I più celebri stadi che non ci sono più

Gli impianti che hanno segnato la storia del calcio, anche sul piano architettonico, sono oggi dismessi o demoliti. La recente polemica attorno a San Siro innesca un dibattito sugli stadi italiani che si allarga a quelli di tutto il pianeta.

Arsenal Stadium, Highbury, Londra Si dice che gli inglesi abbiano inventato il calcio. Inevitabilmente, sono stati anche tra i primi a codificare gli standard per lo stadio moderno. Tra i nomi di riferimento c’è quello dell’architetto scozzese Archibald Leitch, i cui impianti progettati tra fine ‘800 e la prima metà del ‘900, hanno segnato la storia dell’architettura sportiva britannica. Tra questi figurano i progetti originari di stadi leggendari come Craven Cottage (Fulham), Anfield (Liverpool), Goodison Park (Everton), Molineux (Wolverhampton Wanderers), Villa Park (Aston Villa), White Hart Lane (Tottenham Hotspurs), Stamford Bridge (Chelsea) e decine d’altri. Diversi sono anche i progetti perduti, come il West Ham Stadium di Londra, demolito nel 1972, e utilizzato in virtù della pianta ellittica con pista – inusuale per gli standard britannici – anche per corse di levrieri e speedway.  Tra i suoi progetti figura anche l’Arsenal Stadium, meglio noto come Highbury. Inizialmente edificato nel 1913, lo stadio ha visto avvicendarsi varie ristrutturazioni e ampliamenti, come quella che negli anni ‘30 lo dotò della sua celebre e inconfondibile facciata in stile Art Deco. Dopo il trasferimento del club nel nuovo Emirates Stadium a partire dalla stagione 2006-07, lo stadio è stato riconvertito in Highbury Garden, un complesso residenziale, con il vecchio campo da gioco a fare da coorte in erba. La condizione di listed building dello stadio, ha fatto sì che ne venisse conservato il corpo delle due tribune, mentre le altrettanto amate North Bank e Clock End, con il suo celebre orologio, sono oggi completamente perdute.

Foto CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons 

L' Emirates Stadium, la nuova casa dell'Arsenal

Foto di Who’s Denilo ? su Unsplash

 

Stadio Flaminio, Roma Pier Luigi Nervi è stato uno degli esponenti di riferimento delle architetture strutturali nell’Italia del boom economico, con progetti di portata storica come il complesso di Torino Esposizioni, l’Aula delle Udienze in Vaticano e il Pirellone di Milano con Gio Ponti.  Lo sport ha rappresentato un altro importante ambito d’azione per l’ingegnere e architetto lombardo. Suo lo Stadio Artemio Franchi di Firenze e anche lo Stadio Flaminio di Roma. Quest’ultimo, inaugurato nel 1959 e progettato insieme al figlio, architetto, Antonio, poteva ospitare circa 50.000 spettatori e comprendeva anche quattro palestre, una piscina, bar, spogliatoi, pronto soccorso, completati da impianti all’avanguardia. Il Flaminio si collocava al centro del principale nucleo di edifici pensati per le Olimpiadi di Roma del 1960. L’impianto incarna tutta l’eleganza e il dinamismo dello spirito modernista del tempo, soprattutto nella copertura della tribuna centrale.  Oltre ad avere ospitato in più stagioni le partite di Roma e Lazio, negli anni il Flaminio ha ospitato le gare della nazionale italiana di Rugby fino al 2011, anno da cui verte in stato di abbandono e degrado. Nel 2017 lo stadio è stato posto sotto vincolo, un primo segnale positivo a cui ci si auspica seguirà un opportuno restauro prima che la struttura risulti irrecuperabile.

De Meer Stadion, Amsterdam Ad Amsterdam il calcio ruota attorno a un grande totem laico: Johann Cruijff, che dal 2018 – anno della scomparsa del bomber olandese – dà anche il nome all’Amsterdam Arena. Prima del moderno impianto a pianta ellittica, la casa dell’Ajax era il De Meer Stadion, a sua volta già sostituto del più antico Het Houten Stadion, demolito nel 1935. Il De Meer fu il teatro delle imprese dell’Ajax di Cruijff, quello del calcio totale plasmato da Rinus Michel che rese l’Olanda della prima metà dei ‘70 “l’arancia meccanica” del pallone. Chiuso nel 1996 perché la sua capienza di 19.600 spettatori non era più funzionale alle necessità del club, il De Meer fu presto demolito diventando uno dei più illustri teatri perduti della storia del calcio.

La Johan Cruijff Arena di Amsterdam

Foto di Haberdoedas su Unsplash

Stadio Silvio Appiani, Padova L’Appiani, casa del Padova dal 1924 al 1994, è stato uno tra gli impianti più affascinanti nella storia del calcio italiano. Ribattezzato anche ‘fossa dei leoni’ per la condizione di bolgia dettata dalla vicinanza delle tribune al rettangolo di gioco, il carattere dello stadio era dettato dalla vista del campanile della Chiesa della Misericordia e dell’attiguo monastero. Un elemento folkloristicamente italiano che, però, trovava un peculiare contrasto nella tribuna coronata da un gable all’inglese, un timpano triangolare in legno successivamente rimosso e oggi perduto.  La storia dell’Appiani, non demolito ma tristemente inutilizzato, è una più profonda storia sul significato sociale che uno stadio può incarnare per la comunità. L’Euganeo, lo stadio in cui le gare dei biancorossi sono state destinate dal 1994, è infatti inviso ai tifosi, che lo reputano dispersivo e estraneo alla storia del club. Per non parlare dei continui problemi strutturali e burocratici al limite del grottesco – anch’essi quintessenzialmente italiani. Nelle ultime stagioni, la Curva Sud è infatti rimasta chiusa al pubblico, perché sottoposta a sequestro giudiziario in seguito ad una serie di indagini inerenti i lavori di ristrutturazione.

Foto dal libro Nella fossa dei leoni. Lo stadio Appiani di Padova nel ricordo e nei ricordi dei tanti ex giocatori biancoscudati, pag. 243, Pubblico dominio, via Wikimedia Commons 

Il progetto Cmr e Sportium per il Nuovo Stadio del Padova

Griffin Park, Londra Ci sono stadi perduti sicuramente più importanti in quanto a blasone sportivo di Griffin Park, la vecchia casa del Brentford, Londra ovest. Eppure l’impianto – denominato Fortress Griffin Park, fortezza, perché teatro della più lunga striscia di vittorie casalinghe consecutive di un club inglese (21, stagione 1929/30) – ha lasciato un segno oltre il solo elemento architettonico. Griffin Park è infatti detentore di un altro record: quello di unico stadio al mondo con un pub ad ogni angolo. Un fattore dettato anche dalla sua vicinanza con il birrificio Fuller’s, il cui caratteristico grifone dà anche il nome allo stadio. L’impianto è stato demolito nel 2021, solo pochi anni dopo l'acquisizione della storica brewery dal gruppo giapponese Asahi. Quella di Griffin Park è dunque una più profonda storia che, ancora una volta, mette in luce il ruolo del calcio come specchio di lettura dell'evoluzione del tessuto sociale e urbano di una città. Una storia in parte analoga a un altro stadio, il Moretti di Udine, demolito nel 1998 e che prendeva il suo nome dall’omonimo birrificio friulano. Un’altra sua medaglia? Essere apparso come location ne L’allenatore nel pallone, pellicola cult del 1984 con Lino Banfi. 

Courtesy en.namu.wiki

Arena da Amazônia, Manaus Non tutti gli stadi perduti o abbandonati sono storici. Un altro tema centrale al discorso dell’architettura sportiva è quello dei cosiddetti white elephant, edifici molto costosi da edificare e mantenere ma pressoché inutilizzati. Ne sono esempi calzanti diversi stadi eretti in occasione della Coppa del Mondo brasiliana del 2014. Tra questi, c’è l’Arena da Amazonia a Manaus, costata oltre i 200 milioni di dollari e oggi, a poco più di un decennio dal mondiale, in stato di abbandono e degrado. Tra le cause principali di inutilizzo figura l’assenza di club locali con un bacino di utenza sufficiente a garantire l’affluenza. Per rientrare parzialmente nei costi di mantenimento, lo stadio viene però utilizzato per ospitare ricevimenti nuziali. A suo modo, una forma di riconversione.

Foto di Governo do Brasil - Portal da Copa, CC BY 3.0 br, via Wikimedia Commons 

Estadio Pocitos, Montevideo A proposito di mondiali. La prima rete nella storia della competizione Fifa è stata messa a segno nel 1930 dal francese Lucien Laurent contro il Messico in questo stadio. L’Estadio Pocitos di Montevideo, Uruguay, casa del Club Atletico Peñarol, viene considerato uno degli impianti più influenti nella storia dell’architettura sportiva, con le sue gradinate ellittiche ispirate ai teatri dell’antica Grecia, precorritrici di un modello di stadio diventato poi globale. Dismesso nel 1933, fu abbattuto già nel 1940 a causa dell’impossibilità di estenderne la capienza a causa dell’alta densità urbana di Montevideo. Questo ne fa un interessante caso studio di una problematica tuttora attuale – come testimoniato dal dibattito su San Siro.

Foto por https://cdf.montevideo.gub.uy/catalogo/foto/03079fmhge, Dominio público, via Wikimedia Commons 

Quante volte negli ultimi anni abbiamo visto chiamare in causa Roberto Vecchioni e la sua “Luci a San Siro”. Un lirico quanto rassegnato e impotente lamento, preludio alle voci sempre più insinuanti in merito alla demolizione del Giuseppe Meazza, uno degli stadi da calcio più celebri d’Italia e del mondo.

Dopo mesi di incertezze e il recente via libera del Comune di Milano alla vendita dopo 90 anni dell’impianto ai privati (dunque a FC Internazionale Milano e AC Milan), oggi è arrivata la firma dei club sul rogito – preludio alla tanto chiacchierata demolizione. Dal dossier di 253 pagine presentato dalle due società, il progetto sembra al momento suggerire una quasi totale demolizione dell’impianto e riconversione della parte residua in museo.

Il rischio è che perdendo i suoi stadi, l’Italia perda una parte della propria identità. Omologandosi a quanto avviene all’estero, rinunceremmo a quel provincialismo e a tutta quella spontaneità.

Il rischio, nel caso di San Siro, è quello di non aver voluto leggere per tempo i segnali di allarme. Potremmo trovarci di fronte, calcisticamente parlando, a un altro autogol per Milano, come quello dell’abbattimento del Padiglione dell’Agricoltura progettato da Ignazio Gardella nel 1958, avvenuto nel silenzio della città deserta di fine luglio. Un destino che sembra accomunare San Siro ad altri storici impianti – l’Old Trafford di Manchester, Stamford Bridge casa del Chelsea, St. James’ Park di Newcastle, il Mestalla di Valencia – i cui club stanno valutando nuovi progetti architettonici. Se il vecchio continente calcistico si porta dietro il peso strutturale e sociale dei vecchi stadi, il mondo nuovo pensa in ottica radicalmente opposta, come nel caso del 974 Stadium in Qatar, fatto di container e già nato per essere smantellato.

Roberto Conte, San Siro, Milano, 2020

Foto Roberto Conte

Roberto Conte, San Siro, Milano, 2020

Foto Roberto Conte

Roberto Conte, San Siro, Milano, 2020

Foto Roberto Conte

Roberto Conte, San Siro, Milano, 2020

Foto Roberto Conte

Roberto Conte, San Siro, Milano, 2020

Foto Roberto Conte

Roberto Conte, San Siro, Milano, 2020

Foto Roberto Conte

Roberto Conte, San Siro, Milano, 2020

Foto Roberto Conte

Roberto Conte, San Siro, Milano, 2020

Foto Roberto Conte

Roberto Conte, San Siro, Milano, 2020

Foto Roberto Conte

Roberto Conte, San Siro, Milano, 2020

Foto Roberto Conte

Roberto Conte, San Siro, Milano, 2020

Foto Roberto Conte

Roberto Conte, San Siro, Milano, 2020

Foto Roberto Conte

Roberto Conte, San Siro, Milano, 2020

Foto Roberto Conte

Roberto Conte, San Siro, Milano, 2020

Foto Roberto Conte

Roberto Conte, San Siro, Milano, 2020

Foto Roberto Conte

Roberto Conte, San Siro, Milano, 2020

Foto Roberto Conte

Roberto Conte, San Siro, Milano, 2020

Foto Roberto Conte

Roberto Conte, San Siro, Milano, 2020

Foto Roberto Conte

Roberto Conte, San Siro, Milano, 2020

Foto Roberto Conte

Roberto Conte, San Siro, Milano, 2020

Foto Roberto Conte

Roberto Conte, San Siro, Milano, 2020

Foto Roberto Conte

Roberto Conte, San Siro, Milano, 2020

Foto Roberto Conte

Stadio di San Siro, foto d'archivio

Crediti L. Macchiavelli per Ragazzi and Partners

Stadio di San Siro, foto d'archivio

Crediti Ragazzi and Partners

Stadio di San Siro, foto d'archivio

Crediti L. Macchiavelli per Ragazzi and Partners

Stadio di San Siro, foto d'archivio

Crediti Ragazzi and Partners

Stadio di San Siro, foto d'archivio

Crediti Ragazzi and Partners

Stadio di San Siro, foto d'archivio

Crediti Ragazzi and Partners

Stadio di San Siro, foto d'archivio

Crediti Ragazzi and Partners

Stadio di San Siro, disegni d'archivio

Crediti Studio Buzzi

Stadio di San Siro, disegni d'archivio

Crediti Ragazzi and Partners

Stadio di San Siro, disegni d'archivio

Crediti Ragazzi and Partners

Stadio di San Siro, foto d'archivio

Crediti Ragazzi and Partners

Stadio di San Siro, foto d'archivio

Crediti Ragazzi and Partners


La questione San Siro apre un dibattito fondamentale, quello della salvaguardia degli impianti sportivi storici. Molti degli stadi italiani sono oggi a fine corsa. Spesso progettati tra gli anni Venti e Trenta del Novecento sulla spinta propagandistica del fascismo, sono stati tutt'al più ristrutturati (e non sempre con gusto) in occasione dei mondiali di Italia 90 – colpo di coda calcistico del grandeur dell’Italia craxiana. A proposito, nei mesi passati era stata vagliata l’idea di rimuovere il terzo anello di San Siro – progettato proprio per il mondiale da Giancarlo Ragazzi (architetto di fiducia di Silvio Berlusconi, autore di Milano 2 e Milano 3, scomparso nel 2017) – e sostituirlo con una galleria commerciale e di ristoranti. Anche all’Artemio Franchi di Firenze, il restauro in corso mira a rimuovere le estensioni di Italia 90 per preservare la struttura del 1931 (e posta sotto vincolo) di Pier Luigi Nervi.

L'Old Trafford di Manchester. Foto di Arne Müseler da Salzburg, AT - 2023_07_31_arne_mueseler_00060-Verbessert-RR, CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons

Il calcio sta mutando, e con esso i costi, che impongono strutture sempre più versatili e ammortizzabili con usi extra-sportivi. Stadi che possano dunque fungere da arene per eventi e live musicali, o accompagnati da centri commerciali, hotel e musei tematici come nel caso dell’Allianz Stadium della Juventus (l’unico impianto di proprietà in Serie A). È oggi impossibile aspettarsi dalle società sportive, più che mai vere e proprie corporate, un gesto d’amore nei confronti della propria città e della storia del club, laddove questo non corrisponda a un tornaconto economico. Nel football, gli atti di fedeltà, d’altronde, restano prerogativa dei soli tifosi. Sarebbe ingenuo sperare che un simile slancio arrivi da due club, come Milan e Inter, che di “milanese” conservano giusto la sede legale e i pochi Brambilla e Fumagalli rimasti tra i tifosi. 

L’ Allianz Stadium della Juventus. Courtesy Juventus

La sfida è senza dubbio grande. Archiviare uno stadio, non significa solo preservare documenti e memorabilia, seggiolini, tabelloni e cancelli, ma tenere conto – oltre le stesse mura – del valore intrinseco e campanilistico di cui esso si fa portatore. In contesti urbani poveri di superfici edificabili, il progressivo spostamento degli stadi ai margini delle aree metropolitane rischia di allontanare anche il cuore stesso della comunità sportiva. Uno stadio di nuova edificazione richiede anni prima di poter essere considerato veramente casa dai tifosi. 

Archiviare uno stadio, non significa solo preservare documenti e memorabilia, seggiolini, tabelloni e cancelli, ma tenere conto – oltre le stesse mura – del valore intrinseco e campanilistico di cui esso si fa portatore.

Se nel resto d’Europa riconversioni e riuso sono tematiche centrali nel discorso architettonico, gli interrogativi sul ruolo che uno stadio può – e deve – rivestire all’interno di una città rimangono molti. Interrogativi che la questione San Siro lascia tutt’ora irrisolti, anche di fronte a una campagna di opposizione alla demolizione eccessivamente timida. È dovuto infatti arrivare il Guardian, dall’Inghilterra, a perorare la causa e infiammare il dibattito, parlando della necessità di tutelare un’architettura “istantaneamente riconoscibile, in un’epoca in cui troppi stadi tendono all’omologazione” 

Il White Hart Lane (Tottenham Hotspur). Courtesy Football Wiki Fandom

Laddove le riconversioni risultano difficilmente attuabili (in Italia il tema del riuso non è centrale al discorso architettonico tanto quanto nel resto d’Europa), diventa opportuno consolidare lo sviluppo di progetti critici (come fu quello di Vittorio Gregotti per il Marassi di Genova in occasione di Italia 90) e non esclusivamente votati al marketing e, dunque, a quell’omologazione di cui scrive il Guardian

Il rischio è che perdendo i suoi stadi, l’Italia perda una parte della propria identità. Omologandosi a quanto avviene all’estero – dove la demolizione di templi calcistici come Upton Park (West Ham) e White Hart Lane (Tottenham Hotspur) è stata passivamente accettata come un costo imposto dalla modernità – rinunceremmo a quel provincialismo e a tutta quella spontaneità che, anche in una città rigorosa come Milano, hanno sempre rappresentato scintille di vitalità, passione e di appartenenza.

Abbiamo raccolto una serie di stadi scomparsi, abbandonati o le cui ristrutturazioni ne hanno fatto perdere i progetti originali.

Arsenal Stadium, Highbury, Londra Foto CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons 

Si dice che gli inglesi abbiano inventato il calcio. Inevitabilmente, sono stati anche tra i primi a codificare gli standard per lo stadio moderno. Tra i nomi di riferimento c’è quello dell’architetto scozzese Archibald Leitch, i cui impianti progettati tra fine ‘800 e la prima metà del ‘900, hanno segnato la storia dell’architettura sportiva britannica. Tra questi figurano i progetti originari di stadi leggendari come Craven Cottage (Fulham), Anfield (Liverpool), Goodison Park (Everton), Molineux (Wolverhampton Wanderers), Villa Park (Aston Villa), White Hart Lane (Tottenham Hotspurs), Stamford Bridge (Chelsea) e decine d’altri. Diversi sono anche i progetti perduti, come il West Ham Stadium di Londra, demolito nel 1972, e utilizzato in virtù della pianta ellittica con pista – inusuale per gli standard britannici – anche per corse di levrieri e speedway.  Tra i suoi progetti figura anche l’Arsenal Stadium, meglio noto come Highbury. Inizialmente edificato nel 1913, lo stadio ha visto avvicendarsi varie ristrutturazioni e ampliamenti, come quella che negli anni ‘30 lo dotò della sua celebre e inconfondibile facciata in stile Art Deco. Dopo il trasferimento del club nel nuovo Emirates Stadium a partire dalla stagione 2006-07, lo stadio è stato riconvertito in Highbury Garden, un complesso residenziale, con il vecchio campo da gioco a fare da coorte in erba. La condizione di listed building dello stadio, ha fatto sì che ne venisse conservato il corpo delle due tribune, mentre le altrettanto amate North Bank e Clock End, con il suo celebre orologio, sono oggi completamente perdute.

L' Emirates Stadium, la nuova casa dell'Arsenal Foto di Who’s Denilo ? su Unsplash
 

Stadio Flaminio, Roma

Pier Luigi Nervi è stato uno degli esponenti di riferimento delle architetture strutturali nell’Italia del boom economico, con progetti di portata storica come il complesso di Torino Esposizioni, l’Aula delle Udienze in Vaticano e il Pirellone di Milano con Gio Ponti.  Lo sport ha rappresentato un altro importante ambito d’azione per l’ingegnere e architetto lombardo. Suo lo Stadio Artemio Franchi di Firenze e anche lo Stadio Flaminio di Roma. Quest’ultimo, inaugurato nel 1959 e progettato insieme al figlio, architetto, Antonio, poteva ospitare circa 50.000 spettatori e comprendeva anche quattro palestre, una piscina, bar, spogliatoi, pronto soccorso, completati da impianti all’avanguardia. Il Flaminio si collocava al centro del principale nucleo di edifici pensati per le Olimpiadi di Roma del 1960. L’impianto incarna tutta l’eleganza e il dinamismo dello spirito modernista del tempo, soprattutto nella copertura della tribuna centrale.  Oltre ad avere ospitato in più stagioni le partite di Roma e Lazio, negli anni il Flaminio ha ospitato le gare della nazionale italiana di Rugby fino al 2011, anno da cui verte in stato di abbandono e degrado. Nel 2017 lo stadio è stato posto sotto vincolo, un primo segnale positivo a cui ci si auspica seguirà un opportuno restauro prima che la struttura risulti irrecuperabile.

De Meer Stadion, Amsterdam

Ad Amsterdam il calcio ruota attorno a un grande totem laico: Johann Cruijff, che dal 2018 – anno della scomparsa del bomber olandese – dà anche il nome all’Amsterdam Arena. Prima del moderno impianto a pianta ellittica, la casa dell’Ajax era il De Meer Stadion, a sua volta già sostituto del più antico Het Houten Stadion, demolito nel 1935. Il De Meer fu il teatro delle imprese dell’Ajax di Cruijff, quello del calcio totale plasmato da Rinus Michel che rese l’Olanda della prima metà dei ‘70 “l’arancia meccanica” del pallone. Chiuso nel 1996 perché la sua capienza di 19.600 spettatori non era più funzionale alle necessità del club, il De Meer fu presto demolito diventando uno dei più illustri teatri perduti della storia del calcio.

La Johan Cruijff Arena di Amsterdam Foto di Haberdoedas su Unsplash

Stadio Silvio Appiani, Padova Foto dal libro Nella fossa dei leoni. Lo stadio Appiani di Padova nel ricordo e nei ricordi dei tanti ex giocatori biancoscudati, pag. 243, Pubblico dominio, via Wikimedia Commons 

L’Appiani, casa del Padova dal 1924 al 1994, è stato uno tra gli impianti più affascinanti nella storia del calcio italiano. Ribattezzato anche ‘fossa dei leoni’ per la condizione di bolgia dettata dalla vicinanza delle tribune al rettangolo di gioco, il carattere dello stadio era dettato dalla vista del campanile della Chiesa della Misericordia e dell’attiguo monastero. Un elemento folkloristicamente italiano che, però, trovava un peculiare contrasto nella tribuna coronata da un gable all’inglese, un timpano triangolare in legno successivamente rimosso e oggi perduto.  La storia dell’Appiani, non demolito ma tristemente inutilizzato, è una più profonda storia sul significato sociale che uno stadio può incarnare per la comunità. L’Euganeo, lo stadio in cui le gare dei biancorossi sono state destinate dal 1994, è infatti inviso ai tifosi, che lo reputano dispersivo e estraneo alla storia del club. Per non parlare dei continui problemi strutturali e burocratici al limite del grottesco – anch’essi quintessenzialmente italiani. Nelle ultime stagioni, la Curva Sud è infatti rimasta chiusa al pubblico, perché sottoposta a sequestro giudiziario in seguito ad una serie di indagini inerenti i lavori di ristrutturazione.

Il progetto Cmr e Sportium per il Nuovo Stadio del Padova

Griffin Park, Londra Courtesy en.namu.wiki

Ci sono stadi perduti sicuramente più importanti in quanto a blasone sportivo di Griffin Park, la vecchia casa del Brentford, Londra ovest. Eppure l’impianto – denominato Fortress Griffin Park, fortezza, perché teatro della più lunga striscia di vittorie casalinghe consecutive di un club inglese (21, stagione 1929/30) – ha lasciato un segno oltre il solo elemento architettonico. Griffin Park è infatti detentore di un altro record: quello di unico stadio al mondo con un pub ad ogni angolo. Un fattore dettato anche dalla sua vicinanza con il birrificio Fuller’s, il cui caratteristico grifone dà anche il nome allo stadio. L’impianto è stato demolito nel 2021, solo pochi anni dopo l'acquisizione della storica brewery dal gruppo giapponese Asahi. Quella di Griffin Park è dunque una più profonda storia che, ancora una volta, mette in luce il ruolo del calcio come specchio di lettura dell'evoluzione del tessuto sociale e urbano di una città. Una storia in parte analoga a un altro stadio, il Moretti di Udine, demolito nel 1998 e che prendeva il suo nome dall’omonimo birrificio friulano. Un’altra sua medaglia? Essere apparso come location ne L’allenatore nel pallone, pellicola cult del 1984 con Lino Banfi. 

Arena da Amazônia, Manaus Foto di Governo do Brasil - Portal da Copa, CC BY 3.0 br, via Wikimedia Commons 

Non tutti gli stadi perduti o abbandonati sono storici. Un altro tema centrale al discorso dell’architettura sportiva è quello dei cosiddetti white elephant, edifici molto costosi da edificare e mantenere ma pressoché inutilizzati. Ne sono esempi calzanti diversi stadi eretti in occasione della Coppa del Mondo brasiliana del 2014. Tra questi, c’è l’Arena da Amazonia a Manaus, costata oltre i 200 milioni di dollari e oggi, a poco più di un decennio dal mondiale, in stato di abbandono e degrado. Tra le cause principali di inutilizzo figura l’assenza di club locali con un bacino di utenza sufficiente a garantire l’affluenza. Per rientrare parzialmente nei costi di mantenimento, lo stadio viene però utilizzato per ospitare ricevimenti nuziali. A suo modo, una forma di riconversione.

Estadio Pocitos, Montevideo Foto por https://cdf.montevideo.gub.uy/catalogo/foto/03079fmhge, Dominio público, via Wikimedia Commons 

A proposito di mondiali. La prima rete nella storia della competizione Fifa è stata messa a segno nel 1930 dal francese Lucien Laurent contro il Messico in questo stadio. L’Estadio Pocitos di Montevideo, Uruguay, casa del Club Atletico Peñarol, viene considerato uno degli impianti più influenti nella storia dell’architettura sportiva, con le sue gradinate ellittiche ispirate ai teatri dell’antica Grecia, precorritrici di un modello di stadio diventato poi globale. Dismesso nel 1933, fu abbattuto già nel 1940 a causa dell’impossibilità di estenderne la capienza a causa dell’alta densità urbana di Montevideo. Questo ne fa un interessante caso studio di una problematica tuttora attuale – come testimoniato dal dibattito su San Siro.