrano bambini. Qualunque cosa segnalino i genitali rasati – che si tratti di un desiderio per l'infanzia o semplicemente di un rapporto problematico con la vecchiaia – pare sensato che la grafica informatica si presti perfettamente alla pornografia.
Insomma, potremmo dire che c'è un che di speciale, nel rendering di una scena di sesso fra due adulti-bambini perfettamente lisci? (Bambino con adulto? Bambino con bambino?) Potremmo dirlo, sì, anche se con esitazione, e forse sotto voce. Ma di certo ha qualcosa a che fare con ciò che rende certe immagini incredibilmente popolari, anche se questo potrebbe esaurirsi nell'osservazione che siamo molto interessati alla rappresentazione del sesso e della gioventù, che in un'immagine del genere combaciano alla perfezione. Forse conviene lasciare che altri si occupino della questione, limitandoci a notare, in chiusura, che per quanto la violenza e la dominazione siano indubbiamente riprovevoli, non c'è nulla di intrinsecamente sbagliato in chi trova i bambini sessualmente eccitanti.
4. Frenesia
A volte si ritiene che l'arte sia una specie di sismografo che registra gli effetti dei cambiamenti culturali. Da questo punto di vista, gli oggetti e i gesti dell'arte contengono in ultima analisi riflessioni posate, saggezza: dalla frenesia, un distillato. Ma il concetto di "riti della misconoscenza", usato prima in riferimento a Internet, potrebbe anche descrivere una risposta alla banale condizione di chi cerca di capire cosa sta accadendo. È una condizione piuttosto diffusa nel discorso artistico, che cerca di spiegare i modi in cui l'arte spiega, di mostrare i modi in cui l'arte mostra, di suggerire ciò che l'arte prova a suggerire.
C'è un paradosso nel tentativo di comprendere una pratica artistica che non ci è familiare, che al giorno d'oggi, in genere, prende forma attraverso immagini bidimensionali o a schermo. All'inizio ti trovi a lottare con una nebulosa immagine mentale, hai il sospetto che alle sue spalle fluttui qualcosa di cui non ti viene il nome; e tuttavia questo senso di energie sospese e di significati incombenti si rattrappisce alla prima ispezione delle opere vere e proprie, che il più delle volte si rivelano essere nulla più che semplici oggetti o gesti, come ogni opera d'arte. Il lavoro potrebbe essere potentissimo, ma ciononostante ti viene da dire: "Ma è soltanto…" Soltanto un oggetto, soltanto un gesto. Sarebbe un errore, però, vedere in questa delusione qualcosa di negativo. Di certo si è aperta una falla nella tua esperienza dell'opera, ma l'arte dipende proprio da questa barriera fra la fragile interiorità della speculazione e l'attività, più pubblica e fisica, dell'osservazione, che in quanto tale partecipa della spazialità. La prima impressione, per rara e preziosa che sia, è solo arricchita da questo tradimento.
La frenesia potrebbe essere omeopatica, la sua presenza ansiogena uno sprone che, invece di incoraggiare l'articolazione del significato, porta le catene di associazioni preesistenti a ripiegarsi su se stesse in modi strani e inattesi, allineando idee incompatibili e costringendole a un'imbarazzata prossimità. Per esempio, un corpo umano sottoposto alla frenesia del fotoritocco è un'alienazione aggressiva e disturbante, ma c'è qualcosa di affascinante nella minaccia che implica; al pari di una fotografia compressa in gif, un ritratto cubista ricorda l'antico rituale del mascheramento, dell'incappucciamento, il piacere ambiguo dell'alterazione di sé. Anche la moda batte questi sentieri.
"Cercavamo di arrivare da qualche parte – eravamo io e te, credo, forse con pochi altri – il posto ricordava un po' casa mia… Be', insomma, era casa mia, ma non sembrava casa mia, in un certo senso. E cercavamo di non farci vedere".
Perché queste frasi sconnesse rappresentano così bene il racconto di un sogno?
(traduzione di Vincenzo Latronico)