Imparare dai Robin Hood Gardens per la città che verrà

Alla Biennale di Venezia, il V&A espone un frammento del complesso di edilizia sociale completato nel 1972, su progetto di Alison e Peter Smithson, ora in demolizione.

Deck dei Robin Hood Gardens con Alison Smithson, fotografia di Peter Smithson, scattata attorno al 1970. Courtesy Smithson Family Collection

Quest’anno, in occasione della 16. Mostra internazionale di architettura, il Victoria and Albert Museum di Londra ha esposto un oggetto quantomeno singolare presso il Padiglione delle Arti Applicate: il frammento di una facciata dei Robin Hood Gardens, unico complesso di residenze popolari realizzato da Alison e Peter Smithson, completato nel 1972.

Al tramonto delle politiche di welfare attuate nel secondo dopoguerra – a ridosso della crisi petrolifera del 1973 e della successiva recessione – l’edificio rappresentava una delle sperimentazioni emblematiche del secondo moderno. Oggi è in fase di demolizione, in previsione di realizzare il progetto di Blackwall Reach: 1,575 unità residenziali, contro le 213 del complesso del 1972. L’annuncio aveva fatto insorgere non poche voci critiche da parte della comunità architettonica internazionale, che hanno portato a svariati tentativi di listing – ovvero di riconoscimento del valore storico e quindi di tutela di un bene – che sono infine stati declinati dall’English Heritage. La conclusione dei lavori di demolizione è prevista per il 2019, ma nel frattempo il Victoria and Albert Museum di Londra ha avviato una ricerca che prevede il recupero e la conservazione di alcune porzioni del complesso. Questi recenti avvenimenti hanno riacceso i riflettori sul complesso storico, che rappresenta un tentativo di oltrepassare la rigidità progettuali dei pionieri del Movimento Moderno sul tema della residenza collettiva, approdando in quella che verrà definita dallo storico e critico Reyner Banham come “Architettura della Seconda Età della Macchina”.

Interno dei Robin Hood Gardens, completati nel 1972, disegnati da Alison e Peter Smithson. Foto © Historic England Archive
Interno dei Robin Hood Gardens, completati nel 1972, disegnati da Alison e Peter Smithson. Foto © Historic England Archive

Le idee degli Smithson si formarono nell’ambito dei CIAM, i Congressi Internazionali di Architettura Moderna, perché è in seno allo stesso movimento che nel 1953 nasce il Team X – di cui fecero parte, fra gli altri, Giancarlo De Carlo, Jaap Bakema e Aldo van Eyck. Il gruppo concentrava la propria riflessione sulla comprensione dei contesti sociali, era interessato a cercare una nuova qualità nella residenza. L’origine di queste idee è da ricercare nel lavoro degli Smithson all’interno dell’Independent Group che risale alla prima metà degli anni Cinquanta. Questa collaborazione con artisti, scrittori e critici – quali Eduardo Paolozzi, Richard Hamilton, Nigel Henderson e lo stesso Banham – introdusse i temi della cultura di massa e del rapporto con la tecnologia nel dibattito culturale di allora. In particolare, la documentazione della vita nella periferia londinese di Bethnal Green effettuata dal fotografo Nigel Henderson corroborò l’interesse degli Smithson verso i “fatti umani” (vedi il volume Team 10 Primer, a cura di Alison Smithson, Studio Vista Limited, Londra 1968)

La progettazione dei Robin Hood Gardens, non a caso, parte dall’analisi del contesto dell’area industriale dei docks: fin da subito i progettisti individuano l’inquinamento acustico e dell’aria, il traffico e il vandalismo fra le problematiche da combattere per raggiungere una qualità della residenza che potesse arrivare non solo ai primi occupanti del complesso, ma anche alle generazioni successive. La necessità primaria era quella di proteggere il complesso residenziale dalla presenza delle infrastrutture. Lo sforzo di comprensione di questo contesto difficile si consolida nell’impianto planimetrico dei due edifici, che si attestano ai confini del lotto con orientamento nord-sud – parallelamente alle strade trafficate che lo lambiscono – e racchiudono così uno spazio centrale: lo stress-free zone. Questo spazio comune è quindi liberato dal traffico veicolare e dominato da una collinetta artificiale realizzata con la terra proveniente dagli scavi delle fondazioni.

Reassembled fragment of the façade of Robin Hood Gardens, Pavilion of Applied Arts, La Biennale di Venezia, 2018. Photography: Mohamed Somji © Victoria and Albert Museum, London.
Frammento della facciata dei Robin Hood Gardens, riassemblato presso il Padiglione delle Arti Applicate, La Biennale di Venezia, 2018. Foto: Mohamed Somji © Victoria and Albert Museum, Londra

Il disegno della sezione media ulteriormente questo rapporto: ai garage dei residenti al piano seminterrato si accede dall’esterno, e alla stress-free zone solo a piedi, tramite passaggi puntuali. Gli interni delle diverse tipologie di appartamenti si organizzano secondo gli stessi criteri, ovvero collocando le zone ‘rumorose’ dei soggiorni verso il fronte strada, mentre le camere da letto e le cucine si rivolgono all’interno; da queste ultime, gli Smithson immaginarono che i genitori potessero osservare i loro bambini giocare nello spazio verde che separa i due edifici, rispettivamente di sette e dieci piani fuori terra. Le facciate sul fronte stradale sono segnate dalla presenza di pilastri in cemento per ammortizzare il rumore del traffico, e delle street in the air, cioè le ‘strade’ sopraelevate, larghe circa due metri, che si allargano in corrispondenza degli ingressi delle singole unità. Nomen omen, questo elemento di derivazione urbana è il tentativo di trasporre e distribuire la socialità della strada ai vari piani dei due blocchi. Proprio un frammento di una di queste street in the air è presente al Padiglione delle Arti Applicate, a rappresentare quell’avvicinamento dell’architettura ai “fatti umani”, centrale nella ricerca sulla residenza collettiva degli Smithson e dalla loro generazione.

Il progetto fu, sin da subito, lungamente contestato e, nel tempo, vandalizzato. I curatori della mostra “Robin Hood Gardens: A Ruin in Reverse” alla Biennale di Venezia, Christopher Turner e Olivia Horsfall Turner, raccontano di come “gli architetti furono incolpati per l’alto tasso di criminalità presente nel complesso”, e che gli stessi Smithson “furono scioccati dalla velocità con cui ciò avvenne” e che – parafrasando Peter Smithson – “talvolta gli abitanti trattano diversamente le loro dirette proprietà dagli spazi comuni. Supponiamo quindi che si tratti di comprendere come progettare il comportamento, cioè come portare le persone a rispondere in un determinato modo allo spazio costruito”.

Alison Smithson at the 1976 Venice Biennale, photographed by Peter Smithson, 1976. Courtesy of the Smithson Family Collection
Alison Smithson alla Biennale di Venezia del 1976, fotografata da Peter Smithson, 1976. Courtesy Smithson Family Collection

Terza collaborazione fra la Biennale e il V&A Museum, la mostra è parte di una ricerca più ampia del museo che ambisce a sviluppare un dibattito sull’edilizia residenziale fra architetti, studiosi e abitanti. Proprio a questi ultimi è infatti dedicata una parte consistente dell’esposizione, nella quale viene documentata l’appropriazione che i residenti hanno operato sull’architettura e sulla capacità di questa di portare dignità alla loro vita. A meno di cinquant’anni dal completamento, i Robin Hood Gardens continuano a rappresentare un riferimento nel dibattito contemporaneo sulla residenza collettiva e sociale. La lezione di Alison e Peter Smithson sta nel privilegiare la sperimentazione come occasione per mettere a punto gli strumenti a disposizione dell’architettura per il disegno delle relazioni umane con gli edifici che abitano, in città sempre più dense.

Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus Paper, in allegato al numero di ottobre 2018 e distribuito gratuitamente a Milano durante i Brera Design Days.

Titolo della mostra:
Robin Hood Gardens: A Ruin in Reverse
Padiglione:
progetto speciale, V&A Museum
Curatori:
Christopher Turner, Olivia Horsfall Turner
Sede:
Padiglione delle Arti Applicate, Arsenale, Venice Biennale
Date di apertura:
26 MAggio – 25 Novembre 2018
Indirizzo:
Campiello Tana 2169/F, Venezia

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