Il libro d’artista, un oggetto del futuro

In che misura nel contesto dell’arte attuale è di nuovo possibile avvicinare i musei con progetti specifici, indirizzando autonomamente il corso del lavoro, e sino a che punto in certi casi proporre al posto di un catalogo la realizzazione di un libro d’artista risulta una scelta in controtendenza con le abitudini stabilite?

di Federico Nicolao

In che misura nel contesto dell’arte attuale è di nuovo possibile avvicinare i musei con progetti specifici, indirizzando autonomamente il corso del lavoro, e sino a che punto in certi casi proporre al posto di un catalogo la realizzazione di un libro d’artista risulta una scelta in controtendenza con le abitudini stabilite? In alcune circostanze è proprio rompendo con la logica dei tempi stretti che le istituzioni concedono per una pubblicazione che capita di raggiungere le più grandi soddisfazioni.

È assai stimolante dopo aver lavorato in solitudine condivisa, per diversi anni, con singoli artisti a dei progetti di libri farsi avanti per mostrarne le opere e seguirne l’esposizione. È un modo piuttosto anomalo di fare il curatore, ma è sicuramente quello che riserva a mio avviso le migliori sorprese. È molto piacevole per tutte le ore che si ha la fortuna di trascorrere insieme agli autori, affrontando temi che l’artistasogna di fronteggiare ma che solo il libro concede, con tempi che poco hanno a che vedere in proporzione con quelli che richiedono nei musei e nelle principali istituzioni le semplici scelte espositive. Si è appena conclusa nella suggestiva cornice di Villa Medici a Roma la mostra di Raphaël Thierry “Visioni in polvere” (Visions in dust), da me curata. Proponeva al visitatore un’esplorazione insolita dell’universo del carboncino, attraverso l’esposizione di disegni tratti da due libri d’artista: uno già pubblicato, La medesima ombra, (Io éditions, www.medesima.com), l’altro in via di pubblicazione Etudes, volume I.

Si apre ora dello stesso autore a pochi passi da Parigi, alla fondazione Royaumont Goüin-Lang, “Fra i tuoi colori le ombre”, nuova esposizione in cui vengono mostrati a partire dal 2 settembre, i lavori preparatori tratti da un omonimo volume al quale abbiamo lavorato insieme: raccoglie nuove immagini di Raphaël Thierry e alcuni frammenti poetici del sottoscritto. Libri pensati per durare nell’immaginario di chi li osserva, volumi che prevedono un minuzioso lavoro di preparazione, ed esposizioni concepite in consonanza con il processo creativo che misteriosamente li precede: mi piacerebbe che fosse questo il segno forte dei progetti pensati in questi due anni trascorsi all’Accademia di Francia a Roma con la curiosa missione di rilanciare l’idea del libro d’artista, facendo di un libro lo spazio di incontro tra arti e scrittura, accogliendo in esso tanto una continuità con la tradizione, quanto una definitiva rottura con il concetto d’illustrazione, con Thierry o con altri compagni d’avventura (Laur Erber e Koo Jeong-a per esempio) prendere in conto invece gli incredibili progressi che la tecnica oggi permette in questo campo mi pare sia diventato un obbligo per chi si avvicini con umiltà al contesto del contemporaneo.

L’autore italiano, oramai adottato dalla Francia dove prima di approdare a Villa Medici aveva già ricoperto il ruolo di direttore di programma al Museo d’arte Moderna della Città di Parigi, e al Museo Picasso di Antibes, non si ferma e con diversi nuovi progetti rilancia infatti l’idea che il libro d’artista, un concetto che in certa parte sembrava superato o pareva esaurirsi nel tempo anche per i suoi costi proibitivi, possa diventare nell’epoca che si apre qualche cosa d’altro rispetto a ciò che è esempre stato, qualcosa di profondamente diverso da un vezzo legato a un contesto culturale, ma un territorio da esplorare, capace di racchiudere nuovamente qualcosa di essenziale, e di profondamente attuale per le strategie di creazione degli artisti contemporanei. Poiché quest’esperienza è piuttosto insolita nel panorama dell’arte contemporanea e Federico Nicolao sembra invece volerla percorrere con diversi autori – con il musicista Combier prepara per esempio il volume Pages nel quale spinge il musicista a farsi traduttore, con la giovane cineasta brasiliana Laura Erner mette a punto I limoni, un libro multimediale che mescola scrittura, spezzoni di video e fotografia, e con la geniale installatrice coreana Koo Jeong-a A noïte intera – abbiamo chiesto allo scrittore di raccontarci qualcosa di questi grandi cantieri di lavoro e di questa curiosa rivendicazione del libro d’artista come nuovo spazio possibile della creazione contemporanea partendo proprio dai progetti a sua cura; sia da quelli già realizzati insieme al giovane artista francese Raphaël Thierry, sia da quelli in preparazione con i suoi nuovi alleati.

Esiste un’enigmatica liberazione dal tempo – l’espressione è di Malraux che la utilizza a proposito del suo museo immaginario – per chi cerca oggi di lavorare con degli artisti prima ancora che nello spazio del museo o della mostra in quello più accogliente, più semplice del libro. Purché si riesca a lavorare con quei rari artisti che ne sanno seguire tutte le fasi di creazione, dallo schizzo a mano che ne immagina la forma, alla fase di stampa in tipografia, il libro rende oggi possibile infatti un approccio con l’opera che riscopre quell’intimità che non esiste più nella produzione selvaggia e veloce del museo. Intendiamoci subito: non si tratta qui di porre steccati, e sono il primo in altre occasioni a vantare i meriti scientifici e documentari del catalogo, o a incitare gli autori a farsi decriptare da penne insolite e inattese, ma esiste, mi sono reso conto, nel libro d’artista una possibilità inesplorata, che rilancia proprio quell’autonomia e quel piacere del lavoro che alcuni artisti hanno perso nella dimensione commerciale del museo.

È la tecnologia oggi a garantire a quell’artista che impari a seguire dall’inizio ogni tappa del proprio processo creativo un impatto diverso da quello che poteva esistere in passato. Affidandosi solo a sé stesso o delegando alcune fasi in prima persona ai migliori grafici e agli editori, ma sapendone indirizzare con autorità il lavoro, l’artista ha oggi una resa, nell’epoca della riproduzione preconizzata da Benjamin, che assolutamente non era immaginabile prima. Diventa quindi possibile realizzare libri d’artista di grande qualità e accessibilità e questo cambia radicalmente le regole poiché permette all’autore che abbia tempo da destinare a questo gioco un controllo migliore della riproduzione.

Un controllo tale da rendere concreto anche in poche pagine (o in migliaia) l’universo di un artista. Non si pone più la distinzione tra lussuosi cataloghi che costituivano il punto d’arrivo per la qualità delle riproduzioni della carriera di un’artista e volumi d’arte destinati a pochi eletti per i loro costi proibitivi e la difficoltà puramente realizzativa che li precedeva, si apre invece il campo a una produzione su larga scala di volumi d’artista. Mi sono reso conto di quest’aspetto osservando innanzitutto i libri di quello che è stato il grande maestro del libro d’artista così concepito e cioè Bruno Munari, e in seguito, più di recente, gustandomi da lettore due volumi di una giovanissima artista coreana che ammiro particolarmente: Koo Jeong-A: The land of Ouss [the smallhours of love], realizzato per la galleria Douglas Hyde di Dublino e R [Do soul’s wander?]realizzato per il Publisher Swiss Re Centre for Global Dialogue. Di questi il primo è un misterioso e piccolissimo volume dalla copertina telata gialla di poche pagine, il secondo un immenso tomo di disegni, simile a un dizionario, pubblicato con grande sacrificio.

In tutti questi casi di libri d’artista, per quanto siano diversi, emerge con tutta la delicatezza e la profondità necessaria l’universo dell’artista. Forse è anche per gelosia davanti a riuscite così esemplari che si cerca di diventare molto prima che curatori co-autori di un libro d’artista capace di ripercorrere proprio oggi queste vie. C’è ancora tra l’altro il gusto pionieristico di avventurarsi in sentieri non sufficientemente battuti. Ho chiesto a Raphaël Thierry, con il quale lavoro da nove anni a un progetto che non si è ancora concluso sul motivo della donna paesaggio “Du bleu de ceruleum”, ma con il quale ho anche in cantiere anche altri volumi sui quali lavoriamo da molto meno tempo – i due per i quali avete deciso di interpellarmi, per esempio – cosa lo attragga nel libro d’artista. Quest’autore è tra l’altro piuttosto indicato per il tema, poiché in Francia ha raggiunto un certo riconoscimento prima ancora che come pittore come illustratore per bambini, con dei volumi diversissimi da quelli che destina alla sua pittura, ma di largo successo (Les aventures de Superchien, Magnard éditions).

“Quello del libro è un supporto da interpretare e scoprire in avvenire per tutti i giovani artisti, e anche per il mondo dell’edizione che ancora lo trascura troppo. È un oggetto in sé di ricerca inesauribile per un artista. È uno spazio ideale nella contemporaneità per pensare l’arte; permette a una mostra di uscire dal suo spazio fisico. Le ramificazioni che un libro permette sono infinite, il libro mette in valore un ritmo creativo che la semplice mostra non può rendere accessibile oggi che a un limitato numero di persone. Si consideri che il libro resiste, anche informaticamente, nel tempo. Ciò fa del libro d’artista un oggetto del futuro che dialoga però con tanti spunti preziosi del passato. Dall’idea di una mostra portatile, all’idea di una documentazione che prima era affidabile solo al catalogo, c’è nel libro qualcosa di nuovo e di costantemente in progresso. E l’arte oggi trova in quel supporto una libertà che altrove non ha. Ciò anche a monte della pubblicazione, grazie alla circolazione resa possibile dai formati Pdf, dai siti internet e così via”. Proprio l’idea che il carattere, il ritmo, la genesi di un progetto trovino nel libro d’artista contemporaneo una superficie ideale lascia sperare che in brevissimo tempo si possa ssistere a un incremento di libertà concessa ad artisti e curatori nell’approfondire questo campo.

La via è tracciata. Da Parigi a Londra, da New York a Shangai, prima per ragioni di economia, poi, fortunatamente di pensiero, ci si è resi conto di quanto più lontano rispetto al passato si potesse andare sviluppando questa vena della ricerca di un autore. “Vi è poi, nel controcanto, o se si preferisce nell’arte del contrappunto alla quale ti costringe un autore che lavori insieme a te la possibilità di sottrarre per sempre l’immagine alla funzione d’illustrare un testo e viceversa. Occorre ovviamente per generare un tale dialogo che ci sia completa fiducia nell’altro e una complicità che non sia creata ad arte da qualche solone per una qualche mostra puntuale. Ma si raggiungono risultati bellissimi perché vedendo irrompere un’altra voce si osserva anche la propria diversamente”.

Non è un caso, forse, che chiunque si rivolga al libro d’artista come supporto abbia in mente tra i volumi che hanno dettato la linea jazz di Matisse, dove in nome di quest’arte musicale si mescolavano (purtroppo ai tempi a costi proibitivi) immagini e parole. Vi è nel sovrapporsi delle immagini e delle parole in un libro d’artista qualcosa di analogo a quanto accade proprio in questa musica. Ogni presa di parola non cancella quella altrui, anzi l’amplifica o ne rende udibile il riflesso. Enrico Rava mi ha rivelato un giorno di non conoscere arte che rassomigli più del jazz a un’idea di democrazia realizzata: ebbene quando il rapporto con il grafico, l’editore potenziale e il lettore è riuscito (e non è affatto sempre così, purtroppo) credo che il libro d’artista di oggi possa avvicinarsi a questa stessa pratica della libertà.

Nessuna discriminazione di sorta poi quanto al formato: il libro è da intendersi proprio in tutte le sue nuove aperture e possibilità; in tutte le sue sfaccettature, anche e in particolar modo in prospettiva di quelle realizzazioni multimediali che ne rendono progressivamente affrontabili i costi in termini di tempo e pazienza che ogni volume richiede. Nulla è peggio del dover lavorare con un artista che presuntuosamente si attribuisca competenze che non lo riguardino (che per esempio si improvvisi grafico se non conosce le regole di quest’arte o poeta se il suo compito è quello di far vivere l’immagine), nulla rassomiglia di più a una tortura del dover subire l’arroganza di collaboratori che antepongano il loro potere o il loro ruolo ai desideri di un artista, e in questo restano passi giganteschi da fare per garantire la riuscita di un buon libro d’artista.

Vi è però qualcosa dell’ordine del realizzare l’antica idea di un museo aperto e privato o del portare chi guarda a condividere emozioni e intuizioni, che solo gli artisti possiedono, che in chi cura produzioni di questo tipo oggi rivive. E potremmo proprio dire che quando all’origine di una mostra e di un libro c’è un dialogo per aprire a dismisura le possibilità delle immagini e delle parole chi poi ne gode i frutti è chi legge e chi osserva.

Laura Erber, protagonista in Europa ai suoi esordi per colpa dell’età che non sembrava darle autorità di lotte dall’esito sinistro con grafici talentuosi ed editori parsimoniosi quanto alle forme da dare ai suoi libri mi ha detto un giorno: “Il libro d’artista non è poi così diverso da un’esposizione, ma ha o deve trovare come punto di forza quello di non essere svelato a un committente immaginario sino a quando l’ultima virgola, l’ultimo punto, l’ultima immagine non sono stati posti in maniera irreversibile lontano da chi nell’arte si occupa poi di promuovere un nome o un pensiero”. Vi è in effetti all’origine quando ci si fa rapire dall’idea di immaginare un libro e un’esposizione che portino in collisione e al tempo stesso a collaborare due voci qualcosa che non può risplendere se non nel tentativo di sfuggire a ogni forma se possiamo dire così pubblicitaria a profitto invece di un sentire pubblico e comune, che emerga dalla possibilità oggi di raggiungere direttamente un interlocutore.

È in fondo quel che ogni artista ha sempre pensato della propria opera, ma chissà perché proprio il libro sembra oggi restituire all’artista questa forma di libertà assoluta. In nome di quest’utopia qualcuno che si interessi filosoficamente e come autore agli artisti non può che pensarsi al servizio di quegli artisti che coltivino il sogno di un libro.

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