Quante volte negli ultimi anni abbiamo visto chiamare in causa Roberto Vecchioni e la sua “Luci a San Siro”. Un lirico quanto rassegnato e impotente lamento, preludio alle voci sempre più insinuanti in merito alla demolizione del Giuseppe Meazza, uno degli stadi da calcio più celebri d’Italia e del mondo.
Dopo mesi di incertezze e il recente via libera del Comune di Milano alla vendita dopo 90 anni dell’impianto ai privati (dunque a FC Internazionale Milano e AC Milan), oggi è arrivata la firma dei club sul rogito – preludio alla tanto chiacchierata demolizione. Dal dossier di 253 pagine presentato dalle due società, il progetto sembra al momento suggerire una quasi totale demolizione dell’impianto e riconversione della parte residua in museo.
La città di Milano è così sempre più vicina, calcisticamente parlando, a un altro clamoroso autogol, come quello dell’abbattimento del Padiglione dell’Agricoltura progettato da Ignazio Gardella nel 1958, avvenuto nel silenzio della città deserta di fine luglio.
Il rischio è che perdendo i suoi stadi, l’Italia perda una parte della propria identità. Omologandosi a quanto avviene all’estero, rinunceremmo a quel provincialismo e a tutta quella spontaneità.
Il rischio, nel caso di San Siro, è quello di non aver voluto leggere per tempo i segnali di allarme. Potremmo trovarci di fronte, calcisticamente parlando, a un altro autogol per Milano, come quello dell’abbattimento del Padiglione dell’Agricoltura progettato da Ignazio Gardella nel 1958, avvenuto nel silenzio della città deserta di fine luglio.
Un destino che sembra accomunare San Siro ad altri storici impianti – l’Old Trafford di Manchester, Stamford Bridge casa del Chelsea, St. James’ Park di Newcastle, il Mestalla di Valencia – i cui club stanno valutando nuovi progetti architettonici. Se il vecchio continente calcistico si porta dietro il peso strutturale e sociale dei vecchi stadi, il mondo nuovo pensa in ottica radicalmente opposta, come nel caso del 974 Stadium in Qatar, fatto di container e già nato per essere smantellato.
View gallery
La questione San Siro apre un dibattito fondamentale, quello della salvaguardia degli impianti sportivi storici. Molti degli stadi italiani sono oggi a fine corsa. Spesso progettati tra gli anni Venti e Trenta del Novecento sulla spinta propagandistica del fascismo, sono stati tutt'al più ristrutturati (e non sempre con gusto) in occasione dei mondiali di Italia 90 – colpo di coda calcistico del grandeur dell’Italia craxiana. A proposito, nei mesi passati era stata vagliata l’idea di rimuovere il terzo anello di San Siro – progettato proprio per il mondiale da Giancarlo Ragazzi (architetto di fiducia di Silvio Berlusconi, autore di Milano 2 e Milano 3, scomparso nel 2017) – e sostituirlo con una galleria commerciale e di ristoranti. Anche all’Artemio Franchi di Firenze, il restauro in corso mira a rimuovere le estensioni di Italia 90 per preservare la struttura del 1931 (e posta sotto vincolo) di Pier Luigi Nervi.
Il calcio sta mutando, e con esso i costi, che impongono strutture sempre più versatili e ammortizzabili con usi extra-sportivi. Stadi che possano dunque fungere da arene per eventi e live musicali, o accompagnati da centri commerciali, hotel e musei tematici come nel caso dell’Allianz Stadium della Juventus (l’unico impianto di proprietà in Serie A). È oggi impossibile aspettarsi dalle società sportive, più che mai vere e proprie corporate, un gesto d’amore nei confronti della propria città e della storia del club, laddove questo non corrisponda a un tornaconto economico. Nel football, gli atti di fedeltà, d’altronde, restano prerogativa dei soli tifosi. Sarebbe ingenuo sperare che un simile slancio arrivi da due club, come Milan e Inter, che di “milanese” conservano giusto la sede legale e i pochi Brambilla e Fumagalli rimasti tra i tifosi.
La sfida è senza dubbio grande. Archiviare uno stadio, non significa solo preservare documenti e memorabilia, seggiolini, tabelloni e cancelli, ma tenere conto – oltre le stesse mura – del valore intrinseco e campanilistico di cui esso si fa portatore. In contesti urbani poveri di superfici edificabili, il progressivo spostamento degli stadi ai margini delle aree metropolitane rischia di allontanare anche il cuore stesso della comunità sportiva. Uno stadio di nuova edificazione richiede anni prima di poter essere considerato veramente casa dai tifosi.
Archiviare uno stadio, non significa solo preservare documenti e memorabilia, seggiolini, tabelloni e cancelli, ma tenere conto – oltre le stesse mura – del valore intrinseco e campanilistico di cui esso si fa portatore.
Se nel resto d’Europa riconversioni e riuso sono tematiche centrali nel discorso architettonico, gli interrogativi sul ruolo che uno stadio può – e deve – rivestire all’interno di una città rimangono molti. Interrogativi che la questione San Siro lascia tutt’ora irrisolti, anche di fronte a una campagna di opposizione alla demolizione eccessivamente timida. È dovuto infatti arrivare il Guardian, dall’Inghilterra, a perorare la causa e infiammare il dibattito, parlando della necessità di tutelare un’architettura “istantaneamente riconoscibile, in un’epoca in cui troppi stadi tendono all’omologazione”
Laddove le riconversioni risultano difficilmente attuabili (in Italia il tema del riuso non è centrale al discorso architettonico tanto quanto nel resto d’Europa), diventa opportuno consolidare lo sviluppo di progetti critici (come fu quello di Vittorio Gregotti per il Marassi di Genova in occasione di Italia 90) e non esclusivamente votati al marketing e, dunque, a quell’omologazione di cui scrive il Guardian.
Il rischio è che perdendo i suoi stadi, l’Italia perda una parte della propria identità. Omologandosi a quanto avviene all’estero – dove la demolizione di templi calcistici come Upton Park (West Ham) e White Hart Lane (Tottenham Hotspur) è stata passivamente accettata come un costo imposto dalla modernità – rinunceremmo a quel provincialismo e a tutta quella spontaneità che, anche in una città rigorosa come Milano, hanno sempre rappresentato scintille di vitalità, passione e di appartenenza.
Abbiamo raccolto una serie di stadi scomparsi, abbandonati o le cui ristrutturazioni ne hanno fatto perdere i progetti originali.
