Cosa ci lascia Carlo Melograni, antistar e ricercatore del lavoro collettivo

Il ricordo e l'eredità di uno degli architetti e teorici post bellici italiani che ha fatto dell’architettura strumento di riscatto di ogni forma di ingiustizia spaziale. 

Se ne è andato settimana scorsa nella sua casa romana, all’età di 97 anni, Carlo Melograni, con la discrezione gentile che ha contraddistinto la sua lunga esistenza per gran parte del Novecento e per i primi due decenni di questo secolo.

Architetto militante, Professore emerito, Accademico di San Luca, Preside dal 1992 al 1997 della Facoltà di Architettura del nuovo Ateneo di Roma Tre, Premio per l’Architettura da parte della Presidenza della Repubblica nel 2005, Carlo Melograni – classe 1924 – era un riformista progressista, intellettuale democratico, così descritto da Giorgio Amendola quando racconta del suo rientro nella capitale nel 1943.
Il giovane Carlo fu di fatto impegnato nella Resistenza, arruolato volontario nel 1944 e per questo insignito della Croce di guerra al valore militare. Fondò il seminario studentesco intitolato a Giorgio Labò, lo studente trucidato dai nazisti nel ’44, figlio di Mario Labò, architetto e storico genovese, sensibile anch’egli al rinnovamento della cultura progettuale e autore di un libro su Terragni.
Gli anni della formazione di Carlo Melograni maturano in questo clima di impegno civile e militanza attiva. Iscritto alla Facoltà di Architettura di Roma, a Valle Giulia, nella sede progettata da Enrico Del Debbio, frequenta l’architetto Mario Ridolfi e l’urbanista Michele Valori. Finito il triennio lavora per un periodo nello studio dell’architetto Luigi Piccinato.

Figura di riferimento è quella di Giuseppe Pagano, che egli considera fra i maggiori architetti contemporanei e maestro indiscusso per la sua generazione di trentenne. Alla figura di Pagano e alla sua opera dedica un libretto, pubblicato a Milano nel 1955 (all’età di 31 anni) dalla casa editrice Il Balcone, con questo incipit: “Agli architetti italiani non piace in genere riconoscere tra i propri maestri chi sia troppo loro vicino nel tempo e nello spazio; preferiamo dedicare la nostra simpatia a qualcuno dal quale ci separino una frontiera o un oceano, o parecchi decenni di storia”.

Carlo Melograni, Liceo Ariosto, Ferrara

Era un tributo che il giovane architetto romano consegnava a chi riteneva essere un punto di riferimento morale e civile prima ancora che architettonico, anche se non c’era fra loro né la distanza di un oceano né parecchi decenni di storia sufficienti ad alimentare il mito. L’influenza di Pagano ha avuto il merito e l’effetto di scoraggiare ogni forma di poetica personale e di “prendersela anzi proprio con coloro che appaiono posseduti dall’ansia di diventare capiscuola con qualche impensata e impensabile invenzione”. Ancorato dunque nella migliore tradizione del razionalismo funzionalista, fiducioso nella capacità dell’architettura di farsi strumento di riscatto di ogni forma di ingiustizia spaziale, Carlo Melograni è stato promotore convinto e costante di una idea di modernità intesa come ricerca paziente di un lavoro collettivo. Di fatto lavora sempre in gruppo, nei progetti, nelle ricerche sul campo, nell’insegnamento.

Dal 1961 al 1971 si associa con lo storico dell’architettura Leonardo Benevolo e l’architetto Tommaso Giura Longo, con i quali scrive I modelli di progettazione della città moderna - Tre lezioni, libro di riferimento per diverse generazioni di studenti di quegli anni.
Nel 1981 fonda lo studio “P+R, progetti e ricerche di architettura” con Marta Calzolaretti, Piero Ostilio Rossi, Ranieri Valli, Andrea Vidotto, docenti più giovani con cui condivide l’insegnamento universitario.
Tutte le attività di progetto e di ricerca si rivolgono a enti e istituzioni pubbliche: scuole e residenze sono i temi centrali delle loro esplorazioni progettuali. Significativi due numeri di Edilizia Popolare degli anni 1979 /80 sui temi delle residenze con percorso pensile e sulle case a bassa e alta densità. Il panorama di riferimento del gruppo spazia dai Robin Hood Garden al Villaggio Matteotti, dai paesi del nord Europa al Team X degli Smithson e di De Carlo, fino alla scuola olandese di Aldo Van Eyck e Herman Hertzberger. 

Nel 1989 la rivista Parametro dedica un numero monografico all’attività di ricerca progettuale dello Studio P+R. 
Si tratta di circa trenta progetti fra concorsi e opere costruite, realizzati in circa dieci anni di attività in cui è possibile rileggere una grande coerenza fra le dichiarazioni di principio e la concretezza dei progetti. Si tratta di modelli residenziali innovativi per nuove proposte di abitare, di piccoli progetti di recupero in aree archeologiche, della dimensione intermedia tra piano e progetto, di architettura di percorso.

Nello studio per i nuovi tipi edilizi per Sabaudia del 1985, ad esempio, si propongono un tessuto di case a patio e tipi di case unifamiliari sovrapposte, dove l’unità residenziale viene smontata nelle sue diverse componenti che si riaggregano secondo combinazioni flessibili alle nuove esigenze degli abitanti. 

Nelle “architetture di percorso”, invece, prevalentemente riferite a progetti di scuole e centri di ricerca, l’impianto funzionale deriva da un modello di circolazione che connette le diverse parti dell’insieme – configurando un sistema aperto – e predispone strutture spaziali adattabili e addizionabili nel tempo. In entrambi i casi si privilegia il tessuto o la piastra, come nel caso dell’ampliamento del liceo Ariosto di Ferrara, alla singolarità dell’edificio, la qualità diffusa all’assolo di una architettura autoreferenziale. Si cercano  (o si cerca?)  di favorire i comportamenti relazionali tra individui, come si legge nelle relazioni di progetto. L’affinità con l’architettura razionale nordeuropea e in particolare olandese è profonda, ma anche con le “strutture dell’anonimo collettivo” degli Smithson. L’idea di un’architettura antiautoritaria per un modello democratico di città è al tempo stesso il manifesto e il lascito. 

Melograni è stato naturalmente un maestro, senza volerlo essere né porsi al cospetto di nessuno come tale, né con gli studenti né con i collaboratori o soci con cui ha condiviso progetti e ricerche. Ha mantenuto ferme con grande coerenza le sue posizioni, da taluni considerate rigide e poco inclini a flettersi davanti allo tsunami della post modernità, da altri considerate invece come il necessario frangiflutti al cospetto di tanta tempesta.
Melograni è rimasto fino alla fine fautore di un funzionalismo inteso noncome ripiego bensì come traguardo”, e di una modernità autentica capace, contro il rischio di una modernizzazione aggressiva e autoreferenziale, di “spalancare le porte verso l’esterno” e di accogliere le voci diverse di una stessa ricerca collettiva

Immagine in apertura:
Carlo Melograni a Londra nel 1974 in viaggio con gli studenti, sulla collinetta tra le case dei Robin Hood Gardens, progettati da Alison e Peter Smithson

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